Articoli scientifici
15/09/2011

Cure di fine vita e decisioni mediche: lo studio ITAELD

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Introduzione

La Società italiana per le cure palliative è stata fondata nel 1986, dando avvio all’affermarsi delle cure palliative anche in Italia. La legge 39/99 ha impresso una spinta decisiva allo sviluppo del movimento delle cure palliative attraverso il finanziamento di strutture residenziali dedicate in tutto il Paese. Nel corso del 2010 le «disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore» (Legge 38/2010) hanno segnato un nuovo punto di arrivo.

Mentre si consolidano come struttura organizzativa e società scientifica capace di impatto nella programmazione di sanità pubblica le cure palliative italiane attraversano oggi un nuovo difficile passaggio a livello di opinione pubblica, che si gioca intorno alla corretta accezione di accanimento terapeutico, non ci sono cure palliative dove c’è accanimento terapeutico, non c’è accanimento terapeutico dove ci sono cure palliative, secondo l’associazione europea per le cure palliative.1Il dibattito internazionale sugli indicatori di aggressività nelle cure prestate alla fine della vita dimostra che la questione non è tipicamente europea e ancor meno solo italiana.2 D’altra parte si pubblicano le prime evidenze di una possibile efficacia delle cure palliative, in caso di inizio precoce, non solo in termini di qualità di vita ma anche di sopravvivenza.3 Le cure palliative sono sempre meno identificate con le cure di fine vita, che pure ne costituiscono una componente importante. 4

Il dibattito sulle cure di fine vita si va così imponendo come autonomo rispetto al suo alveo naturale costituito dal supporto e dalla palliazione, acquisendo connotati eticogiuridici sempre più esclusivi. Si può sostenere altresì che il conflitto etico che negli ultimi tempi attraversa le cure di fine della vita è così serrato, “tragico” per gli assunti mutuamente esclusivi sul senso della vita umana che porta allo scoperto, da necessitare una più profonda comprensione del come si muore oggi in Italia prima di potere avanzare a una qualche soluzione.5

Una decina di anni fa, anticipando l’attualità che certi temi avrebbero raggiunto in Italia solo negli anni seguenti, fu effettuato nel nostro Paese uno studio osservazionale retrospettivo di coorte sulle cosiddette «decisioni mediche di fine vita», intendendo quelle decisioni mediche che possono anticipare la fine della vita. Quello studio, denominato EURELD (EURopean End of Life medical Decisions), rappresentò l’applicazione in sei Paesi europei, tra i quali l’Olanda, della metodologia di rilevazione della eutanasia attiva messa a punto in quel Paese fin dal 1990. Lo studio ha dimostrato l’impatto rilevante delle decisioni mediche sulle modalità del morire in tutti i Paesi partecipanti, mentre l’eutanasia attiva è risultata strettamente correlata alla situazione legislativa di ogni Paese.6

Alcune critiche furono mosse da parte Italiana all’impianto dello studio, soprattutto per l’adozione di una griglia di lettura del fenomeno nata negli anni Novanta in contesti culturali e legislativi non assimilabili al nostro. In particolare fu contestata l’opportunità di considerare tra le decisioni mediche che possono anticipare la fine della vita anche quelle concernenti l’uso incrementale di oppioidi nelle ultime fasi della vita. Questa critica ha trovato successivamente conferma sia nella letteratura scientifica, che ha dimostrato la mancanza di effetti di riduzione della sopravvivenza attribuibili all’uso di alte dosi di oppioidi alla fine della vita se in dosaggio analgesico,7 sia negli stessi risultati dello studio EURELD che hanno mostrato l’uso di dosaggi di oppioidi entro il range terapeutico anche nei casi giudicati dal medico rispondente come possibili anticipazioni del decesso.8

Nel 2007, a seguito dell’improvviso accendersi del dibattito politico italiano sul tema delle dichiarazioni anticipate di trattamento, la Federazione dell’ordine dei medici ha promosso un nuovo studio su decisioni e opinioni dei medici in merito al fine vita nel nostro Paese. Obiettivo dello studio, denominato ITAELD, è stato quello di fornire un quadro esteso a tutto il territorio nazionale degli atteggiamenti dei medici rispetto all’ampio ambito delle cure di fine vita (quali soluzioni vengono preferite, quali evitate, quali fortemente rifiutate) e una stima della incidenza delle diverse decisioni mediche con possibile anticipazione del decesso.

Metodo

Popolazione

La popolazione in studio per la rilevazione degli atteggiamenti dei medici è consistita in un campione misto di medici dipendenti del SSN e di medici di medicina generale. Sono stati selezionati 14 ordini provinciali distribuiti su tutto il territorio e disponibili a supportare lo studio attraverso un contatto diretto con i propri iscritti. A tutti i medici di medicina generale degli ordini selezionati e a un campione random (frazione di campionamento variabile: 0.28-0.76) dei medici dipendenti del SSN degli stessi ordini è stata proposta la partecipazione allo studio. Sono stati coinvolti i seguenti ordini dei medici: per il Nord-Ovest Bergamo (1 163 invitati), Torino (1 770); per il Nord-Est Padova (771), Trento (863), ForlìCesena (773); per il Centro Firenze (945), Ancona (783); per il Sud Napoli (1 994), Catanzaro (769), Lecce (1 082), Pescara (738); per le Isole Palermo (1 507), Ragusa (692), Sassari (860). La popolazione in studio per la rilevazione della incidenza delle decisioni mediche con possibile anticipazione del decesso è consistita nell’ultimo decesso verificatosi tra gli assistiti di quegli stessi medici (durante gli ultimi 12 mesi). I medici che avevano risposto al questionario sugli atteggiamenti e riportato un decesso «non improvviso o inatteso» avvenuto tra i loro assistiti negli ultimi 12 mesi hanno costituito il campione per studiare la associazione tra atteggiamenti e decisioni.

Questionari

Ai medici sono stati proposti due questionari, uno sugli atteggiamenti e uno sulle decisioni. Il questionario utilizzato per la rilevazione degli atteggiamenti dei medici rispetto a specifiche affermazioni sulle tematiche di fine vita (24 item a risposta chiusa) corrisponde a quello già utilizzato nello studio europeo EURELD.9,10 Il questionario sugli atteggiamenti è stato costruito selezionando un certo numero di item dalla letteratura scientifica sul tema, e successivamente accogliendo solo quelli giudicati dal gruppo di ricerca accettabili per ogni contesto culturale coinvolto. Il processo di costruzione ha dato luogo a un testo comune in lingua inglese, dal quale con le consuete procedure di forward e backward translation sono state ottenute le versioni in lingua originale per ogni Paese.

Il questionario utilizzato per la stima dell’incidenza delle decisioni mediche con possibile anticipazione del decesso (22 item a risposta chiusa) è invece un adattamento sostanziale di quello utilizzato nello studio EURELD,6 dopo soppressione delle domande riferite alla possibile anticipazione della fine della vita dovuta all’uso di dosi incrementali di analgesici. La versione originale del questionario è in lingua olandese e risale ai primi studi che hanno seguito questa metodologia, appositamente disegnati per la legislazione che si andava configurando in Olanda all’inizio degli anni Novanta. La versione in lingua inglese è stata curata, con le procedure usuali, dal gruppo olandese fin dagli anni Novanta.

Per permettere una comparazione del dato trasversale europeo col dato storico olandese lo studio EURELD ha utilizzato questa stessa versione del questionario, ovviamente adattata secondo le consuete procedure alla lingua di ogni Paese partecipante. Nello studio ITAELD è stata privilegiata la lettura locale del dato e sono state accolti i suggerimenti avanzati da alcuni ricercatori italiani durante la recezione dei dati dello studio EURELD. Per questa ragione l’uso di oppioidi nelle cure di fine vita è stato indagato non più quale decisione medica con possibile anticipazione del decesso ma esclusivamente nell’ambito del controllo sintomatologico. I questionari, riuniti in un unico fascicolo, sono stati inviati per posta con busta preaffrancata per la restituzione anonima. La lettura dei questionari è avvenuta con sistema ottico.

Analisi statistica

La flow chart della partecipazione allo studio è riportata in figura 1.

  1. Sono state condotte le consuete analisi uni e bivariate per mettere in luce le caratteristiche della rispondenza nel campione degli invitati allo studio (n.14 660).
  2. Per i medici rispondenti sono riportate le caratteristiche professionali e la proporzione di risposte d’accordo/molto d’accordo con affermazioni concernenti tematiche di fine vita (n.2 818).
  3. La descrizione del campione di decessi sui quali è stata stimata l’incidenza di decisioni mediche di fine vita non tutti i medici rispondenti sono risultati attivi nella professione, quindi con un ultimo decesso rispetto al quale riferire le eventuali decisioni mediche di fine vita è stata confrontata dove possibile con un atteso per verificare la qualità e la rappresentatività del dato (distribuzione di genere, età e causa di decesso secondo le statistiche ISTAT 2006; distribuzione per decesso improvviso/inatteso secondo i dati pubblicati dello studio europeo EURELD) (n. 1 850). Per la stima della incidenza delle decisioni mediche di fine vita è stato considerato «morte medicalmente assistita» ogni decesso per il quale il medico abbia risposto affermativamente alla domanda: «Il decesso è stato la conseguenza dell’uso di un farmaco prescritto, fornito o somministrato con l’intenzione precisa di anticipare la fine della vita (o mettere il paziente in condizione di porre fine alla propria vita)?». Il termine include dunque sia l’eutanasia attiva sia il suicidio assistito. È stato considerato «decisione di non trattamento» ogni decesso per il quale il medico abbia risposto affermativamente alla domanda: «Ha eseguito (o fatto eseguire) uno o più dei seguenti atti (non iniziare un trattamento/interrompere un trattamento) tenendo in considerazione la possibilità che questo atto potesse anticipare la fine della vita del paziente?». In caso di risposta affermativa al medico era chiesto di specificare se l’anticipazione del decesso fosse anche stata intenzionale. In caso di presenza contemporanea di «morte medicalmente assistita» e «decisione di non trattamento» è stata considerata per la stima la prima delle due decisioni, seguendo la gerarchia decisionale stabilita per la lettura dello studio europeo EURELD. 
  4. Per i soli decessi giudicati dal medico rispondente «non improvvisi o inattesi» è stato riportato lo stato sintomatologico e il controllo dello stesso con oppiacei (n.1 460). Per questi decessi è stato inoltre adattato ai dati un modello logistico multivariato al fine di evidenziare l’associazione tra atteggiamenti del medico (dicotomizzati in accordo/non d’accordo o neutrale) e pratica di decisioni mediche di fine vita, al netto dei possibili confondenti rilevati (caratteristiche del medico rispondente: età, sesso, ruolo nel SSN, anni dalla laurea, formazione in cure palliative, importanza data alle convinzioni religiose o filosofiche, area geografica; caratteristiche del decesso: età, sesso, causa del decesso, luogo del decesso). L’analisi è stata eseguita separatamente per le decisioni avvenute tenendo conto del possibile accorciamento della vita residua e per le decisioni con dichiarata intenzionalità di anticipazione del decesso da parte del medico. 

Le analisi sono state eseguite col package statistico STATA 11. Per una corretta stima dei parametri e dei loro intervalli di confidenza che tenesse in considerazione il disegno della survey sono stati utilizzati i comandi ‘survey’ (svy) di STATA.

Risultati

Il questionario è stato inviato a 14 660 medici. In 590 casi è risultato errato l’indirizzo postale. Nel campione originale il 31.2% dei medici era iscritto a un ordine delle Isole, l’11.8% a un ordine del Centro. Il 39% era medico di medicina generale. La rispondenza complessiva è stata del 19.2% (20.0% escludendo i questionari inesitati). La rispondenza è risultata significativamente maggiore tra i medici di medicina generale e tra i medici con età tra i 40 e i 50 anni. La rispondenza più bassa è stata ottenuta tra i medici appartenenti agli ordini delle Isole (11.0%) (tabella 1).

Il 73% dei 2 818 rispondenti aveva più di 20 anni di laurea, il 70% considerava importanti o molto importanti le convinzioni religiose/filosofiche per le decisioni mediche di fine vita, e il 65% non aveva ricevuto alcuna formazione in cure palliative (né durante il corso di laurea né in occasioni successive) (tabella 2).

L’adesione più alta (90% d’accordo/molto d’accordo) riguarda le affermazioni concernenti la liceità della terapia con oppiacei alla fine della vita. La richiesta di non trattamento esercitata dal paziente competente (richiesta attuale) è vincolante per due medici su tre; nell’ipotesi di direttive anticipate questa proporzione scende a un medico su due, e a uno su tre nel caso di decisione sostitutiva dei familiari. Più alto invece è l’accordo circa il diritto di nominare un fiduciario (65%). Maggioritario infine è il rifiuto della eutanasia attiva in assenza di richiesta esplicita del paziente, mentre l’eutanasia attiva su richiesta esplicita del paziente (volontaria) è considerata accettabile dal 53% dei rispondenti. Un medico su cinque è incerto sulla previsione di effetti negativi di un’eventuale legalizzazione dell’eutanasia sul rapporto medicopaziente (tabella 3).

1 850 medici hanno descritto le caratteristiche dell’ultimo decesso verificatosi fra i propri assistiti e le eventuali decisioni di fine vita prese. La distribuzione per sesso, età al decesso, e causa di morte è risultata sbilanciata rispetto all’atteso (Istat 2006) a favore dei deceduti di sesso maschile, delle età inferiori ai 65 anni, delle cause di morte oncologica o neurologica. Il 48% dei decessi riportati è avvenuto presso il proprio domicilio, <3% presso un hospice o una residenza sanitaria assistita. Inferiore all’atteso (EURELD 2001) è risultata la proporzione dei decessi improvvisi e inattesi (tabella 4).

In un caso su 5 i medici hanno riportato una decisione che potrebbe avere anticipato il decesso del loro assistito. Nello 0.8% dei casi (IC 95% 0.4-1.6) si è trattato di una «morte medicalmente assistita», nel 20.5% (IC 95% 18.2-23.0) di una «decisione di non trattamento». In una proporzione tre volte superiore (57.7%), pur trattandosi di un decesso atteso o non improvviso, i medici non hanno riportato alcuna delle suddette decisioni. Nel rimanente 21.0% dei casi si è trattato invece di decessi improvvisi e inattesi, per i quali nessuna decisione medica di fine vita poteva comunque essere presa (tabella 5).

I sintomi nelle ultime 24 ore di vita (punteggio 4 o 5 su una scala a 5 punti ancorata su sintomo assente=0 e sintomo intenso=5) riportati dai medici rispondenti sono stati principalmente astenia (2 casi su 3), confusione mentale e dispnea (circa uno su due). Alta la prevalenza di sintomi depressivi (un caso su quattro). Solo in un caso su cinque è riportata la presenza di dolore. Quanto al controllo dello stato sintomatologico, una persona su due riceve oppiacei nelle ultime 24 ore, dei quali circa un terzo oltre a ricevere oppiacei viene tenuto in stato di sedazione profonda. In metà dei casi l’assistenza nell’ultimo mese di vita ha necessitato dell’intervento di un infermiere professionale. In un caso su cinque sono state interessate le cure palliative, volontari e assistente spirituale sono stati coinvolti circa una volta sui dieci. Molto raro è il ricorso alla assistenza psicologica (tabella 6).

Distinguendo le decisioni con possibile anticipazione del decesso a seconda dell’intenzionalità riportata dal medico rispondente, l’accordo con specifiche affermazioni sulle tematiche di fine vita appare associato in modo specifico con l’uno o l’altro tipo di decisione effettivamente presa.

Prendere una decisione medica tenendo di conto la possibilità di un’anticipazione del decesso del proprio assistito è favorito, oltre che dalla convinzione della liceità del trattamento con oppiacei alla fine della vita, dal ritenere vincolanti le decisioni di non trattamento espresse dal paziente e lecite le decisioni sostitutive dei familiari e dal riconoscere un diritto del paziente a nominare un fiduciario. Temere l’impatto negativo sulla relazione medicopaziente di una legalizzazione dell’eutanasia o ritenere che il compito del medico sia sempre quello di tutelare la vita corrispondono invece a una minor tendenza del medico a prendere questo tipo di decisioni nella sua assistenza di fine vita (figura 2a).

Il giudizio di liceità sulla eutanasia attiva, richiesta o meno dal paziente, e il convincimento che le decisioni di non trattamento comunque formulate dal paziente siano vincolanti sono fortemente associati con quelle decisioni che non solo anticipano potenzialmente il decesso del proprio paziente ma che il medico giudica anche intenzionali. Anche il sostegno alla tesi del diritto di ognuno a anticipare la fine della propria vita favorisce fortemente questo tipo di decisioni, che sono invece fortemente contrastate dalla convinzione che il medico deve sempre tutelare la vita, che le cure palliative possono prevenire l’eutanasia, che legalizzare l’eutanasia su richiesta introdurrebbe su un pendio scivoloso e danneggerebbe la relazione medicopaziente. (figura 2b)

Discussione

La bassa rispondenza e il campionamento di convenienza degli ordini partecipanti, legato alla capacità locale di offrire sostegno allo studio, limitano la portata delle conclusioni che se ne possono trarre. La bassa rispondenza, in uno studio che trattava temi sensibili e che per aumentare le garanzie di anonimato ha rinunciato anche alle possibilità di un richiamo postale ai non rispondenti, era comunque attesa in considerazione della rispondenza osservata nel precedente studio EURELD, intorno al 40%.6,9 In occasione di quello studio era stato spedito un richiamo ai non rispondenti e assicurato un appoggio molto più attivo nelle 4 aree che partecipavano, grazie alla stampa scientifica medica locale e a un ampio coinvolgimento degli ordini dei medici interessati attraverso diretto contatto con i ricercatori, mentre in questo caso il coinvolgimento degli ordini era mediato centralmente dal committente dello studio. La significativa, maggiore partecipazione dei medici delle generazione tra i 40 e i 50 anni conferma il rilievo di una maggiore sensibilità a queste tematiche tra le nuove generazioni di professionisti.9

La scelta del metodo dell’ultimo decesso tra i propri assistiti per stimare l’incidenza delle decisioni mediche di fine vita, motivata anch’essa dalla definizione di tempo e di budget della committenza, ha esposto la stima dell’incidenza delle decisioni mediche di fine vita alle distorsioni di selezione già note in letteratura, essendo il medico rispondente portato a scegliere come ultimo non l’ultimo decesso in termini temporali effettivamente verificatosi tra i suoi assistiti, ma l’ultimo decesso maggiormente esemplificativo del tema oggetto dello studio.11 Da qui l’eccesso di morti per cancro in giovane età, in modo non improvviso né inatteso. Peraltro lo studio ITAELD ha permesso per la prima volta di quantificare attraverso un confronto con i decessi attesi i caratteri di questa selezione, aprendo la strada alla possibilità di letture aggiustate delle rilevazioni che seguiranno ancora questo metodo, che è il più semplice ed economico tra gli studi epidemiologici sulle decisioni mediche di fine vita. Lo studio ITAELD conferma l’importanza delle convinzioni religiose o filosofiche per le decisioni mediche di fine vita. Il dibattito in corso sulle direttive anticipate dimostra ampiamente questo elemento per quanto riguarda l’opinione pubblica; lo studio aggiunge, confermando lo studio EURELD9,10, la grande rilevanza che il background religioso o filosofico ha anche per i medici, coinvolti in prima persona in questi processi decisionali.

È interessante anche notare la sostanziale stabilità dell’atteggiamento dei medici riguardo al riconoscimento dell’autodeterminazione dei pazienti rispetto allo studio EURELD9,10 l’intervallo temporale effettivo tra le due rilevazioni è di 67 anni nonostante il grande dibattere questi temi nel nostro Paese, avvenuto proprio tra uno studio e un altro. Nell’ambito medico il confronto era ancora molto aperto nel 2007 e non emergevano tendenze largamente maggioritarie a favore di una particolare soluzione legislativa. Di fronte all’autodeterminazione del paziente, ove questa si scontrasse col dovere professionale di tutela della vita, erano tuttora presenti due concezioni difficilmente conciliabili: se il 55% dei medici si esprimeva a favore della vincolatività delle direttive anticipate, alta (33%) era anche la percentuale dei contrari e ancora molti erano gli incerti (12%). Sarà interessante ripetere la rilevazione quando l’iter parlamentare della materia legislativa concernente le dichiarazioni anticipate di trattamento termine preferito dalla Commissione nazionale di bioetica,12 a quello di direttive anticipate utilizzato nello studio ITAELD sarà concluso.

Al di là delle opinioni espresse, la ricerca specializzata ha sempre dato una certa priorità alla rilevazione dei comportamenti effettivamente messi in atto, evitando accuratamente l’utilizzo di termini caricati di valore etico per ridurre al minimo le attese distorsioni da “ricerca di approvazione sociale” su temi così sensibili. La stima delle decisioni mediche di fine vita offerta dallo studio ITAELD conferma le linee principali emerse nello studio europeo EURELD circa l’eccezionalità dei comportamenti direttamente eutanasici nel nostro Paese.6 La proporzione di decisioni di non trattamento con possibile anticipazione del momento del decesso appare nello studio ITAELD maggiormente in linea con la media delle rilevazioni europee, intorno a un caso ogni cinque. 13 Sia per la morte medicalmente assistita sia per le decisioni di non trattamento è peraltro probabile una sovrastima a motivo della selezione dei decessi più problematici.

Recependo il dibattito seguito alla pubblicazione dello studio EURELD lo studio ITAELD non ha considerato tra le decisioni mediche di fine vita l’utilizzo degli oppiacei. Assumendo la correttezza di questa scelta è importante dare, sulla base di questo secondo studio, una lettura più circostanziata del fenomeno della medicalizzazione del morire nel nostro Paese.

Se con questo s’intende l’alta proporzione di deceduti in ospedale, l’alta prevalenza di sintomi trattabili con intervento farmacologico anche a costo di una diminuzione grave delle capacità di interazione con l’ambiente, o il fatto che una persona morente su due ha avuto il sostegno di un infermiere professionale alla fine della vita, l’espressione è appropriata e indica un cambiamento importante, e ancora in divenire, nel come si muore oggi in Italia, già evidenziato da indagini simili per quanto limitate ai deceduti per causa oncologica.5 Si tratta di un cambiamento ricco di potenzialità e limiti: mentre ancora si struttura la rete delle cure palliative e degli hospice si fa già chiaro che una proporzione importante di decessi è destinata comunque a avvenire ancora in ospedale, per cui diventa importante implementare percorsi di cura attualmente in sperimentazione anche in Italia14,15 e specificamente pensati per i morenti in ospedale.

Focalizzando le ultime ore di vita lo studio dà ulteriori indicazioni anche riguardo alla rilevanza che ha ormai assunto la pratica della sedazione in prossimità del decesso. Le percentuali rilevate, analoghe a quelle recentemente pubblicate per la Gran Bretagna16 adottando un disegno di studio simile a quello di ITAELD, sono circa il doppio della stima già alta dello studio EURELD. 17 Anche tenendo conto della possibilità di una sovrarappresentazione dei casi “complicati” con questo disegno di studio, il fatto che un paziente su cinque riceva una sedazione profonda in prossimità del decesso conferma la necessità di formazione e adozione di linee guida ben oltre l’ambiente specialistico delle cure palliative.18

Se invece si suggerisce che la medicalizzazione del morire porti con sé inevitabilmente l’estendersi della responsabilità di poter determinare l’anticipazione del decesso attraverso la stessa maggior cura del processo del morire, i risultati dello studio ITAELD contribuiscono a ridimensionare questa lettura. In presenza di un decesso non improvviso né inatteso, è tre volte più frequente che il medico non assuma decisioni che potenzialmente incidono sulla aspettativa di vita, che non il contrario.

Infine vale la pena di sottolineare un punto di forza e di originalità dello studio: la rilevazione contemporanea degli atteggiamenti e delle pratiche dei medici. Questo ha reso possibile studiare l’associazione, che si sa essere tutt’altro che diretta, tra comportamento effettivo e convincimenti di ordine eticoprofessionale. Si possono avanzare dai risultati ottenuti due letture principali: a) essere convinti della liceità dell’uso di analgesici oppioidi nel fine vita è fortemente associato (OR=28) all’effettuare decisioni di non trattamento con possibile anticipazione della fine della vita; è possibile che considerazioni etiche del genere del “doppio effetto” supportino questa pratica come quella della somministrazione di alte dosi di analgesici, e si oppongano implicitamente al radicalizzarsi della interpretazione di un dovere assoluto di tutela della vita a prescindere da considerazioni mediche di appropriatezza; b) l’attribuzione di intenzionalità all’effetto possibile di accorciamento della vita si associa invece all’accettazione della volontà validamente espressa dal paziente come vincolante per il medico (OR=15), accettazione verosimilmente supportata da considerazioni etiche di altro ordine, che riconoscono valore assoluto al principio di autonomia in campo medico. Le posizioni etiche dei professionisti dunque, in ogni spazio non presidiato da un intervento puntuale del legislatore, appaiono determinanti della pratica medica e dovrebbero essere oggetto pertanto di formazione e confronto.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno

Finanziamento e precedenti pubblicazioni. Lo studio è stato finanziato dalla Federazione dell’ordine dei medici chirurghi e odontoiatri (FNOMCeO); risultati preliminari sono stati presentati nella Conferenza dell’OdM tenutasi a Udine nel 2007 e parzialmente pubblicati come rapporti su Toscana medica, organo di informazione degli OdM della regione Toscana.

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