AIDS e tossicodipendenza: determinanti della sopravvivenza nell’era delle terapie antiretrovirali altamente efficaci
Introduzione
La sopravvivenza delle persone con infezione da HIV/AIDS è notevolmente aumentata con l’introduzione delle terapie antiretrovirali altamente efficaci (HAART),1,2 ma è noto come la loro aspettativa di vita sia ancora nettamente inferiore rispetto a quella della popolazione generale.3-5 Per coloro che hanno contratto l’infezione da HIV attraverso l’uso iniettivo di droghe (IDU) l’aumento della sopravvivenza attribuibile alle HAART risulta meno evidente che per le persone contagiate per via sessuale.6-8 In Italia, dal 1984, esiste un sistema di sorveglianza nazionale che prevede la notifica obbligatoria delle nuove diagnosi di AIDS al Registro nazionale (RNAIDS). La sottonotifica delle diagnosi di AIDS al RNAIDS è stata stimata attorno al 5%.9 Contrariamente alla notifica di AIDS, l’aggiornamento del-l’informazione sullo stato in vita delle persone con AIDS non è sistematica, rendendo difficile calcolare stime di sopravvivenza attendibili.8 Uno studio recentemente condotto dal nostro gruppo ha permesso di aggiornare le stime di sopravvivenza dei casi di AIDS italiani diagnosticati dal 1999 al 2005 attraverso un incrocio con i dati di mortalità ISTAT.10 Lo studio ha evidenziato un ulteriore guadagno in termini di sopravvivenza (il 75% era vivo dopo due anni dalla diagnosi) rispetto a quanto documentato per i casi diagnosticati tra il 1995 e il 1998, periodo immediatamente successivo all’introduzione delle HAART (quando la sopravvivenza a 2 anni era del 66%).8 Inoltre, lo studio ha evidenziano un rischio di morte più elevato negli IDU rispetto ai gruppi di trasmissione dell’HIV per via sessuale (rispetto agli IDU, gli hazard ratio di omosessuali ed eterosessuali erano entrambi 0,6 con intervalli di confidenza al 95% pari a 0,4-0,7 e 0,5-0,7, rispettivamente).10 Sebbene la quota di casi di AIDS dovuti a IDU in Italia sia diminuita progressivamente negli anni, passando dal 65% prima del 1996 al 31% nel 2004-2005,11 essi continuano a rappresentare un gruppo di popolazione sul quale l’infezione da HIV/AIDS esercita un grande impatto e il cui peso in termini utilizzo di risorse sociosanitarie è rilevante. Questo studio, pertanto, concentra la propria attenzione sugli IDU italiani con AIDS con l’obiettivo di stimarne la sopravvivenza e di identificare quali fattori, fra quelli rilevati alla diagnosi di AIDS, ne influenzino la prognosi. Inoltre, lo studio si propone di descrivere le principali condizioni morbose che hanno contribuito al decesso.
Metodi
Questa ricerca prende spunto dalla casistica e dalla metodologia di uno studio recentemente condotto dal nostro gruppo.10 In sintesi, i dati di 12.433 persone con AIDS diagnosticato nel periodo 1999-2005 in Italia sono stati incrociati con quelli registrati all’ISTAT e relativi a oltre 4 milioni di decessi avvenuti tra il 1999 e il 2006. Dopo l’esclusione dei casi di AIDS di nazionalità non italiana, dei casi pediatrici (età inferiore a 13 anni) e delle persone con diagnosi di AIDS contestuale al decesso, sono rimasti 9.662 casi, di cui i 4.040 (42%) IDU oggetto del presente studio. L’aggiornamento, al dicembre 2006, dello stato in vita dei casi di AIDS è stato effettuato presso gli archivi di mortalità dell’Istituto di statistica (ISTAT). Qui i certificati di morte vengono raccolti e informatizzati includendo, a partire dal 1999, anche nomi e cognomi. L’incrocio delle basi di dati è stato effettuato utilizzando un programma di record linkage semi-automatico (SALI),12,13 sviluppato e validato per appaiare individui sulla base di nome, cognome e data di nascita, tenendo conto di possibili errori di trascrizione. Il sistema opera con procedure che non visualizzano gli identificativi personali nel corso dell’operazione e li rimuovono dal dataset finale. Per ogni caso di AIDS segnalato sono stati raccolti dati socio-demografici (per esempio età, scolarità, comune di residenza) e dati relativi all’infezione, tra cui le date di diagnosi di AIDS e di prima positività al test HIV, la modalità di trasmissione dell’HIV (per esempio rapporti omo/eterosessuali, uso iniettivo di sostanze stupefacenti) e lo stato immunitario del paziente alla diagnosi (per esempio numero di cellule CD4/mm3). Relativamente alla storia di terapie antiretrovirali, le informazioni raccolte non permettono di ricostruirla nel dettaglio, in particolare per quanto riguarda il tipo e la durata delle terapie. Sulla scheda vengono inoltre riportate le malattie che hanno indotto a diagnosticare l’AIDS (malattie indicative), fino ad un massimo di 6. Per le finalità di questo studio, tali malattie sono state raggruppate in: linfomi non-Hodgkin (LNH) (cioè, linfoma primitivo cerebrale, linfoma di Burkitt e linfoma immunoblastico), cancro invasivo della cervice uterina, sarcoma di Kaposi, polmonite da Pneumocystis carinii, altre infezioni opportunistiche, wasting syndrome ed encefalopatie da HIV. I casi con più di una malattia indicativa di AIDS sono stati assegnati al gruppo a peggior prognosi.8
Tutte le condizioni morbose che hanno contribuito al decesso (cause iniziali, intermedie, terminali, altri stati morbosi rilevanti, cause di morte violenta), così come riportate sul certificato di morte, sono state raccolte e manualmente codificate in gruppi gerarchici in base alla presenza delle malattie indicative di AIDS sopra descritte (cioè persone con almeno una malattia indicativa di AIDS in qualsiasi campo del certificato di morte, a prescindere dalle altre cause di decesso, oppure persone che non presentavano alcuna malattia indicativa di AIDS al decesso). Il tempo di follow up è stato calcolato a partire dalla data di diagnosi di AIDS fino alla data di morte o al 31 dicembre 2006 (data di censura per le persone non ritrovate negli archivi di mortalità ISTAT). Le curve di sopravvivenza sono state stimate con il metodo di Kaplan-Meier e l’eterogeneità tra gli strati, in termini di probabilità di sopravvivenza, è stata verificata utilizzando il log-rank test. Inoltre, è stato utilizzato un modello multivariato di Cox al fine di identificare e quantificare possibili associazioni tra il rischio di morte e i fattori prognostici, quali età alla diagnosi, sesso, area di residenza, livello d’istruzione, modalità di trasmissione dell’HIV, anno di calendario, cellule CD4 al momento della diagnosi, tempo trascorso tra il primo test HIV positivo e la diagnosi di AIDS e malattie indicative di AIDS. L’ipotesi di proporzionalità dei rischi è stata valutata attraverso il grafico della trasformata della funzione di sopravvivenza, log(-log(S(t))), verso il tempo t, la significatività dei parametri d’interazione con il tempo introdotti nel modello di Cox e l’analisi dei residui di Schoenfeld. Sono stati calcolati gli hazard ratio (HR) e i relativi intervalli di confidenza al 95% (IC 95%).14 Il test per il trend è stato effettuato valutando la differenza di -2log(verosimiglianza) tra il modello con e senza un parametro lineare che assegna uno stesso valore progressivo a tutti i soggetti che si trovano nella stessa categoria della variabile in esame.14
Risultati
La mediana di follow up dei 4.040 IDU inclusi in quest’analisi era di 40 mesi (range inter-quartile, RIQ: 16-67 mesi), mentre l’età mediana alla diagnosi di AIDS era di 38 anni (RIQ: 35-42 anni). La maggioranza degli IDU erano maschi (80,3%), provenivano dal Nord (58,9%) e avevano come titolo di studio la licenza media (66,8%) (tabella 1). Tra questi 4.040 IDU sono stati registrati, al dicembre 2006, 1.581 decessi: la probabilità cumulativa di sopravvivenza è risultata del 79,3% (IC 95% 78,0-80,5) a 1 anno, del 71,9 % (IC 95% 70,4-73,2) a 2 anni e del 59,5% (IC 95% 57,8%-61,1%) a 5 anni dalla diagnosi di AIDS. La sopravvivenza in base all’età alla diagnosi di AIDS è illustrata in figura 1.
Figura 1. Curve di sopravvivenza di Kaplan-Meier relative a 4.040 casi di AIDS in persone che hanno contratto l’HIV con uso iniettivo di droghe per età alla diagnosi di AIDS. Italia 1999-2006.
Figure 1. Kaplan-Meier survival curves of 4,040 people with AIDS who were infected through injecting drug use in strata of age at diagnosis. Italy 1999-2006.
A 5 anni dalla diagnosi era vivo il 66,0% dei minori di 35 anni (IC 95% 62,8%-69,3%), il 61,1% dei 35-39enni (IC 95% 58,5%63,7%), il 57,0% dei 40-44enni (IC 95% 53,7%-60,2%) e il 46,1% degli IDU di 45 anni e più (IC 95% 40,8%-51,3%). I risultati dell’analisi multivariata sull’associazione fra diversi fattori prognostici e il rischio di morte per tutte le cause sono riportati in tabella 1.
Tabella 1. Distribuzione di 4.040 persone con AIDS che hanno contratto l’HIV con uso iniettivo di droghe, con hazard ratio di morte e rispettivi intervalli di confidenza al 95%, per alcuni fattori demografici e caratteristiche presenti alla diagnosi di AIDS. Italia, 1999-2006.
Table 1. Distribution of 4,040 people with AIDS who were infected through injecting drug use, with hazard ratios of death and corresponding 95% confidence intervals, according to demographic factors and selected variables at AIDS diagnosis. Italy, 1999-2006.
Rischi elevati risultavano associati all’età alla diagnosi (HR=2,0 per >45 anni vs. <35 anni), a un basso livello d’istruzione (HR=1,4 per scuola elementare vs. diploma/laurea), a un minore numero di cellule CD4+ alla diagnosi di AIDS (HR=1,5 per <50 vs.>200 cellule/mm3) e a una maggiore durata dell’infezione da HIV (HR=1,6 per >6 mesi tra la prima positività al test HIV e la diagnosi di AIDS vs. <6 mesi). Rispetto agli IDU con polmonite da Pneumocystis carinii (PCP, sopravvivenza a 2 anni 82,1%, IC 95% 78,4-85,2%), sono stati osservati rischi di morte più elevati per i casi con linfoma primitivo cerebrale (HR=7,2; sopravvivenza a 2 anni 23,8%, IC 95% 8,7%-43,1%), linfoma immunoblastico (HR=3,3; sopravvivenza a 2 anni 42,4%, IC 95% 35,0%49,6%), linfoma di Burkitt (HR=2,0; sopravvivenza a 2 anni 61,6%, IC 95% 46,1%-73,8%) e carcinoma della cervice (HR=2,1; sopravvivenza a 2 anni 65,6%, IC 95% 47,4%78,8%), mentre i casi con sarcoma di Kaposi non avevano un rischio significativamente diverso (HR=1,2; sopravvivenza a 2 anni 76,4%, IC 95% 65,5%-84,3%). Sempre in confronto agli IDU con PCP, il rischio di morte risultava più elevato tra i diagnosticati con wasting syndrome o encefalopatie da HIV (HR=2,0; sopravvivenza a 2 anni 64,5%, IC 95% 61,4%67,4%) e tra coloro con altre infezioni opportunistiche (HR=1,4; sopravvivenza a 2 anni 75,8%, IC 95% 73,9%-77,5%). Per 1.567 dei 1.581 IDU deceduti era disponibile l’informazione sulle condizioni morbose presenti al decesso (tabella 2). Nel 48% dei certificati di morte era menzionata una malattia indicativa di AIDS: nel 13% dei casi si trattava di un tumore, nel 23% di un’infezione opportunistica e nel 12% solo di un’altra malattia indicativa di AIDS. Il 52% dei deceduti non presentava alcuna malattia indicativa di AIDS alla morte: nella maggior parte dei casi era menzionata una patologia epatica (27%), in aggiunta a tumori non diagnostici di AIDS (6%), infezioni (6%), altre condizioni (9%) o cause violente (4%).
Discussione
Il nostro gruppo ha precedentemente dimostrato che in Italia gli IDU con AIDS hanno una attesa di vita dopo la diagnosi di AIDS inferiore a quella delle persone infettate per via sessuale.10 La peggiore prognosi degli IDU rispetto agli altri gruppi di trasmissione dell’HIV è in accordo con i risultati di studi di coorte condotti su persone sieropositive,3,15 che hanno evidenziato addirittura un allargamento della differenza in termini di sopravvivenza tra IDU e gli altri gruppi nell’era delle HAART. In questo lavoro sono state approfondite le analisi relative ai determinanti della sopravvivenza degli IDU diagnosticati con AIDS tra il 1999 e il 2005 ed è stato possibile descrivere le cause di morte. I fattori presenti alla diagnosi di AIDS che risultavano negativamente associati alla mortalità degli IDU erano l’età elevata alla diagnosi, la bassa scolarità, un basso numero di cellule CD4 alla diagnosi di AIDS, una lunga durata dell’infezione da HIV, oltre alla presenza di alcune tipologie di malattie indicative di AIDS quali i linfomi non-Hodgkin. Tali fattori e il loro impatto sulla prognosi non differiscono rispetto a quanto osservato per le altre categorie di trasmissione dell’infezione da HIV e ben descritti in letteratura.8,10,16,17 In Italia, diversamente da quanto riportato da un recente studio americano,18 non sembra che la maggiore mortalità degli IDU sia riconducibile a un ritardo diagnostico dell’HIV, dal momento che per l’86% degli IDU la diagnosi di HIV aveva preceduto di oltre 6 mesi quella di AIDS (mentre per quanto riguarda i gruppi di trasmissione etero/omosessuale era del 35%). Sebbene in Italia non ci siano evidenze di una disparità di accesso alle cure tra IDU e altri gruppi di persone, data la gratuità del trattamento,19 non possiamo escludere del tutto ritardi nell’inizio delle HAART, scarsa aderenza o interruzione anticipata dei trattamenti, come emerso in altri studi.20-22 È noto come il rischio di morte degli IDU (sia HIV-positivi sia HIV-negativi) sia superiore a quello delle persone di pari età e sesso della popolazione generale, ma la mortalità degli IDU HIV-positivi è risultata essere comunque superiore rispetto a quella degli IDU HIV-negativi, sebbene la proporzione di decessi non associati all’HIV sia in aumento tra di essi.23,24 In questo studio, per quanto riguarda le condizioni morbose presenti alla morte, è stata evidenziata la presenza di una maggioranza di decessi associati a malattie non indicative di AIDS (52% rispetto a 33% e 40% degli omosessuali ed eterosessuali, rispettivamente). Questi risultati indicano che altri fattori potrebbero giocare un ruolo importante sulla prognosi, tra questi la presenza di comorbidità, in particolare infezioni da virus epatitici, e lo stile di vita particolarmente a rischio (overdose di stupefacenti, eccetera) di queste persone concordemente a quanto riscontrato in altri Paesi.22-27
Tabella 2. Distribuzione di 1.567 decessi fra le persone con AIDS che hanno contratto l’HIV con uso iniettivo di droghe per presenza nel certificato di morte di malattie indicative di AIDS. Italia, 1999-2006.
Table 2. Distribution of 1,567 deaths among people with AIDS who were infected through injecting drug use by presence of AIDS-defining illnesses at death. Italy, 1999-2006.
Nonostante sia stato necessario procedere ad alcune selezioni del gruppo in studio, la completezza costituisce il principale pregio di questa ricerca. Attraverso una procedura di record linkage standardizzata e validata28,29 è stato possibile analizzare la sopravvivenza dell’intera popolazione adulta italiana con AIDS. D’altro canto va sottolineato che la nostra ricerca ha utilizzato fonti di dati preesistenti e, pertanto, non ha potuto tenere in giusta considerazione il ruolo di altri fattori prognostici e potenziali confondenti oltre a quelli rilevati di routine sulla scheda AIDS. In particolare, è importante sottolineare come l’informazione sulle terapie antiretrovirali effettuate prima della diagnosi di AIDS fosse incompleta e come non sia disponibile alcuna informazione sulle terapie effettuate dopo la diagnosi. Tuttavia, è ragionevole pensare che nel periodo di studio, in Italia, la gran parte delle persone con AIDS sia stata sottoposta alle HAART, compresi gli IDU.8 Analogamente, non è possibile stabilire se coloro che avevano contratto l’HIV per uso iniettivo di droghe fossero ancora tossicodipendenti al momento della diagnosi o del decesso o se avessero seguito dei trattamenti specifici. In conclusione, i fattori presenti alla diagnosi di AIDS che risultano associati alla prognosi degli IDU e la forza delle associazioni risultano simili a quelli delle altre categorie di trasmissione dell’HIV. La più alta mortalità di queste persone può essere ricondotta, quindi, alla presenza di comorbidità e di particolari stili di vita.
Conflitti di interesse: nessuno.
Note: Progetto Nazionale AIDS 2006, Istituto superiore di sanità, grant ISS 20G.3 and ISS 20G.12.
Ringraziamenti: gli autori desiderano ringraziare L. Frova, F. Grippo, S. Marchetti, M. Pace, S. Cinque, G. Di Fraia, S. Pennazza (ISTAT, Roma) e S. Conti (Istituto superiore di sanità, Roma).
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