Modelli matematici della trasmissione delle infezioni
Introduzione
Dalla comparsa dell’epidemia da HIV (una delle più imponenti dell’era post-moderna1) a oggi si è prestata sempre maggiore attenzione alla diffusione globale delle malattie infettive. I determinanti che concorrono alla diffusione delle malattie infettive sono molteplici e interagiscono su scala sia locale sia globale. In particolare, la possibilità di viaggiare con facilità comporta lo spostamento frequente di un numero elevatissimo di individui, mentre i fenomeni di inurbamento tipici delle società in transizione, i cambiamenti climatici, i disastri naturali e i fenomeni di instabilità politica portano intere popolazioni a migrare all’interno di uno stesso paese, tra paesi limitrofi o tra continenti diversi.2 Nel caso delle infezioni a trasmissione sessuale, i mutamenti nei comportamenti della popolazione sono essenziali sia per la diffusione delle infezioni sia per il loro controllo.3 Inoltre, la capacità dei microrganismi di mutare su una scala temporale molto breve consente loro di occupare nicchie ecologiche nuove o lasciate «vacanti» da altri organismi, di mutare la loro struttura antigenica, di modificare la loro patogenicità e di sviluppare resistenze ai prodotti antimicrobici. Grazie alla loro capacità di mutare, i microrganismi possono eludere il sistema immunitario dei singoli soggetti e i sistemi di prevenzione collettivi. Lo studio della distribuzione delle malattie infettive, dei loro determinanti e dei sistemi di prevenzione si basa su modelli epidemiologici di natura ecologica. Questi sono diversi da quelli utilizzati per lo studio delle malattie croniche. La probabilità di infettarsi di un individuo in una popolazione è funzione dello stato di infezione degli altri individui della popolazione, mentre nel caso delle malattie non contagiose il rischio di ogni singolo soggetto di sviluppare una patologia è indipendente dal rischio degli altri individui della popolazione.4 Una suddivisione semplice, ma molto utile in termini epidemiologici, degli agenti infettanti è quella che li distingue in micro- e macro-parassiti: i primi, tra cui virus, batteri, funghi e protozoi, si moltiplicano nell’ospite umano e pertanto l’infezione può essere vista come un processo del tipo «tutto o nulla»; i secondi, tra cui gli elminti, si moltiplicano fuori dal-l’ospite umano: in questo caso l’infezione può essere vista come un processo cumulativo. In questa sede ci occuperemo unicamente dei modelli dedicati ai micro-parassiti.5
I modelli «compartimentali» deterministici
I modelli «compartimentali» deterministici (figura 1) sono tra quelli più semplici utilizzati per rappresentare la dinamica della trasmissione delle infezioni. La storia dell’infezione è frazionata in stati discreti, in base ai quali ogni individuo della popolazione viene classificato e quindi inserito in compartimenti rappresentanti ciascuno stato. Per esempio, per rappresentare il morbillo o l’influenza la popolazione (N) può essere suddivisa nell’insieme dei soggetti «suscettibili» (S), «infetti e contagiosi» (I) e «guariti e immuni» (R). Questo tipo di modello viene sinteticamente chiamato SIR. È possibile complicare questo modello aggiungendo compartimenti rappresentanti altri stati. Per esempio, se si vuole considerare lo stato di infezione latente non contagiosa (E), si usa un modello SEIR, mentre se si vuole considerare anche lo stato di immunità passiva derivato dall’immunità materna (M), ci si rivolge a un modello MSEIR. Nel caso in cui si guarisca dall’infezione senza sviluppare immunità i soggetti ritorneranno a essere suscettibili in funzione di un determinato tasso di guarigione, modello SIS. Inoltre è possibile stratificare la popolazione in base a una qualsiasi caratteristica rilevante per la trasmissione dell’infezione (per esempio, età e sesso).
In una popolazione chiusa, in cui tasso di natalità e mortalità si equivalgono e in cui sia in corso la diffusione di una malattia infettiva, il modello SIR può essere descritto da un semplice sistema di tre equazioni differenziali ordinarie
dS= µN-βSI -µS
dt N
dI = βSI -(γ + µ)I
dt N
dR = γI - µR
dt
dove la dinamica vitale è rappresentata da tassi di natalità e mortalità (µ), mentre la transizione tra i diversi stati è regolata dai tassi di infezione(β I/N) e guarigione (γ). Il tasso pro capite di infezione è anche noto come «forza dell’infezione» e in molti modelli viene indicato sinteticamente dal parametro λ = β I/N. Esso costituisce l’elemento non lineare del sistema: infatti il numero di soggetti contagiati e contagiosi a un generico istante nel tempo dipende non solo dal numero di individui suscettibili, ma anche dalla proporzione, rispetto alla popolazione totale, di soggetti contagiati e contagiosi all’istante precedente. Questo tipo di modello ipotizza un tasso medio costante di contatti tra i soggetti suscettibili (c) e altri soggetti della popolazione, dei quali una parte, la prevalenza di soggetti infettivi in una popolazione (I/N), può trasmettere effettivamente l’infezione nel corso del contatto con una probabilità p. Queste informazioni vengono sintetizzate dal parametro «tasso di trasmissione» (β), che agisce su entrambi i compartimenti di suscettibili e di contagiosi, causando la non linearità del sistema. Il potenziale diffusivo delle infezioni è riassunto dal «basic reproductive number» (R0), cioè il numero medio di infezioni secondarie che un caso genera in una popolazione totalmente suscettibile. Nel caso dei modelli SIR esso vale R0 = β/ γ+µ, tuttavia nel caso di infezioni dalla storia naturale e modalità di trasmissione articolate, la sua formulazione può essere più complessa.6 Se R0 >1 l’infezione tende a diffondersi in modo «epidemico», se R0 <1 l’infezione tende a estinguersi, mentre quando R0 =1 la diffusione dell’infezione sarà «endemica». R0 è un parametro complesso che incorpora caratteristiche specifiche del processo di trasmissione (nel caso dei modelli SIR descritte unicamente dal parametro β) e della durata dell’infezione (nel nostro caso: 1/ γ+µ). Un esempio tipico di questa complessità è dato dall’interazione tra infezione da HIV e tubercolosi, in quanto la popolazione viene ulteriormente divisa in sottogruppi (per esempio a seconda dell’età e del sesso o di possibili interazioni con altre malattie) e il numero di equazioni differenziali e di parametri che descrivono il sistema aumenta notevolmente. L’infezione da HIV aumenta sia la durata del periodo contagioso del soggetto affetto da tubercolosi, sia la suscettibilità all’infezione dei soggetti HIV positivi all’infezione tubercolare, pertanto la diffusione dell’infezione da HIV ha aumentato R0 della tubercolosi e quindi promosso una ripresa dell’epidemia tubercolare. Nel caso di malattie a potenziale pandemico, come per esempio la SARS o l’influenza, l’utilizzo di misure come la quarantena, l’isolamento in stanze a pressione negativa o la somministrazione di antivirali sono volti a ridurre R0 e quindi il potenziale diffusivo dell’infezione emergente in una po-polazione totalmente suscettibile.7 L’utilizzo di campagne vaccinali è invece volto a limitare la capacità diffusiva effettiva di un’infezione, che è riassunta dall’«effective reproductive number» (Rt = R0 S(t)/N(t) ), cioè il numero medio di infezioni secondarie che un caso può causare in una determinata popolazione in un determinato momento. Rtdipende sia da R0, sia dalla proporzione di soggetti suscettibili nella popolazione, che varia nel corso dell’epidemia. All’inizio di un’epidemia si verifica che Rt >1, nella sua fase di picco epidemico Rt=1, in fase di estinzione dell’epidemia R<1. Lo scopo di una campagna vaccinale non è quello di coprire tutta la popolazione suscettibile, quanto quello di raggiungere una soglia di copertura tale da avere R<1. Questa soglia, per un vaccino assolutamente efficace, è data da 1 -1/R0.
Modelli individuali e stocastici
Benché i modelli compartimentali deterministici si siano mostrati adeguati per spiegare la diffusione di malattie infettive come quelle prevenibili da vaccino, l’HIV/AIDS, la tubercolosi e molte altre ancora, essi sono caratterizzati da alcuni aspetti intrinseci che ne limitano l’utilità in specifiche situazioni, per esempio il fatto che le popolazioni siano trattate in modo continuo, mentre il numero di individui non può che essere discreto. La stocasticità gioca anche un ruolo importante alla fine di un’epidemia, in quanto fenomeni casuali a livello di popolazione, come l’ingresso di elementi infetti in una popolazione in un dato istante, o altri di natura individuale, come lo stato di salute personale, influenzano l’insorgere delle epidemie soprattutto nelle loro fasi iniziali. In particolare, quando un’infezione viene introdotta in una popolazione è possibile che questa si estingua per motivi di natura puramente casuale. In generale, la dimensione della popolazione, il numero iniziale di soggetti infetti e il potenziale contagioso di un’infezione influenzano notevolmente la variabilità della diffusione dell’infezione, e quindi la probabilità di estinzione di un’epidemia. Per poter tenere conto di questi fenomeni sono stati sviluppati modelli individuali, che tengono conto del destino di ogni singolo individuo in una popolazione, e stocastici, dove ogni soggetto della popolazione può andare incontro ai diversi eventi della storia naturale dell’infezione con una sua specifica probabilità.4 La figura 2 mostra la diffusione in una comunità chiusa (senza nati né morti) di una malattia infettiva la cui storia naturale può essere rappresentata con un modello SIR. Nella figura vengono messe in contrasto le stime prodotte dal modello deterministico (risolto con metodi numerici del tipo Runge Kutta) e da quello probabilistico (basato sul modello epidemico «Reed-Frost»8), di cui sono state effettuate 50 realizzazioni. Il pannello superiore rappresenta le curve epidemiche ottenute assumendo una popolazione di 100 individui (99 suscettibili e 1 infetto), mentre il pannello inferiore rappresenta le curve ottenute assumendo una popolazione di 1.000 individui (990 suscettibili e 10 infetti). Risulta evidente come all’aumentare delle dimensione della popolazione le stime da modello probabilistico tendano a convergere e a tendere a quella del modello deterministico.
La stratificazione dei compartimenti
Un altro limite dei modelli compartimentali consiste nel fatto che la probabilità di contatto tra i soggetti suscettibili e quelli infettivi dipende unicamente dal loro numero, o densità, nella popolazione. Dal momento che le infezioni vengono trasmesse nel corso di contatti sociali, questo tipo di assunzione è irrealistico. In alcuni casi è sufficiente stratificare i compartimenti in modo tale da tenere conto di variabili utili a qualificare i contatti all’interno della popolazione. Per esempio, per modellizzare adeguatamente la trasmissione di infezioni come il morbillo è necessario tenere conto dell’età dei soggetti e del calendario scolastico. Analogamente, per modellizzare la diffusione di infezioni sessualmente trasmesse è necessario suddividere la popolazione in base ai comportamenti sessuali. In altri casi si preferisce ricorrere all’utilizzo di modelli individuali che consentono di incorporare delle funzioni di probabilità di contatto tra soggetti basati su algoritmi che tengono conto della distanza sociale e spazia-le tra i diversi soggetti.9 Per esempio, certi modelli utilizzati per studiare la diffusione pandemica di malattie a trasmissione respiratoria, come la SARS e l’influenza, tengono conto dei movimenti a breve, medio e lungo raggio dei soggetti di una popolazione. Naturalmente, più il modello è complesso, maggiore è la quantità di dati necessari a informarlo. Un’utile proposta per descrivere flussi migratori potenzialmente infetti «verso» e «da» popolazioni esterne è quella di seguire gli spostamenti degli individui attraverso la rilevazione del segnale dei telefoni cellulari e del traffico dei passeggeri negli aeroporti.10 Questo tipo di interazioni è efficacemente rappresentato da «reti» di contatti (modelli network),9 che permettono di valutare quanto queste affluenze possano essere effettivamente correlate con l’effettiva trasmissione di una malattia.
L’immunità di gregge
Una delle conseguenze di sanità pubblica più importanti del comportamento non lineare dei sistemi di trasmissione delle infezioni è che gli effetti delle misure di controllo hanno un impatto diretto e uno indiretto sulla popolazione. La manifestazione più nota di questa dinamica è il cosiddetto effetto di «immunità di gregge».11
La figura 3 illustra il fenomeno, prendendo come esempio un’ipotetica infezione che può essere prevenuta con un vaccino la cui efficacia sia del 90%. L’infezione è causa necessaria per avere la malattia di interesse, come nel caso dell’infezione da HPV e del cancro alla cervice uterina. Dopo qualche anno dall’introduzione della vaccinazione nella popolazione, per esempio iniziando a vaccinare all’età di 13 anni le coorti nate nel 1997, ci si trova ad avere alcune coorti di nascita quinquennali coperte da vaccinazione, altre non coperte e una coorte parzialmente vaccinata. Se l’unica protezione offerta dalla vaccinazione fosse quella diretta la frazione di casi prevenuti dovrebbe coincidere con la proporzione di soggetti immunizzati (cioè efficacemente vaccinati). In realtà, la frazione di casi prevenuti è maggiore di quella attesa, sia nelle coorti vaccinate sia in quelle non vaccinate. Ciò è dovuto al fatto che i soggetti infetti «sprecano» dei contatti con soggetti protetti dalla vaccinazione, mentre la presenza di questi ultimi a sua volta protegge i soggetti non vaccinati della popolazione. Inoltre, dal momento che in questo modello i soggetti di coorti vicine tra loro tendono a «contattarsi» con maggiore probabilità, risulta che, con il progredire del tempo, la protezione indiretta che le coorti si forniscono a vicenda aumenta. Questo tipo di dinamica si può osservare quando si introduce una qualsiasi misura capace di ridurre la probabilità di un soggetto suscettibile di infettarsi. Pertanto, quando si vuole misurare l’impatto potenziale di un programma di prevenzione delle malattie infettive è necessario tenere conto anche degli effetti indiretti attribuibili alle misure testate.
Conclusioni
I costi associati alla costruzione di un modello sono relativamente contenuti, se paragonati a quelli che si devono sostenere per svolgere studi epidemiologici tradizionali, inoltre le capacità di calcolo dei moderni processori consentono di gestire modelli sempre più complessi. Pertanto l’utilizzo di modelli matematici sta progressivamente diventando parte integrante della progettazione di studi epidemiologici sperimentali e osservazionali e dei sistemi di sorveglianza delle malattie infettive.12
Ringraziamenti: gli autori ringraziano la dottoressa Milena Maule per gli utili suggerimenti e consigli forniti durante la stesura del manoscritto.
Conflitti di interesse: nessuno
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