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10/06/2011

Variabilità dei rischi e variabilità dei tassi

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Un’espressione molto spesso usata, seppur sia in larga parte solo gergale, è la seguente: «L’età spiega il 45% (o un altro valore) della variabilità della frequenza di ospedalizzazione». Ma non è sempre chiaro cosa si intenda con questa espressione: è facile equivocare tra diverse possibili interpretazioni.

La si può usare per dire che il 45% (o un altro valore) è il maggior rischio di ospedalizzarsi dovuto all’età e che, quindi, se l’età fosse una variabile binaria (giovani-anziani) il rischio relativo sarebbe di 1:1,45.

Un altro significato attribuibile a questa espressione può derivare dalla correzione dei tassi di ospedalizzazione di diverse aree per l’età, operazione che potrebbe aver comportato una diminuzione della loro variabilità del 45%.

Nessuna di queste due interpretazioni può ritenersi di per sé sbagliata ma sicuramente esse sono molto differenti tra di loro e non precisare cosa si intende dire può portare a “prendere dei granchi”. La variabilità dei rischi relativi, infatti, prescinde totalmente dalla disomogeneità delle strutture demografiche e socio-economiche dei denominatori, cioè degli insiemi dei soggetti delle aree a rischio di ospedalizzazione, mentre la variabilità dei tassi dipende principalmente, seppur non esclusivamente, da questa. Il problema, poi, si complica ancor di più se agiscono sulla popolazione due rischi, per esempio l’età e la povertà, con una forte interazione tra di loro che si potrebbe riscontrare tanto al numeratore quanto al denominatore.

Se noi conoscessimo tutti i fattori di rischio di un evento la correzione per questi fattori ci porterebbe a ridurre tutta la variabilità “spiegabile”, cioè la quota di variabilità totale non dovuta semplicemente a una variabilità stocastica. Se le popolazioni delle diverse aree fossero, infatti, totalmente omogenee per composizione rispetto ai fattori di rischio di un evento la variabilità tra aree che osserveremmo sarebbe esclusivamente una variabilità stocastica e se l’evento fosse relativamente raro la variabilità, come sappiamo, sarebbe, esclusivamente di tipo poissoniano.

Un esempio di come la variabilità dei rischi non produce una sensibile variabilità dei tassi regionali è quello della variabilità dell’ospedalizzazione rispetto al fattore “genere”: sappiamo che il rischio è differente per i due generi, con un eccesso di ricoveri nell’età riproduttiva per le donne cui segue un eccesso crescente di ricoveri negli uomini con il crescere dell’età (vedi figura 1).

Ma il rapporto tra i generi è molto omogeneo tra tutte le regioni e, quindi, i tassi non risultano influenzati dai rischi per genere.

Questo è il motivo per cui la standardizzazione per genere dei tassi risulta scarsamente necessaria, anche se l’interazione età-genere in alcuni casi potrebbe ugualmente consigliare di eseguirla.

Differente è il caso in cui invece siano omogenei i rischi ma molto diverse tra di loro le popolazioni; la variabilità dei tassi non è in tal caso dovuta alle differenze di rischio ma alle differenti strutture demografiche delle popolazioni regionali. In figura 2 si evidenzia per esempio come i tassi specifici per età di ospedalizzazione in Emilia Romagna e in Campania siano tra di loro abbastanza simili ma, a causa della struttura per età che mostra delle forti difformità, i tassi grezzi risultino diversi mentre se si procedesse alla standardizzazione per età  ritornerebbero tra di loro simili.

Per questa ragione è essenziale distinguere nettamente tra la rilevanza di un fattore nel determinare un rischio relativo e invece la rilevanza di un fattore nel determinare un valore di un tasso (o nello scindere questo tasso nelle sue componenti dovute ai diversi fattori).

Facciamo un esempio ipotizzando due zone in cui vi siano gli stessi rischi relativi dovuti a due fattori (età e povertà) che si compongono in senso moltiplicativo (quindi con interazione) e in cui le composizioni per età e povertà degli abitanti siano molto differenti. In tabella 1 le due popolazioni (e la loro somma assunta come standard).

Se gli eventi seguono esattamente il modello moltiplicativo seguente

Eventi = Popolazione * Costante * Rischio età * Rischio ricchezza + errore

e considerando nullo l’errore, uguale a 1:10 il rischio per età (giovani vs vecchi) e uguale a 1:2 quello per ricchezza (ricchi vs poveri) e la costante pari a 50/1000, allora si avrebbero le frequenze di eventi mostrate in tabella 2.

Guardando tutti gli eventi di A e di B, che sono 8.115, potremmo affermare che la vecchiaia da sola ne spiega 7.350 cioè il 90,6% mentre la povertà da sola ne spiega 5.230 cioè il 64,4% e le due assieme lasciano non spiegati solo i 235 eventi dei giovani ricchi (2,9%) e quindi spiegano il 97,1%; Potremmo allora dire, per differenza, che la povertà, aggiunta all’età, spiega il 6,5% (97,1% - 90,6%). Questo ragionamento sposta l’attenzione dal rischio relativo al rischio attribuibile, ma tanto l’indicatore età quanto l’indicatore povertà sono riferiti ai singoli individui e non al loro contesto territoriale, per esempio come «area prevalentemente giovane» ovvero «area mediamente povera».

Ragionando, invece, sui tassi quello grezzo per A sarà di 0,317; per B sarà di 0,495 e per la somma di A e B sarà di 0,406. Se si standardizza per età, considerando solo la distribuzione marginale per età in colonna e sommando, quindi, i valori per riga e similmente, in alternativa, standardizzando solo per ricchezza e, infine, standardizzando congiuntamente per età e ricchezza si otterrebbero i risultati riportati in tabella 3.

La percentuale spiegata (ultima colonna della tabella) è stata calcolata come variazione percentuale delle differenze tra il tasso standardizzato e quello grezzo (utilizzando i dati della penultima colonna della tabella), come segue:
((tasso std-tasso grezzo)/tasso std)*100;
per esempio:
7,3% = (0,17850 – 0,16539) / 0,17850 x 100.

La standardizzazione per età risulterebbe spiegare singolarmente il 7,3%, la standardizzazione per povertà il 66,9% e considerate insieme il 100,0%.

Di seguito, sono riportate le variabilità dei rischi individuali e dei tassi per zona (tabella 4). Si potrebbe, quindi, dire che, dato un rischio relativo di 20 per i vecchi poveri, la vecchiaia ne spiega il 50% e la povertà il 10%; leggendo invece gli eventi la variabilità individuale è spiegata dall’età al 91,6%, dalla povertà al 64,4%, e dalla combinazione al 97,1%; mentre esaminando la variabilità tra i tassi delle due zone l’età ne spiega il 7,3%, la povertà il 66,9% e insieme il 100%.

La variabilità a livello di singoli individui determina i “rischi individuali”, mentre la variabilità a livello aggregato determina i “rischi aggregati”, cioè i rapporti tra tassi. I rischi individuali e i rischi aggregati sono uguali solo se l’aggregato è formato da un insieme di individui che hanno tra di loro tutti e soli gli stessi rischi individuali. Quanta della variabilità dei tassi sia spiegata da un fattore non dipende quindi solo dal valore dei rischi individuali, ma molto di più da quanto è differente la distribuzione dei fattori di rischio all’interno delle popolazioni in esame, e questo soprattutto se si è in presenza di una interazione accentuata e di popolazioni sbilanciate rispetto ai fattori stessi.

Con questo esempio, chiaramente creato per fini dimostrativi stressando le differenza di composizione delle popolazioni e imponendo uguali rischi individuali, si evidenzia come, nonostante il rapporto tra i rischi relativi per età e ricchezza sia di 1:10/1:2, la standardizzazione per uno solo di entrambi produca scarsi effetti, mentre quella per i due fattori congiunti riporti, come atteso, il valore della popolazione standard spiegando, quindi, il 100% della variabilità dei tassi.

Si può osservare inoltre che, data la particolarità delle due popolazioni, la composizione dei loro rischi marginali è molto simile ed è ovvio che l’aggiustamento per i singoli effetti non produca effetti rilevanti, mentre l’interazione tra i due fattori è notevole e, quindi, l’aggiustamento più utile è proprio quello per l’interazione. Questo esempio evidenzia come sia molto importante aggiustare per i fattori che hanno grosse differenze di distribuzione nella popolazione e non solo per i fattori che hanno forti differenze nei rischi, o più precisamente che occorra aggiustare prioritariamente per i fattori dove la presenza di difformità di popolazioni e di rischi è congiuntamente più elevata.

In conclusione, se si vuole usare a tutti i costi l’espressione «il tal fattore spiega l’x% della variabilità» è bene precisare se si intende la variabilità dei rischi oppure la variabilità dei tassi, e questo per evitare di prendere, e di far prendere, dei granchi.

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