Rubriche
16/03/2020

Silice italiana, non solo polvere

Un libro nuovo che parla di salute e lavoro. Un libro sulle polveri che contengono silice cristallina, e su una malattia antica, la silicosi. Poco nobile la polvere, perché oltre a sporcare uccide in ogni parte del mondo; poco signorile la malattia, perché colpisce lavoratori ovunque sfruttati e in condizioni di cattiva salubrità ambientale. I medici sanno che la silicosi è una malattia polmonare irreversibile e incurabile, è causata dall’inalazione di polvere contenente particelle di silice cristallina, e la silice  è uno dei fattori di rischio in ambiente di lavoro più diffusi al mondo.
Concentrazione ambientale di polveri e durata dell’esposizione influenzano il rischio di malattia. Più alta la concentrazione maggiore il rischio, diminuire la  contaminazione ambientale è quindi la misura preventiva più semplice e logica, così pare non sia stato nel settore delle ceramiche di Civita Castellana, come riporta  avariani nel suo dettagliato racconto. La malattia è spesso silente, o si accompagna a dispnea e tosse. E le malattie respiratorie, si sa, sono di serie B, difficili da diagnosticare, il fumo di sigaretta confonde le acque, sono spesso sottovalutate, con una diagnosi difficile specie senza una radiografia del torace. Una malattia
«opinabile e nel contempo fatalisticamente insopprimibile» come dicono Franco Carnevale e Alessandro Baldasseroni nell’introduzione al volume. Ma la radiografia del  torace, in un passato non lontano, almeno in Italia, non si giovava nemmeno del sistema standardizzato di lettura dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Sistema  di classificazione delle pneumoconiosi). La qualità dell’accertamento diagnostico era dunque bassa, solo negli ultimi anni abbiamo istruito lettori capaci,  “Breader” secondo le direttive del NIOSH, e ancora oggi problemi continuano a essere presenti per la scarsa sensibilità dello strumento diagnostico. Insomma, una  malattia di serie B, di rilevanza sociale sì, ma in un sottobosco di indennizzi INAIL controversi, una “monetizzazione” per vendere la propria forza lavoro e la propria  salute, un discutibile “reddito da malattia” a ripagare sofferenze e sfruttamento.

Non solo silicosi

Non c’è dubbio che l’inalazione prolungata di silice causi la silicosi, ma non solo. Studi epidemiologici dimostrano che l’esposizione alla silice è associata a un aumento  del rischio di tumore polmonare. La cancerogenicità della silice è stata esaminata dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), che nel 1997 ha concluso  che l’inalazione di silice causa il cancro al polmone. Questo ha portato a classificare la silice cristallina come cancerogeno del gruppo 1. Come indicato nel capitolo curato da Pierluigi Cocco, vi sono prove forti e coerenti di una relazione dose-risposta, anche in soggetti che ancora non hanno contratto la silicosi, anche se il rischio di cancro ai polmoni da silice è inferiore a quello di alcuni altri agenti cancerogeni polmonari come il fumo di sigaretta o l’amianto. Il tema della  cancerogenicità ha sollevato discussioni in Italia e “perplessità” che altrove non si sono riscontrate, come se fosse poi così rilevante a fini preventivi che la silicosi  debba o non debba  essere considerata uno stadio necessario per la cancerogenesi. La rilevanza del tema cancerogenicità, comunque, ha messo in moto ovunque nel mondo nuovi  interventi legislativi. Come indicato nel capitolo di Giorgio Miscetti sui valori limite, l’amministrazione statunitense per la sicurezza e la salute sul lavoro (OSHA) ha  dimezzato l’esposizione professionale ammissibile di polvere di silice da 0,1 mg/m3 a 0,05 mg/m3 nel 2013. L’Europa però nella direttiva UE 2017/2398 ha sancito un  valore limite di esposizione molto meno cautelativo (0,1mg/m3), anche considerando quanto proposto da ACGIH (0,025 mg/m3) e da SCOEL (0,05 mg/m3). Insomma, le dinamiche legislative europee sono state molto più sensibili alle richieste delle lobby industriali di quanto non sia successo negli Stati Uniti.

Il sistema della prevenzione non ha funzionato

Ma in presenza di una esposizione professionale con un rischio noto, che comporta l’insorgenza di diversi quadri patologici (silicosi, tumore polmonare, malattie autoimmuni e danni renali) come si è mosso il Servizio sanitario nazionale italiano per garantire interventi esaustivi di prevenzione e di controllo della malattia? Se  non fosse per l’instancabile sforzo della NIS - Network Italiano Silice, dal 2002 gruppo tecnico delle Regioni (vedi intervento di Fabio Capacci), il tema sarebbe  rimasto nascosto, e in effetti, come dice Pietro Comba nella prefazione, è mancato un piano nazionale e le attività svolte sono state incostanti e non finalizzate. Questo libro ne racconta gli spezzoni, le esperienze e i fallimenti. Fallimento anche per l’epidemiologia italiana che non ha saputo coordinare un sistema di rilevazione attivo dei nuovi casi di malattia; l’incidenza di silicosi è rappresentata, nel bene e nel male, solamente dai riconoscimenti INAIL e gli unici dati che solo ora sono  disponibili sono quelli della mortalità per silicosi (intervento di Alessandro Marinaccio per l’Inail e di Giada Minelli per l’ISS). Ma il caso più grave è il fallimento del  sistema della prevenzione. Uno per tutti, quello della produzione di manufatti igienico-sanitari in ceramica, dove l’incidenza di silicosi, anche conclamate,  «rappresenta un caso rilevante nel panorama italiano, che non ha riscontri in altri settori produttivi e che perdura, restando irrisolto. La gravità del numero dei casi e degli effetti sanitari  sulla popolazione lavorativa dimostra che non si è fatto abbastanza in termini di protezione e prevenzione». Polvere italiana, un libro da leggere e consultare.

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