Rubriche
31/12/2019

Servizio sanitario, ricerca epidemiologica e tutela della salute mentale dei migranti

Le modalità attraverso cui le disuguaglianze sociali, economiche e demografiche producono effetti sulla salute (nella sua accezione più ampia, salute fisica, sociale e mentale) sono, com’è noto, molteplici.1 Tali meccanismi investono in modo particolare i migranti internazionali (chi vive in un Paese estero rispetto al proprio luogo di origine), per i quali le barriere linguistiche e culturali nell’accesso ai servizi di prevenzione e cura rappresentano una delle modalità con cui si generano svantaggi di salute.2 Nonostante sia difficile riassumere quali sono i bisogni di salute dei migranti, vari studi hanno riportato criticità in relazione a salute materno-infantile, diabete, alcune malattie infettive, salute occupazionale e traumi, salute mentale.3-10
Il progressivo aumento dei flussi migratori in Italia (secondo l’Istat, i cittadini stranieri residenti in Italia sono passati da 2,4 milioni nel 2005 a 5,1 milioni nel 2018) è stato recentemente accompagnato da un clima di diffidenza rispetto all’immigrazione, spesso stimolato da forze politiche che, associando al fenomeno migratorio – in maniera propagandistica – episodi di violenza ed eventi legati al terrorismo, hanno fatto leva sulla percezione di insicurezza della popolazione nei confronti degli immigrati. È evidente l’effetto negativo che questa diffidenza può produrre sulla salute dei migranti attraverso l’aumento di barriere e difficoltà rispetto a una loro corretta integrazione.11 In particolare, è proprio la salute mentale che può venire compromessa; dunque, può essere utile riflettere su come la presenza di mediatori culturali e la formazione degli operatori dei servizi di salute mentale possano essere una strategia per migliorare la salute dei migranti e il loro benessere sociale. In sintesi, le domande sono semplici: il nostro servizio sanitario ha strumenti per la prevenzione di disagi e disturbi mentali nei migranti vulnerabili? La ricerca epidemiologica può contribuire a individuare gli aspetti principali ed essere di aiuto per il nostro Sistema sanitario nazionale?

Migrazioni e violenza

In un editoriale dal titolo “Violent radicalization”, pubblicato nel 2017 sulla rivista International Review of Psychiatry, veniva affrontato un tema molto delicato, ovvero come può agire la società per contrastare gli episodi di terrorismo osservati negli anni recenti in Europa e negli Stati Uniti d’America.12 A seguire, un secondo editoriale considerava la paura di fenomeni di radicalizzazione violenta, in particolare quella legata a fondamentalismi religiosi (e talvolta attribuita indistintamente ai migranti), amplificata dall’impatto emotivo che l’esperienza anche indiretta di episodi di violenza può aver avuto sulla popolazione. Si sottolineava come l’identità, tipicamente basata su classe sociale, etnia, genere e lavoro, sia un bisogno umano fondamentale, particolarmente minacciato nelle persone provenienti da ambienti culturali e sociali di tipo tradizionale, in un contesto dove in pochi anni si è passati da un’economia basata sulla produzione e sull’industria a un’economia basata sul consumo e sull’informazione. Il fallimento nella capacità di soddisfare tale bisogno potrebbe, in determinati contesti, innescare il processo di radicalizzazione.13
In questa discussione, si è sottolineato il ruolo della psichiatria nel valutare e prevenire il rischio di comportamenti violenti legati a disagi e disturbi mentali, specialmente in Paesi come l’Italia dove il numero di migranti vittime di violenze e guerre nei Paesi di origine è in alcuni contesti elevato.14 La dimensione del fenomeno può rendere difficile la presa in carico dei problemi attinenti alla salute mentale di una popolazione particolarmente a rischio proprio per il tragico vissuto e può, allo stesso tempo, favorire fenomeni di intolleranza.

Tutela della salute mentale dei migranti

In Italia, si è aperta una riflessione ampia sulla necessità di tutela della salute mentale dei migranti e sulle implicazioni che ne conseguono.15
Nei migranti si osserva un aumento dell’incidenza di disturbi psicotici, dell’umore e d’ansia e da stress post-traumatico.16-18 La causa di questi disturbi va ricercata nella stessa esperienza migratoria quale fonte di stress, ma anche nella risposta individuale a tale esperienza, influenzata da fattori personali, sociali e culturali, e dalla spinta che ha causato la decisione di migrare, in particolare se questa è stata forzata. L’esperienza migratoria si differenzia, infatti, in relazione a quanto accade nelle sue diverse fasi, tipicamente quelle pre-migratoria, migratoria e post-migratoria, nelle quali aspetti come la motivazione e il controllo, l’età e il Paese di provenienza, la durata e l’esito del progetto migratorio modellano le aspettative del migrante e il benessere, incluso quello mentale.19
Lo stress della migrazione, che, interagendo con fattori che intervengono nelle diverse fasi del processo, può causare disturbi psichici, non si ferma però alla prima generazione di migranti, ma si estende alle generazioni successive, con modalità diverse.16 Se, infatti, è nelle prime generazioni che si osservano disturbi più elevati rispetto a quelli delle popolazioni ospiti, per esempio piscosi, è nelle seconde generazioni che si osservano rischi di patologia maggiori di quelli osservati nelle generazioni precedenti.20

Accesso ai servizi e ricerca epidemiologica

In Italia, le cure essenziali e gli interventi di medicina preventiva e di cura per la salvaguardia della salute individuale e collettiva sono garantiti a tutti, inclusi i cittadini extracomunitari non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno.21,22 Ciononostante, nel caso di disturbi mentali, le barriere che i migranti incontrano nell’accesso ai servizi possono limitare ancora di più la fruibilità delle cure di cui hanno bisogno. Vi sono, infatti, difficoltà nel riconoscimento e nell’accettazione della natura di tali disturbi da parte di chi nella migrazione ha investito molte delle proprie risorse materiali e non materiali, vi è una paura della stigmatizzazione e un’oggettiva difficoltà di comunicazione del disagio dal punto di vista linguistico e culturale. Inoltre, esistono gruppi particolarmente vulnerabili di migranti, come bambini e adolescenti, anziani e persone con malattie croniche, rifugiati e richiedenti asilo, profughi, la cui condizione può rappresentare uno stress aggiuntivo rispetto al processo migratorio stesso e le cui difficoltà di accesso ai servizi possono essere esacerbate.23,24
In Italia, una delle criticità osservate rispetto all’assistenza nell’ambito della salute mentale dei migranti riguarda la carenza di mediatori culturali nel servizio sanitario che ne limita l’uso, esitando in un aumento della gravità clinica e nel ricorso a trattamenti psichiatrici urgenti e coercitivi che, a loro volta, causano ulteriori traumi psicologici.15,25 La formazione sulla competenza culturale, intesa come la buona pratica che consente ai pazienti appartenenti a minoranze di sentirsi riconosciuti e supportati, può contribuire a ottenere maggiori risultati nella presa in carico, gestione e cura dei disturbi mentali associati all’esperienza migratoria.26 Tra le buone pratiche di assistenza in questo ambito rientrano anche i servizi di prossimità, il coordinamento tra servizi, l’informazione sul diritto all’assistenza, l’uso di servizi e tecnologie per superare le barriere linguistiche, senza dimenticare che l’integrazione sociale rappresenta la strategia principale per ridurre l’incidenza di disturbi psichici.27 Nella popolazione di rifugiati e richiedenti asilo, l’uso di interventi psicosociali (ossia quelli concentrati sulla relazione tra circostanze sociali rispetto a pensieri, emozioni e comportamenti) si è dimostrato utile nel miglioramento della salute mentale.28
Dare impulso alla ricerca epidemiologica per misurare l’occorrenza di disturbi mentali nella popolazione generale e nei migranti e per individuare le principali barriere di accesso alle cure nei diversi contesti locali può contribuire a produrre risultati utili alla programmazione di idonei interventi di promozione della salute mentale. L’analisi dei dati raccolti attraverso il Sistema informativo per il monitoraggio e tutela della salute mentale (SISM), istituito per la rilevazione di informazioni sugli interventi sanitari e sociosanitari erogati nell’ambito dell’assistenza a persone con problemi psichiatrici e alle loro famiglie,29 e l’integrazione tra fonti di dati diverse30,31 possono produrre elementi di conoscenza sulla domanda di assistenza psichiatrica dei migranti. Altre informazioni, come quelle dei ricoveri per patologie connesse con disturbi psichiatrici o degli accessi in pronto soccorso, possono aiutare a far emergere bisogni di cura non soddisfatti o percorsi non efficaci. A questo proposito, è utile menzionare la Rete degli studi longitudinali metropolitani (SLM), che riguarda i residenti di diverse città italiane.32 Gli SLM, che hanno previsto proprio l’integrazione di dati provenienti da diverse fonti, come quella anagrafica (per esempio, comune di nascita, sesso, luogo di residenza, cittadinanza, stato civile, stato in vita), sanitaria (per esempio, ricoveri e accessi in pronto soccorso, ma anche, in prospettiva, prescrizioni di farmaci, prestazioni ambulatoriali, prestazioni dei servizi di salute mentale), censuaria (per esempio, occupazione, istruzione, condizione abitativa), possiedono enorme potenzialità rispetto all’analisi statistica comparativa tra gruppi di popolazione provenienti da Paesi di nascita o cittadinanza diversi in relazione a molteplici problemi di salute mentale di interesse epidemiologico e sanitario. Un uso più estensivo di dati integrati potrebbe permettere anche di identificare popolazioni affette da patologie di interesse attraverso algoritmi traccianti. Tuttavia, queste tecniche sono state usate soprattutto per tracciare patologie croniche non riguardanti la salute mentale33 e senza distinguere per Paese di origine. Pertanto, nuove sfide si aprono sia per la definizione e validazione di nuovi algoritmi per l’identificazione di patologie psichiatriche sia per la difficoltà di integrazione di dati relativi alla popolazione immigrata, mobile per definizione e con problemi di correttezza dei dati anagrafici riportati.
Più complessa è la valutazione dei bisogni e della domanda di salute dei migranti non residenti, la fascia più fragile e vulnerabile, di cui si dispone solo di stime non complete della dimensione numerica e per i quali, a oggi, è impossibile integrare le informazioni esistenti con quelle di altre fonti, anche in considerazione della tutela della riservatezza, aspetto particolarmente delicato per richiedenti asilo e rifugiati. Dati provenienti dagli ambulatori straniero temporaneamente presente/europeo non iscritto (STP/ENI) o da fonti diverse da quelle istituzionali, come quelli raccolti per finalità di solidarietà e assistenza da ONG, privato sociale e organismi religiosi, possono in parte aiutare a colmare il vuoto informativo sulla salute dei migranti non residenti. Inoltre, approcci innovativi di integrazione e analisi dei dati, basati per esempio sullo sviluppo di ICT, possono consentire studi osservazionali su diversi temi di salute.34
In sintesi, nuovi e ulteriori sforzi conoscitivi sono necessari al fine di valutare lo stato di salute mentale dei migranti, nell’ottica di rendere i servizi di cura sempre più accessibili e migrant-sensitive nella nostra società.35

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