Se fossi una pecora verrei abbattuta?
Se fossi una pecora verrei abbattuta?
Liliana Cori
Scienza Express, 2011
Più volte Lorenzo Tomatis ebbe modo di accennare a una questione su cui sarebbe valsa la pena di indagare: cosa succederà in termini evolutivi agli organismi viventi e all’uomo – si chiedeva – sottoposti a così diverse, persistenti e sinergiche esposizioni a sostanze contaminanti? La domanda è ancora lì, sospesa, in attesa di qualcuno che sappia o possa coglierla provando a esplorare i limiti della tolleranza biologica e psicologica degli esseri viventi all’inquinamento. Charles Darwin definì il meccanismo della selezione naturale come il basso continuo del processo di trasmutazione delle specie; parafrasando, potremmo considerare oggi l’inquinamento di acqua, aria e suolo come il basso continuo della nostra epoca – un moderno criterio di selezione o forse una pericolosa deriva evoluzionistica – assieme alla presenza nel “nostro pane quotidiano” di residui di pesticidi, erbicidi, metalli e altre sostanze nocive di varia origine.
Liliana Cori – ricercatrice presso l’Unità di epidemiologia ambientale dell'Istituto di fisiologia clinica del CNR e già coautrice di Corpi in trappola (Editori Riuniti 2011), Ambiente e salute una relazione a rischio (Pensiero Scientifico 2009) e Una terra buona per tutti (Giunti 1995) – spiega che “Se fossi una pecora, verrei abbattuta?” è la domanda rivolta da una neo-mamma alla quale era stato chiesto di donare parte del latte con cui stava svezzando il suo bambino, per verificarne i contenuti di diossina, metalli e altri inquinanti ambientali. La richiesta era stata fatta nel corso di una delle campagne di biomonitoraggio che l’Unità di epidemiologia ambientale ha condotto in questi anni sulle popolazioni di Gela, Napoli, Caserta e Taranto. Al biomonitoraggio sono poi state abbinate indagini sociologiche, mirate a comprendere cosa pensino le persone coinvolte nei prelievi, quali percezioni abbiano dell’ambiente in cui vivono, come si sentano sapendo che l'inquinamento entra nei loro corpi e come sarebbe meglio operare per trasmettere loro le informazioni raccolte. La domanda emblematica di quella mamma è diventata il titolo di questo libro che è, sostanzialmente, un testo di divulgazione sui risvolti scientifici e sociali del biomonitoraggio.
L’esigenza di stesura di una tale pubblicazione è nata dall’esperienza dell’autrice e dei suoi collaboratori nelle province di Napoli e Caserta a contatto con una popolazione assediata molto nell'anima e per fortuna un poco meno nel corpo dai veleni della spazzatura a cielo aperto e delle discariche abusive. Un’esigenza mirata, per un verso, a informare in maniera semplice ma attenta i donatori volontari e la popolazione su cosa sia il biomonitoraggio umano, per un altro verso, a integrare in un quadro di riferimenti più ampi le conoscenze già sviluppate, sovente in modo auto-didattico, dalle persone coinvolte “che vogliono sapere tante cose e bisogna dirgliele spiegandosi molto bene” – spiega Liliana Cori,– senza timore di usare parole come nano-grammi, furani o dicloro-difenil-tricloroetano (DDT), perché chi è coinvolto nel monitoraggio, anche se non identifica con esattezza cosa indichino questi termini perlomeno se ne fa un’immagine. Così come, senza pretese di verità assolute, è possibile parlare di incertezza e complessità anche con i non specialisti che sono perfettamente in grado di misurarsi con questi concetti, “anche se magari li trasferiscono su riferimenti che non sono quelli del filosofo della scienza”.
La prima parte del testo presenta un riassunto storico focalizzato sull’impatto ambientale dell’umanità, fino a raccontare, dalla seconda metà del Novecento, l’emergere dell’ecologismo e della sensibilità ai problemi dell’ambiente: la nascita della legislazione, i primi studi, gli sviluppi dell’epidemiologia ambientale, il fiorire di istituzioni internazionali e organizzazioni non governative, protocolli, summit, sempre cercando di fornire una prospettiva completa il più possibile della complessità dei temi che legano ambiente e salute. Segue un capitolo sulle sostanze inquinanti più diffuse e nocive – dal DDT alle diossine, ai policlorobifenili fino ai metalli: arsenico, mercurio e piombo –, corredato di informazioni su proprietà chimico-fisiche, metodi di misura, rischi di tossicità e sulle forti contraddizioni fra economia e salute legate all’uso di queste sostanze. Successivamente, il libro racconta l’esperienza più recente del biomonitoraggio in Sicilia, Lazio, Campania, Puglia e Lombardia, citando le istituzioni coinvolte, le sigle (Sebiorec, Probe, Sebiomag) e gli obiettivi dei progetti, le reazioni della stampa e degli operatori, con tabelle che riportano i risultati del dosaggio delle sostanze tossiche, fino alla descrizione delle procedure di raccolta e analisi dei campioni, sempre con un linguaggio discorsivo e mai eccessivamente tecnico. I capitoli conclusivi si occupano, infine, di questioni maggiormente politiche e filosofiche: il concetto di rischio, la consapevolezza del pericolo, la richiesta di partecipazione della cittadinanza nella gestione dei problemi di inquinamento del territorio, con commenti ampi sull’opportunità di adottare modalità di comunicazione e informazione in un’ottica biunivoca, con le controparti, operatori e “operati”, poste su uno stesso livello. Chiude il libro una postfazione di Elena Gagliasso – insegnante di Filosofia e Scienze del vivente alla Sapienza di Roma – che, considerando l’impatto psicologico e la grande influenza che i risultati del biomonitoraggio dovrebbero avere sulle attività umane, invita gli operatori a sforzi ulteriori per favorire la partecipazione e il coinvolgimento della popolazione.
Cade quest’anno il cinquantesimo anniversario della pubblicazione di Primavera silenziosa: nel 1962, apparve negli Stati Uniti il libro della biologa statunitense Rachel Carson, una gentildonna rivoluzionaria che aprì all’opinione pubblica la prospettiva sulle gravi conseguenze della crisi ambientale. Si parva licet, pur con la sua brevità, la selezione degli argomenti e ampi margini per approfondimenti – limiti legati alla scelta di un’impostazione non didattico-programmatica del volume – il libro di Liliana Cori può ricordare nelle intenzioni almeno e nel linguaggio la pubblicazione di Rachel Carson. Un progetto di comunicazione alla pari sul tema dell’inquinamento e del suo impatto sulle popolazioni; un problema che riguarda tutti, per la cui soluzione o mitigazione ognuno deve fare la propria parte e assumersi le proprie responsabilità. Solo pochi anni dopo Primavera silenziosa, nel 1972, fu tenuta a Stoccolma la conferenza ONU sull'Ambiente umano e fu stampato I limiti della crescita, commissionato dal Club di Roma di Aurelio Peccei. La speranza è che questo testo, che allarga il concetto di solidarietà al mondo animale (essendo dedicato anche alle pecore contaminate che rischiano l’abbattimento), trovi spazi di discussione oltre quelli dei comuni e dei cittadini direttamente coinvolti da problemi di inquinamento persistente e, assieme, che altri studiosi trovino la capacità di scendere dalla pedana per raccontare e discutere intenzioni, metodi e risultati dei loro studi sulla salute delle popolazioni. Da consigliare a insegnanti ed educatori ambientali in particolare.