Rubriche
11/01/2009

Rifiuti in Lombardia: la parola ai comitati

Tra il 1994 e il 1995 in Lombardia diverse proposte impiantistiche relative alla gestione dei rifiuti urbani e industriali sono arrivate al pettine. Queste proposte erano il risultato della convergenza di obblighi normativi di tipo programmatorio (piani provinciali di smaltimento dei rifiuti, piano regionale di «emergenza» per i rifiuti industriali) e di libera iniziativa (nuovi impianti proposti da privati, trasformazione di impianti di combustione già esistenti in inceneritori per rifiuti), accomunati dal passaggio dalla discarica intesa come «soluzione finale» della questione rifiuti all’incenerimento presentato come innovazione e modernizzazione tecnologica. I progetti erano, e sono, presentati come indispensabili a fronte delle diverse «emergenze rifiuti», dell’esaurimento delle discariche esistenti e dell’opposizione sociale per realizzarne di nuove; si sottolineava che, grazie alle modifiche impiantistiche apportate agli inceneritori e a limiti più restrittivi per le emissioni all’atmosfera, era oramai superata la «sindrome da diossina» emersa a seguito del crimine di Seveso e alla scoperta che anche gli inceneritori emettevano questo cancerogeno in abbondanza. In altri termini si affermava, e si afferma, che l’esposizione a ingenti quantità di sostanze cancerogene, mutagene e teratogene, quali quelle prodotte dalla combustione dei diversi materiali di cui sono costituiti rifiuti, non comporta rischi per la popolazione, che questa esposizione è «accettabile » e comunque necessaria quale portato del benessere economico e del livello dei consumi individuali. A tale proposito va segnalato che sono rari gli studi epidemiologici relativi a popolazioni esposte ai rischi connessi a discariche e inceneritori; tali studi presentano certamente difficoltà di realizzazione, ma le omissioni da parte degli organi della sanità pubblica non hanno scusanti e non è comprensibile l’apparente disinteresse dei ricercatori più sensibili alle tematiche ambientali (tra le eccezioni vd. M. Bolognini, X.Baciacavallo, Medicina Democratica 1999; 127: 33-42).

Tornando al 1995, in Lombardia vennero allora condotti alla soglia dell’autorizzazione e della realizzazione 21 inceneritori pubblici per rifiuti urbani e 16 per rifiuti industriali. A questi sarebbero seguiti nel tempo almeno altri 30 impianti di incenerimento di diverso genere, con un corollario di impianti di cui si proponeva la trasformazione in inceneritori (in cementifici, centrali termoelettriche eccetera). Naturalmente veniva omesso che a ognuno di questi impianti si accompagnano ulteriori discariche per il «completamento del ciclo» (cioè per lo sversamento delle scorie tossico-nocive prodotte dalla combustione), e impianti di selezione e trattamento dei rifiuti indifferenziati finalizzati alla preparazione di un idoneo «combustibile dai rifiuti» (CDR). La risposta popolare autorganizzata ha cominciato allora ad attivarsi in modo meno improvvisato e locale rispetto agli anni precedenti. In molti casi, la mobilitazione è tuttora attiva, con il risultato che degli impianti allora progettati ne sono stati realizzati o sono in costruzione un numero che si conta sulla dita di una mano. La necessità di adottare forme di «agitazione permanente» da parte dei Comitati locali è stata incentivata dal succedersi di normative nazionali e regionali che hanno continuato nel solco «inceneritorista » allora avviato (questo vale sia per il «decreto Ronchi» con le sue «procedure semplificate» per l’autorizzazione di inceneritori presentati come impianti di «recupero energetico», sia per la normativa di incentivazione di produzione di energia elettrica con «fonti rinnovabili» tra cui sono impropriamente annoverati i rifiuti). Ciò ha determinato una maturazione dei Comitati e un’estensione e diversificazione dell’azione rispetto all’impegno originario. In altri termini la Lombardia, e non solo, ha visto sorgere spontaneamente decine di Comitati che hanno compiuto il passaggio dalla conoscenza alla coscienza critica del problema. Ogni Comitato ha la sua storia individuale, condizionata anche dalle caratteristiche socio-economiche e culturali dei luoghi e delle persone coinvolte, oltreché dalla evoluzione delle fasi di progettazione, pubblicizzazione, autorizzazione e (tentata) realizzazione del singolo impianto, ma è possibile indicare alcune caratteristiche comuni. Va considerato che nella maggior parte dei casi i siti prescelti sono collocati presso collettività di piccole dimensioni nelle quali, in precedenza, non c’erano stati momenti di contestazione; collettività ove operano organismi istituzionali (dal partito, al sindaco, al parroco) che i proponenti gli impianti considerano favorevoli e in grado di condizionare la popolazione. Può sembrare eccessivo parlare di «razzismo ambientale» (come negli USA dove gli impianti «sporchi» sono realizzati in corrispondenza delle comunità più deboli sotto il profilo economico e socio-culturale), ma la ricerca della comunità più debole e controllabile è confermata dal tipo di «migrazione » dell’impianto che, respinto inaspettatamente in una località, rispunta in un altro posto con caratteristiche simili alla prima. È anche per questo motivo che i Comitati sorgono inizialmente con l’obiettivo minimo di respingere dal proprio luogo l’impianto indesiderato e vengono, allo stesso tempo, rappresentati come campanilistici, oscurantisti (favorevoli alla perpetuazione delle discariche contro la modernità dell’incenerimento) e interessati solo a far spostare l’impianto il più lontano possibile. Dall’altra parte i proponenti gli inceneritori hanno iniziato a includere nei progetti specifiche indagini sulla predisposizione delle popolazioni e campagne informative (oltre alle usuali armi del danaro), per creare consenso attorno all’iniziativa. In provincia di Torino, per esempio, è in atto un ampio studio sulle popolazioni dei diversi siti ritenuti adatti ad accogliere un inceneritore pubblico per individuare sia le zone di maggiore opposizione, sia le motivazioni addotte al fine di costruire un’idonea campagna informativa per modificare gli atteggiamenti negativi.

L’approccio localistico originario dei Comitati deriva anche dalla forte coesione interna e dalla maggiore indipendenza da organizzazioni esterne (comprese le associazioni ambientaliste tradizionali spesso più impegnate in mediazioni che in un reale appoggio all’espressione locale). Grazie a queste caratteristiche, i piccoli Comitati arrivano a realizzare azioni estremamente decise e permanenti (per esempio blocchi che durano mesi, come nel caso della discarica di Buscate e di Cerro Maggiore, in provincia di Milano) che rompono gli equilibri politici in essere. Se l’impianto progettato non viene ritirato dopo l’esplicitazione dell’opposizione, la caratteristica locale viene persa e si passa da una percezione del problema vissuto come perdita di vivibilità della propria residenza, di rischio sanitario e di deprezzamento economico, a una dimensione che mette in discussione le radici del problema. Questa maturazione si accompagna, di norma, con un’apertura del Comitato locale alle realtà vicine e alla comprensione del fatto che il «problema rifiuti» non è risolvibile nella sua fase finale (lo smaltimento), ma in quella iniziale, la forma concreta di produzione e di consumo delle merci. Molti di questi contenuti sono oramai divenuti – a dispetto dei mass media che non ne parlano – di dominio pubblico, tanto che i più recenti Comitati, saltano le fasi iniziali e cercano subito di organizzarsi in rete ovvero di dare vita a coordinamenti di comitati che coprono un’area più ampia (per esempio una provincia). Nell’ambito di questa estensione organizzativa avviene lo spostamento dell’iniziativa dei comitati dal singolo impianto ai programmi delle istituzioni nelle quali è inserito l’impianto (piani provinciali) e alla richiesta che le amministrazioni mettano in atto subito una delle forme – quella più vicina alla diretta partecipazione del singolo – per introdurre una gestione dei rifiuti senza discariche e inceneritori, cioè la raccolta differenziata finalizzata al riciclaggio delle singole frazioni merceologiche contenute nei rifiuti. In altri termini si passa attraverso la critica dei contenuti dei piani e si arriva alla presentazione di vere e proprie vertenze che partono dalla richiesta di interventi nel campo della raccolta differenziata e della riduzione della produzione dei rifiuti (peraltro gli stessi principi indicati dalla normativa), comprensive di articolare proposte di modifica della normativa stessa.

Non è un caso, sempre per rimanere alla Lombardia, che la provincia con la più ampia partecipazione dei cittadini alle iniziative di raccolta differenziata e con la più alta resa di intercettazione di materiali (ormai prossima alla media del 50 %) è la provincia di Bergamo, cioè quella che ha conosciuto più precocemente la nascita dei Comitati e la loro organizzazione in Coordinamento provinciale. Una ulteriore fase di maturazione è l’estensione delle vertenze territoriali in materia di affermazione della salute, della sicurezza e dell’ambiente salubre dal progettato impianto ai problemi esistenti (cicli produttivi inquinanti, siti da bonificare, informazione sui temi della salute e dell’ambiente), arrivando a costruire un soggetto popolare autonomo che «mette il naso» in faccende in precedenza delegate al politico di turno e/o ai potentati economici locali. La lotta oltre che pagare è spesso un toccasana per la democrazia. Da ultimo ricordiamo che la rete dei comitati locali è oramai giunta a dotarsi di uno strumento nazionale che è il Coordinamento nazionale dei comitati e delle associazioni ambientaliste contro l’incenerimento dei rifiuti che ha proposto, nel 1999, con la Carta di Firenze, l’apertura di una vertenza nazionale sulla questione rifiuti.

Comitati e Coordinamenti

  • Coordinamento dei comitati popolari liguri e toscani per la difesa dell’ambiente http://www.geocities.com/Athens/Ithaca/4401/index.html
  • Coordinamento provinciale aperto «Difesa Salute Ambiente» (Reggio Emilia) cgarlap@tin.it
  • Coordinamento comitati antinceneritore, antidiscarica e di tutela ambientale della provincia di Bergamo vigoscam@axia.it falbo@eco.unibs.it
  • Coordinamento regionale di comitati e associazioni ambientaliste del Veneto Maurizio De Lorenzi tel 041-472433; fax 041-5382383
  • Comitato «Campanella» (Imola, BO) http://www.campanella.homepage.com
  • Comitato contro l’inceneritore dell’Ovest bresciano Fabrizio Valli, tel. 030-731233; Attilio Zinelli, tel. 030-653237
  • Comitato «Cittadini per il riciclaggio» (Brescia) cpanizza@tin.it ingmori@tin.it
  • Comitato «Associazione Amici della Lanterna » (Genova) amicilanterna@usa.net
  • Ecoistituto del Veneto e Forum Risorse e Rifiuti www.ecoistituto.veneto.it
  • Comitato permanente di lotta contro gli impianti di termodistruzione e CDR. – Battipaglia leda@inwind.it
  • Comitato contro i termovalorizzatori (Cisterna di Latina) Silla Tomassini tel. 0347-6298294; 06-9696191 fax 06-9693117
  • Comitato pistoiese per la difesa dell’ ambiente e del territorio cdami@hotmail.com
  • Comitato Salute e Ambiente di Livorno http://www.geocities.com/inceneritorelivorno/
  • Centro Servizi Ecologista http://members.xoom.com/ambientefutu
  • Centro di comunicazione e di iniziativa ecologista del Movimento Antagonista Toscano cdls@hotmail.com
  • Coordinamento Comitati AntiFenice Vulture- Melfese (PZ) Donato Capozzi tel. 0972-88886 – 0972-85024

Un parziale tentativo di censimento dei comitati italiani si può trovare in M. Caldiroli, La lotta paga, Medicina Democratica 1998; 119-121: 100-16. Per le realtà estere si consiglia una visita ai siti web www.greenpeace.org e www.zerowasteamerica.org.

Approfondisci su epiprev.it Vai all'articolo su epiprev.it Versione Google AMP