Prevenire le malattie genetiche è un interesse della sanità pubblica?
Nel 2009, il Centro fibrosi cistica di Verona ha segnalato1 che l’incidenza di nuovi nati affetti da fibrosi cistica in Veneto era in netta diminuzione, correlando il dato alla diffusione del test genetico per riconoscere i portatori. A prima vista, questo sembra solo positivo. Chi si lamenterebbe della scomparsa del vaiolo o di gravi tumori? Ma la prevenzione di malattie infettive, modello sul quale si fonda la nostra sanità pubblica, non pone i problemi delle malattie genetiche che riguardano l’etica della procreazione, l’interesse della collettività di decidere chi debba nascere o meno, quali malattie considerare talmente gravi da meritare un interesse pubblico.
Prevenzione genetica
Le domande sono state tante. Innanzitutto, bisognava capire come si era giunti a una situazione che sembrava specifica del Veneto, non segnalata altrove, in Italia o nel mondo. Il test del portatore non era stato incentivato dalla politica sanitaria, sembrava piuttosto un’adesione spontanea della popolazione a un’offerta non controllata, largamente privata, ma la gravità della malattia e il suo costo sociale imponevano di decidere se sussistesse un interesse pubblico nel diffondere un test che ne favorisse la prevenzione. Il problema sembrava nuovo, ma non lo era. In effetti, l’Italia era stato il primo Paese del mondo a promuovere campagne di prevenzione della talassemia attraverso la diffusione del test del portatore che, in poco tempo, avevano quasi fatto scomparire la malattia nelle zone endemiche, per la forte adesione della popolazione.2,3
Epidemiologia e genetica di fibrosi cistica e talassemia presentano forti analogie. Sono le due malattie genetiche più diffuse nella nostra popolazione con una frequenza di potatori dell’ordine di 1:25 persone, hanno trasmissione recessiva, elevato costo sociale, quadro clinico generalmente – ma non sempre – grave, causano mortalità precoce. Se si era pensato di eliminare una, perché non l’altra? E poi, perché non eliminare anche altre malattie che hanno più o meno lo stesso andamento epidemiologico, per esempio l’atrofia muscolo-spinale? E si potrebbe andare oltre, valutando malattie che, pur rarissime nella popolazione generale, non lo sono in particolari popolazioni, per esempio la malattia di Tay-Sachs, trenta volte più frequente fra gli ebrei ashkenaziti, oppure il tumore al seno nelle donne con familiarità per la malattia portatrici di mutazioni nei geni BRCA (Breast Related Cancer Antigens)? Di fronte alla possibilità tecnica di individuare i portatori di centinaia di malattie genetiche recessive, e quindi di offrire uno strumento di prevenzione alla popolazione, dobbiamo chiederci chi abbia interesse a farlo.
Un po’ di storia
Vale la pena di considerare alcuni esempi storici. La talassemia è stata eliminata a Cipro grazie a una forte volontà politica, ma anche grazie alla decisione della Chiesa ortodossa greca di rendere obbligatorio il test del portatore prematrimoniale.4 La malattia di Tay-Sachs è stata eliminata fra gli ebrei ashkenaziti grazie alla diffusione del test del portatore, divenuto, in alcuni gruppi ortodossi, obbligatorio per sposarsi.5,6 Le autorità di alcuni Paesi islamici, come l’Iran, rendono obbligatori test genetici prematrimoniali e disincentivano matrimoni fra cugini primi per prevenire la trasmissione di malattie genetiche. Sulla scia del successo mondiale nella prevenzione della malattia di Tay-Sachs, la sanità pubblica israeliana ha sviluppato diversi programmi di prevenzione attraverso test genetici preconcezionali.7
Questi esempi dicono che l’adesione a campagne di prevenzione genetica è stata spesso ampia, è stata oggetto di scelte di politica sanitaria ed è stata incentivata da autorità religiose. Alcune società scientifiche, come l’American College of Obstetrics and Gynecology o l’American College of Medical Genetics, promuovono i test genetici preconcezionali anche con indicazioni etniche specifiche8 per favorire scelte procreative consapevoli. In parallelo, bisogna tenere conto della forte diffusione, attraverso Internet, di test genetici predittivi, come quelli per malattie genetiche recessive, da parte di società commerciali che raggiungono direttamente “il consumatore” proponendo test del portatore per centinaia di malattie a costi sempre più bassi.9
Lo scenario si fa, quindi, sempre più complesso; il che, a mio parere, rende indifferibile un serio dibattito. Bisogna, innanzitutto, chiedersi se la scelta di un test genetico sia una prerogativa dell’individuo o di una coppia, che resta poi sola di fronte alla scelta procreativa, oppure se vi sia un interesse della collettività o dello stato, come storicamente è stato, nella prevenzione. La scelta di una genetica “liberale” è invocata da molti, altri pensano che l’offerta commerciale debba essere governata, altri ancora che essa debba far parte di una strategia preventiva. La discussione potrebbe scendere in dettagli che ho affrontato in un libro pubblicato recentemente.10
Genetica di comunità
Penso che la sanità pubblica debba far conoscere l’esistenza dei test genetici e renderli accessibili, sviluppando la genetica di comunità.11,12 Si invocheranno i costi. Ma non vi sono serie analisi dei costi di malattie genetiche, che lievitano con terapie molecolari o geniche e se, con una migliore assistenza, cresce la sopravvivenza.
Se l’aspetto economico è importante, quello etico è più complesso. Cosa prevenire e fino a dove spingersi? Vorremmo un mondo senza talassemia, ma se parliamo di malattie meno gravi? C’è chi opterebbe per l’aborto o la fecondazione assistita per il rischio di un figlio nano, ma la sanità pubblica ha interesse a farlo? Alcuni ne sostengono l’obbligo morale, altri ritengono che la “casualità genetica” sia un diritto inalienabile. Per alcuni, l’eliminazione della talassemia o della fibrosi cistica espone a un piano inclinato che prelude a scelte eugenetiche. Per altri è ora di ripensare il concetto di eugenetica.
Il documento del Comitato nazionale di bioetica redatto nel 199913 rappresenta ancora un quadro di riferimento valido a cui, però, non sono conseguite chiare scelte di sanità pubblica che mi sembrano urgenti a fronte della crescente offerta privata di test genetici. Infine, lamento, in Italia, l’assenza di un dibattito non specialistico sui rapporti fra sanità pubblica e derive eugenetiche.
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