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11/12/2018

Natimortalità e mortalità perinatale: regole di registrazione e ricadute epidemiologiche

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La mortalità perinatale – calcolata come rapporto tra il numero di nati morti sommato a quello dei neonati deceduti entro la prima settimana di vita in un determinato intervallo di tempo e il numero totale di nati (vivi e morti) nello stesso periodo – è universalmente considerata misura di salute riproduttiva della popolazione e di qualità delle cure. Sotto il profilo epidemiologico, ha il vantaggio di superare i fenomeni di misclassificazione che possono verificarsi in sala parto, particolarmente in casi di prematurità estrema (21-23 settimane di età gestazionale, EG), per incertezze su vitalità neonatale e opportunità di rianimazione. Però il suo valore come indicatore, soprattutto a livello internazionale, dipende dalla confrontabilità delle definizioni e, particolarmente per quanto riguarda la natimortalità, dei criteri di registrazione.
In Italia, la definizione di “nato morto” si basa ancora su una voce del glossario dell’Istituto nazionale di statistica (Istat), che da quasi 40 anni indica i 180 giorni di EG (pari a 25 settimane e 5 giorni) come limite per distinguere l’aborto spontaneo, da registrarsi mediante l’omonima scheda Istat, dal “nato morto” che va, invece, denunciato sul certificato di assistenza al parto (CeDAP), gestito dal Ministero della salute e molto più ricco di informazioni di interesse epidemiologico. Pertanto, un neonato di 24 settimane di EG rientra nel computo della mortalità perinatale se vivo alla nascita e deceduto entro una settimana, ma non se morto appena prima o durante il parto, poiché viene registrato come “aborto”.1 L’esempio illustra chiaramente che il limite dei 180 giorni è ormai obsoleto, visto che la probabilità di sopravvivenza a 24 settimane supera oggi il 50%2 e rianimazione in sala parto e cure intensive vengono ormai generalmente praticate a 23 e, sempre più spesso, anche a 22 settimane.
Per ovviare a incongruenze di questo tipo e alla variabilità dei criteri di registrazione della natimortalità tra i diversi Paesi europei ed extra-europei,3 l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha indicato il peso alla nascita di 500 grammi oppure, se questo non è disponibile, l’EG di 22 settimane come limite oltre cui il neonato deve essere registrato come “nato morto”,4 pur riconoscendo che i confronti con e tra Paesi non industrializzati possano limitarsi ai nati più maturi. Il criterio delle 22 settimane è adottato anche dal gruppo EUROPERISTAT,5 nei cui rapporti periodici, che presentano le statistiche perinatali di 29 Paesi europei, i dati italiani di natimortalità e mortalità perinatale vengono calcolati sommando il numero dei nati morti rilevato dal CeDAP con quello degli aborti spontanei avvenuti a EG ≥22 settimane.

Applicare il criterio OMS includendo nel flusso dei CeDAP tutti i nati vivi o morti con EG ≥22 settimane avrebbe il vantaggio di unificare la registrazione indipendentemente dalla vitalità alla nascita, garantendo per tutti la disponibilità delle stesse informazioni perinatali e, quindi, una maggiore possibilità di studiare, attraverso i dati correnti, un evento tragico e doloroso come la morte di un feto potenzialmente vitale. Una scelta ancora più radicale e coraggiosa, visto il rapido progresso della sopravvivenza dei nati pretermine, sarebbe l’inclusione nel flusso CeDAP di tutte le nascite a partire dalle 20 settimane, come avviene negli Stati Uniti,3 limitando il conteggio degli aborti spontanei, comunque sempre incompleto per le difficoltà di identificazione nel primo periodo della gravidanza, a quelli rilevati attraverso le schede di dimissione ospedaliera.
Per quanto riguarda la prima ipotesi, più conservativa, Istat e Ministero della salute stanno lavorando a uno “Studio di fattibilità per il miglioramento delle statistiche sulla natimortalità”, inserito nel Programma statistico nazionale 2017-2019.6 Devono, però, essere considerate anche le conseguenze di ordine tecnico, sociale e legislativo di un cambiamento simile.
Sotto il profilo statistico, ci sarebbe l’inevitabile interruzione della serie storica degli indicatori di natimortalità e mortalità perinatale, che ora considerano soltanto i nati morti rilevati dal CeDAP. Come già accaduto in passato per altri Paesi, l’aumento dei tassi sarebbe facilmente giustificabile con l’informazione sulla modifica della definizione (figura 1).
Ci sarebbero poi conseguenze di tipo sociale e legislativo. Attualmente l’obbligo di iscrizione all’anagrafe e il diritto alla sepoltura in cimitero sono in vigore, secondo il regolamento nazionale di polizia mortuaria,7 soltanto per i nati morti oltre le 28 settimane di EG, mentre tra 20 e 28, o anche prima se i genitori lo desiderano, è necessario fare richiesta entro 24 ore dal parto alla ASL di competenza. Diverse Regioni hanno, però, emanato leggi locali per facilitare la sepoltura di feti a qualsiasi EG,8 a testimonianza del mutamento di sensibilità individuale e collettiva che si sta verificando nel Paese e con cui la proposta revisione dei flussi statistici sarebbe perfettamente coerente.
Bisognerebbe, infine, aggiornare la legge sul congedo parentale,9 al momento concesso soltanto in caso di nato morto e non di aborto spontaneo. Seppure un po’ più impegnativo sotto il profilo economico e dell’astensione dal lavoro, una revisione che estenda i benefici anche alle morti fetali dalle 22 settimane in poi sarebbe importante per la salute psico-fisica della donna e rappresenterebbe il riconoscimento dovuto, fino a ora negato, nei confronti del lutto della coppia per la morte di un bambino che è stato desiderato, immaginato e perfino osservato con le indagini ecografiche in corso di gravidanza.

Bibliografia

  1. Baronciani D, Bulfamante G, Facchinetti F (ed). La natimortalità: audit clinico e miglioramento della pratica assistenziale. Roma, Il Pensiero Scientifico Editore, 2008.
  2. Stoll BJ, Hansen NI, Bell EF et al. Trends in Care Practices, Morbidity, and Mortality of Extremely Preterm Neonates, 1993-2012. JAMA 2015;314(10):1039-51.
  3. Joseph KS, Kinniburgh B, Hutcheon JA et al. Rationalizing definitions and procedures for optimizing clinical care and public health in fetal death and stillbirth. Obstet Gynecol 2015;125(4):784-88.
  4. World Health Organization. ICD-10: International statistical classification of diseases and related health problems. Volume 2. Instruction Manual. 10th revision – 5th edition. Geneva (Switzerland), WHO, 2016. Disponibile all’indirizzo: who.int/classifications/icd10/browse/Content/statichtml/ICD10Volume2_en_2016.pdf
  5. Zeitlin J, Mohangoo AD, Delnord M, Cuttini M; EURO-PERISTAT Scientific Committee. The second European Perinatal Health Report: documenting changes over 6 years in the health of mothers and babies in Europe. J Epidemiol Community Health 2013;67(12):983-85.
  6. Programma Statistico Nazionale 2017-2109. Disponibile all’indirizzo: http://www.sistan.it/index.php?id=511
  7. DPR n. 285 del 10.09.1990 “Approvazione del regolamento di polizia mortuaria”, articolo 7, commi 3 e 4. Disponibile all’indirizzo: http://presidenza.governo.it/USRI/ufficio_studi/normativa/D.P.R.%2010%20settembre%201990,%20n.%20285.pdf
  8. Ciaolapo Onlus. Tutela della gravidanza e della salute perinatale. Disponibile all’indirizzo: www.ciaolapo.it
  9. DL n. 151 del 26.03.2001 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”. Gazzetta Ufficiale n. 96 del 26.04.2001 – Supplemento ordinario n. 93. Disponibile all’indirizzo: http://www.parlamento.it/parlam/leggi/deleghe/01151dl.htm
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