Rubriche
26/04/2010

Mondovì: chi sorveglia gli ex esposti ad amianto?

Nei decenni scorsi la silicosi ha colpito a centinaia i ceramisti e i fonditori nelle numerose aziende presenti nel territorio di Mondovì (Cn). Con l’inserimento, a cominciare dal 1965, di nuove aziende che lavoravano amianto come materia prima o manufatti che lo contenevano, è sorta un’altra grave minaccia per la salute di lavoratori e cittadini. Ed è per questo motivo che un gruppo di lavoratori, fra i quali anche ex delegati sindacali, hanno deciso di costituire l’«Associazione rischio amianto e sostanze inquinanti per la salute » (ARASIS), che costituisce un punto di riferimento per tutti coloro che sono stati colpiti, direttamente o nei loro affetti, dal problema amianto. A tutte queste persone ARASIS offre assistenza e, qualora ne ravveda la necessità, il suggerimento di rivolgersi ai patronati sindacali di appartenenza (o di sceglierne uno), visto che sono i patronati sindacali ad avere titolo giuridico di inoltrare agli enti, tra i quali l’INAIL, le pratiche di richiesta di malattia professionale con tutto l’iter che ne consegue. Ora però voglio riferire sull’attività dall’ARASIS e sulle richieste che vogliamo porre alle istituzioni.

1997: l’ASL avvia la sorveglianza sanitaria degli ex esposti

Nel 1997, appena costituita l’associazione, insieme alle organizzazioni sindacali abbiamo richiesto un incontro con l’ASL 16 Mondovì-Ceva per verificare la possibilità di far svolgere alla ASL medesima la sorveglianza sanitaria sui lavoratori ex esposti ad amianto. Dopo vari incontri con il Servizio prevenzione rischi e sicurezza in ambienti di lavoro (SPRESAL) dell’ASL, questa ha proposto un protocollo di visite denominato «La tutela degli ex esposti ad amianto: informazioni e consigli utili per il controllo della salute». L’ASL ha prodotto in 5.000 copie una pubblicazione contenente le modalità di svolgimento delle visite su base volontaria e gratuita, fissando un tetto di 500 accertamenti su cui condurre alcune prime valutazioni dei rischi per la salute degli ex esposti ad amianto. Tra i promotori di questa iniziativa, che hanno compreso a fondo l’utilità e la necessità della sorveglianza sanitaria, voglio citare il dottor Comino, responsabile SPRESAL in quegli anni (ora sindaco di Franosa Sottana), il dottor Garelli e la dottoressa Cristina Bosco (allora direttore sanitario ASL 16 Mondovì-Ceva). Tra il 1999 e il 2001 sono state eseguite 200 visite. Dagli esiti e dalle valutazioni, sia pur su un campione inferiore alle 500 visite previste, si era ravvisata la necessità di svolgere indagini più estese.

2002: una legge regionale blocca gli accertamenti

Ma gli accertamenti vengono bloccati nel 2002 per decisione dall’Assessorato alla sanità regionale, che nel frattempo aveva affidato ai medici di famiglia la sorveglianza sanitaria degli ex esposti. Di conseguenza, i medici di famiglia dovrebbero disporre degli elenchi nominativi dei mutuati esposti ad amianto. In realtà, non si sa chi li abbia forniti loro, se esistono, se sono completi, chi possa controllarli. L’ARASIS, assieme ad altre associazioni, ha sempre sostenuto in varie sedi isituzionali il carattere empirico e inconcludente di questo sistema. Il risultato è che, dopo la forzata sospensione delle visite, ci siamo trovati senza tutele e senza punti di riferimento istituzionali. A tutto ciò si è aggiunto l’atteggiamento di alcuni medici di famiglia che negli anni scorsi hanno frapposto diverse difficoltà a rilasciare il primo certificato medico che attesta la probabile relazione della malattia con l’attività lavorativa da esposizione ad amianto (certificato che, vale la pena sottolinearlo, consente ai patronati sindacali di istruire la pratica di richiesta all’INAIL di riconoscimento della malattia professionale). Di fatto, sebbene nessuno neghi che il problema amianto esista, nessuno se ne occupa in maniera coordinata. A volte si ha la sensazione che lo si voglia rimuovere dalla memoria collettiva, ma non è possibile: la cronaca dei giornali e quella televisiva ne parlano periodicamente, Mondovì e la zona cir-   costante non possono essere ignorate. Anche perché i dati epidemiologici, e i malati, esistono: l’ARASIS è in possesso degli indici di mortalità di lavoratori ex esposti che andrebbero tenuti sotto controllo e indagati. Ci risulta che casi di mesotelioma della pleura siano stati diagnosticati in persone residenti in Mondovì estranee ai processi produttivi dell’amianto. Inoltre, tutti i casi di mesotelioma di cui siamo a conoscenza sono stati diagnosticati nell’ospedale di Cuneo, il che fa sorgere un interrogativo inquietante: le attrezzature di cui dispone l’ospedale di Mondovì permettono di diagnosticare il mesotelioma della pleura?

Sorveglianza sanitaria e previdenza: due buchi neri

A tutt’oggi ancora non è chiaro chi, e come, debba occuparsi della sorveglianza sanitaria. Noi come associazione ribadiamo che debbono essere le ASL tramite gli SPRESAL. Ben consci che la sorveglianza sanitaria:  

  • se condotta in maniera periodica tra gli ex esposti può avere molti obiettivi, anche di tipo preventivo: in alcuni casi (come nel tumore al polmone) i dati degli studi eseguiti mostrano risultati incoraggianti; 
  • può far riconoscere altre malattie, professionali o no (non asbesto correlate) in una popolazione che sicuramente ha lavorato in condizioni a rischio; 
  • permette di giungere a una diagnosi precoce per l’asbestosi, che consentirebbe l’adozione di provvedimenti utili a rallentare la progressione della malattia (per esempio inducendo i pazienti fumatori a smettere di fumare) e, altrettanto importante, fornirebbe la base medico-legale per il riconoscimento di malattia professionale.

Aspetto, quest’ultimo, da non sottovalutare: dal punto di vista previdenziale, infatti, permangono gravi disparità di trattamento tra i lavoratori. In Parlamento giacciono diverse proposte correttive, ferme però da troppo tempo. Una situazione di inefficienza   che occorre sbloccare al più presto. Per quanto detto, è interesse dell’ex esposto ad amianto, anche in assenza di sintomi, sottoporsi agli accertamenti sanitari: non solo al fine di salvaguardare la propria salute, ma anche per un giusto riconoscimento assicurativo delle conseguenze da esposizione pregressa eventualmente emergenti. Troppo spesso infatti i familiari non sanno che la malattia che ha portato alla morte il loro caro è di origine lavorativa. Alla sofferenza e al dolore per l’evento si somma quindi anche una probabile perdita economica che potrebbe in parte essere recuperata, se la malattia venisse riconosciuta.

L’esempio di Cengio

Un prezioso suggerimento per uscire da questa impasse viene dall’esperienza dei lavoratori dell’ACNA di Cengio. Nel giugno 2009, durante un convegno medico scientifico sui danni provocati alla salute dei lavoratori dell’ACNA dalle amine aromatiche (e, anche se in modo non prevalente, dall’amianto) il presidente dell’Associazione lavoratori ACNA, signor Giachino, ha raccontato che, per smuovere le istituzioni a considerare la grave realtà esistente, hanno compilato una lista di lavoratori deceduti nel corso degli anni, recandosi in ogni paese dai parroci del luogo a spulciare gli elenchi dei dipendenti ACNA deceduti e individuare il reparto di lavoro. Su queste basi hanno scritto un dossier che poi è stato sottoposto alle istituzioni competenti, e a quel punto le cose si sono mosse. Noi pensiamo, vogliamo pensare che sia possibile, alla luce di esperienze consolidate, che il problema della malattie da amianto possa essere analizzato e censito in forme istituzionali. Purché qualcuno se ne occupi. Da questo convegno ci aspettiamo iniziative concrete al riguardo. Un primo passo è stato compiuto: su interessamento della nostra associazione una ventina di ex lavoratori esposti ad amianto si sono dichiarati di- sponibili a partecipare al programma di screening regionale per la diagnosi precoce del tumore al polmone mediante TC spirale a basse dosi attivato presso il Dipartimento di medicina del lavoro dell’Università di Torino. La maggior parte di loro è già stata sottoposta al primo accertamento, sui tre previsti dal programma. Per i risultati si dovrà aspettare.

«Difendiamoci dall’amianto»

Almeno 8.000 persone muoiono in Italia ogni anno per colpa di un tumore di origine professionale, 2.000 a causa dell’amianto. Il lavoro uccide anche così, ma se gli incidenti devono essere multipli per fare notizia, le malattie sono più ignorate che rimosse. Accade che fatti puramente casuali e di cronaca inducano a formulare un’amara considerazione: fa più paura un serpente alla Valeo che l’amianto nei polmoni di migliaia di persone della Ferodo, Paven, Cartiera di Bagnasco, Valeo e altre piccole realtà. Questo non dovrebbe rassicurare nemmeno molti cittadini monregalesi che credono che l’amianto interessi solo i lavoratori. Non è così. Costoro infatti devono sapere che il 17 marzo 1989 furono svolte mappature in alcuni rioni della città sia al suolo sia sugli alberi per verificare la presenza di amianto. Sull’altipiano (a Breo, Piazza eccetera) l’amianto è stato segnalato anche in Belvedere a Piazza, sulle foglie degli alberi. Ciò non stupisce, data la grande volatilità della fibra d’amianto. Studi al riguardo riferiscono che una sola fibra di amianto che cada al suolo da un’altezza di un metro in condizioni atmosferiche normali può impiegare 24 ore prima di toccare il suolo. Inoltre, su una linea di un centimetro, per fare un esempio, ci possono stare 250 capelli, 1.300 fibre di nylon e oltre 300.000 fibre di amianto. Dall’amianto bisogna guardarsi. Non a caso sul nostro gadget abbiamo scritto «Difendiamoci dall’amianto».

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