Rubriche
08/07/2019

Ma... esiste il bisogno di prevenzione?

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L’articolo 1 della Legge di istituzione del Servizio sanitario nazionale (SSN) (L. 833/1978) cita, riprendendo l’articolo 32 della costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mediante il Servizio sanitario nazionale».
Nel 1978, l’attesa di vita in Italia era di 73,7 anni,1 l’indice di vecchiaia era circa 55 (popolazione 65+/popolazione 0-14 anni)2 ed eravamo in piena transizione epidemiologica. In questo contesto, era naturale che il nuovo SSN si strutturasse per rispondere alla domanda di salute espressa dai cittadini. La priorità è stata data all’approccio clinico a scapito della prevenzione e della sanità pubblica, e questo non è stata prerogativa del solo Servizio sanitario italiano, ma viene indicata anche da altri autori in riferimento a sistemi sanitari diversi dal nostro.3
Negli anni successivi, anche per adeguarsi alla regionalizzazione del servizio sanitario, è stato elaborato il sistema dei livelli essenziali di assistenza (LEA), la forma più matura di definizione di diritti esigibili del nostro SSN (perdonate l’approssimazione, ma si tratta solo di un inquadramento generale). Anche i LEA erano centrati sulle cure ospedaliere e territoriali, con l’eccezione degli screening oncologici e delle vaccinazioni, inseriti tra i LEA di assistenza collettiva in ambiente di vita e di lavoro.4 A differenza dei LEA dell’assistenza distrettuale e di quelli dell’assistenza ospedaliera, questi sono riferiti a una popolazione sana che non esprime direttamente un bisogno individuale di salute. Certo, molte fasce di popolazione hanno nel tempo espresso un “bisogno di prevenzione collettiva” (per esempio, le donne rispetto allo screening mammografico) che spesso ha prodotto un eccessivo ricorso spontaneo a test dall’efficacia dubbia, come il PSA per la diagnosi precoce del carcinoma della prostata. Peraltro, per questi LEA esistono anche indicatori di monitoraggio nella griglia LEA.5
Oggi, l’attesa di vita media è cresciuta di quasi 10 anni rispetto al 1978 (nel 2016 era di 82,5 anni), l’indice di vecchiaia è triplicato (165) e, superata la prima transizione epidemiologica, siamo nel pieno dell’emergenza demografica ed epidemiologica dell’invecchiamento.

Priorità di intervento

Il problema primario non è più la gestione dell’acuzie, ma la gestione della cronicità e il posticipo dell’esordio della malattia cronica, obiettivi essenziali per assicurare sostenibilità al nostro SSN.
Per affrontare questa emergenza, l’intervento più razionale è quello sui fattori di rischio a forte componente comportamentale (fumo di tabacco, cattiva alimentazione, eccesso ponderale, abuso di alcol, iperglicemia, ipertensione) che il Global Burden of Disease indica come responsabili del 60% dei DALY in Italia nel 2017.6 Se il quadro epidemiologico ha un ruolo nel definire le priorità di intervento, allora la riduzione di questi fattori di rischio attraverso la prevenzione primaria e terziaria rappresenta senz’altro la priorità numero uno.
A oggi, però, il nostro SSN sembra poco strutturato per le attività di prevenzione. Per esempio, l’unico indicatore di monitoraggio LEA sugli stili di vita è un indicatore composito che rileva variazioni di prevalenza di alcuni comportamenti, che misura quindi gli esiti dell’azione preventiva, a differenza di ciò che avviene per tutti gli altri indicatori LEA, basati sul monitoraggio delle attività. D’altra parte, per gli interventi di prevenzione primaria dei fattori di rischio comportamentali non esiste alcun sistema di rilevamento degli interventi effettuati, come sono le schede di dimissione ospedaliera (SDO) per l’attività clinica, e neppure alcun sistema che possa legare l’effettuazione dell’intervento con una remunerazione, come quello dei DRG. Anche a causa di questo, e nonostante lo sforzo di inquadramento concettuale che il programma Guadagnare Salute ha determinato in Italia,7 gli interventi preventivi sono ancora sporadici e a macchia di leopardo.
Altro elemento problematico è l’assenza della definizione di popolazione target per gli interventi di prevenzione dei comportamenti a rischio. Infatti, mentre per gli screening esistono linee guida ministeriali che definiscono le popolazioni target e per le vaccinazioni esiste un calendario che definisce le fasce di età specifiche per i vaccini obbligatori e facoltativi, per gli interventi di prevenzione primaria delle malattie croniche non è mai stato elaborato un documento che definisca con chiarezza su quali fasce di popolazione intervenire.

Definire la popolazione target

Eppure, per prevenire e contrastare i comportamenti o gli stili di vita non salutari, la definizione della popolazione target è fondamentale ai fini sia della programmazione sia della valutazione. Ma come individuare la popolazione bersaglio di un intervento di prevenzione? La domanda da porsi potrebbe essere: «A chi giova?», oppure «Chi ha bisogno di un’attività per la riduzione del rischio legato all’uso di tabacco o per la riduzione della sedentarietà o per la riduzione dell’assunzione di alimenti e regimi dietetici non sani?» Per molti fattori di rischio la risposta è: «Pressoché tutta la popolazione».
Per esempio, se i fumatori sono un gruppo a cui gioverebbe un intervento per aumentare la probabilità di cessazione, i non fumatori rappresentano un altro gruppo su cui sarebbe utile un intervento per ridurre il rischio di iniziare a fumare. Tra questi ultimi, potrebbe essere ragionevole restringere ulteriormente la popolazione bersaglio, eliminando i bambini e gli anziani al di sotto e al di sopra di una certa età, tra i quali la probabilità di cominciare a fumare è molto scarsa, o ancora restringerla a quelle fasce di età in cui l’iniziazione è più probabile. Ma una volta definita la popolazione, tutti i suoi componenti devono essere considerati portatori del bisogno di prevenzione, come nel caso dello screening o della vaccinazione.
Certo, una volta identificata la popolazione target, che diventa portatrice di un diritto alla prevenzione, tale diritto deve essere garantito nel rispetto della libertà della persona, come ci ricorda il comma secondo dell’Art. 1 della L. 833/1978 già citato: «la tutela della salute deve avvenire nel rispetto della libertà della persona». Allo stesso tempo, il primo comma ricorda anche che la salute è interesse della collettività. Per esempio, la recente legge sull’obbligo vaccinale impone la vaccinazione come azione che riguarda la comunità, affinché possa essere garantita l’immunità di gregge e, quindi, siano protetti anche i soggetti che non possono essere vaccinati.
Questo basta a riconoscere che la riduzione dell’esposizione a fattori di rischio di malattia, derivanti dai cosiddetti stili di vita, sia un interesse per la comunità e non solo un diritto individuale? Molte considerazioni fanno propendere per una risposta positiva: gli esiti degli stili di vita scorretti determinano un aumento dei costi per il trattamento a carico della comunità oltre che la perdita di produttività per le imprese, causata dalle assenze per malattia.8 Il Wanless Report ci ha ricordato la non sostenibilità dei nostri sistemi sanitari nel caso la «popolazione rimanesse riluttante a ingaggiarsi di più nella protezione della propria salute».9 Il benessere complessivo, soprattutto nella terza età, ma non solo, dipende dalla misura in cui la popolazione accetterà questo ingaggio. In ultimo, esiste un effetto di influenza sociale determinato dalla prevalenza dei soggetti che assumono certi comportamenti, che spesso non sono scelte individuali, ma dell’industria.

Come intervenire?

Una prospettiva come questa potrebbe, però, determinare scelte con livelli superiori di “invadenza” nell’autonomia individuale, rispetto a quelle attuali; si tratta, allora, di aprire un dibattito pubblico, in cui le conoscenze sui rischi e le prove di efficacia degli interventi devono essere presentati in modo trasparente e si giunga ad assumere una prospettiva di intervento partecipata.8
Indipendentemente dalla transizione della prevenzione individuale da diritto a interesse della comunità, nei Paesi basati sul welfare state, lo Stato è già tenuto a garantire la salute dei cittadini attraverso il soddisfacimento dei bisogni, e il bisogno di conservare il buono stato di salute che si possiede è oggi una priorità. Il recente documento del sistema sanitario inglese (NHS) “NHS Five Year Forward View” lancia un messaggio molto chiaro in questo senso: «If the nation fails to get serious about prevention then recent progress in healthy life expectancies will stall, health inequalities will widen, and our ability to fund beneficial new treatments will be crowded-out by the need to spend billions of pounds on wholly avoidable illness».10
Prendere sul serio l’obiettivo di «conservare il buono stato di salute» della popolazione è, quindi, una priorità. Il nostro SSN universalistico, egualitario e solidaristico, che possiamo considerare sostanzialmente efficace ed efficiente (vista la posizione sempre alta nelle classifiche internazionali), deve però ristrutturare la sua capacità di risposta al bisogno non percepito. Questo richiede:

  • la definizione delle popolazioni target, quelle cioè che presentano il bisogno;
  • la messa disposizione di interventi efficaci, commisurati alla rilevanza del bisogno;
  • una modalità proattiva di somministrazione dell’intervento che raggiunga tutta la popolazione target;
  • e, perché no? un sistema di remunerazione che sia associato all’effettiva applicazione delle prestazioni efficaci.

Bibliografia

  1. The World Bank. Life expectancy at birth. 2019. Disponibile all’indirizzo: https://data.worldbank.org/indicator/SP.DYN.LE00.IN
  2. Istituto nazionale di statistica. Statistiche Istat. Disponibile all’indirizzo: http://dati.istat.it
  3. Fani Marvasti F, Stafford RS. From sick care to health care - reengineering prevention into the U.S. system. N Engl J Med 2012;367(10)889-91.
  4. D.P.C.M. 29-11-2001. Definizione dei livelli essenziali di assistenza. Gazzetta ufficiale n.33; 08.02.2002. Disponibile all’indirizzo: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_normativa_1479_allegato.pdf
  5. Ministero della Salute. Monitoraggio dei LEA attraverso la cd. Griglia LEA. Metodologia e risultati dell’anno 2016. Luglio 2018. Disponibile all’indirizzo: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2783_allegato.pdf
  6. Institute for Health Metrics and Evaluation. Global Burden of Disease. 2017. Disponibile all’indirizzo: https://vizhub.healthdata.org/gbd-compare/
  7. Guadagnare Salute. Disponibile all’indirizzo: https://www.epicentro.iss.it/guadagnare-salute/
  8. Nuffield Council on Bioethics. Public health: ethical issues. Cambridge, Cambridge Publishers, 2007.
  9. Wanless D. Securing our future health: taking a long-term view. HM Treasury 2002. Disponibile all’indirizzo: https://www.yearofcare.co.uk/sites/default/files/images/Wanless.pdf
  10. NHS England. Five year forward view. 2014. Disponibile all’indirizzo: https://www.england.nhs.uk/wp-content/uploads/2014/10/5yfv-web.pdf
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