Rubriche
22/09/2021

L’importanza di porsi le domande giuste

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Per la nostra prima rubrica, ci piace partire da alcune domande per provare a delineare ragionamenti, far emergere pregiudizi, suggerire percorsi di azioni e di ricerca per una medicina che sia attenta alle differenze, mirata nella prevenzione e appropriata nelle cure di uomini e donne. Ne proponiamo alcune, ma le domande sono come ciliegie: una tira l’altra.

Donne e uomini ricevono la stessa attenzione nella cura?

Ovvero la sindrome di Yentl. In un famoso racconto del premio Nobel Isaac Bashevis Singer, Yentl è una ragazza ebrea costretta a vestirsi da uomo, rasarsi i capelli e farsi passare per maschio per poter studiare nella scuola rabbinica.
È il 1991 quando la cardiologa americana Bernardine Healy trasporta in medicina la premessa narrativa del racconto di Singer e pubblica, suscitando un grande dibattito, l’articolo “The Yentl Syndrome” sul New England Journal of Medicine.1 Nel suo articolo, la cardiologa descrive la discriminazione che aveva constatato nell’Istituto di cardiologia che dirigeva: le donne erano meno ospedalizzate, meno sottoposte a indagini diagnostiche (coronarografie) e terapeutiche (trombolisi, stent, bypass) rispetto agli uomini. Da allora la “sindrome di Yentl” viene utilizzata in ambito medico per descrivere il fenomeno per cui le donne che mostrano sintomi o patologie non corrispondenti a quelle maschili rimangono vittime di errori diagnostici e terapie inefficaci. 
A che punto siamo dopo 30 anni da quell’articolo? Il 13 giugno 2019 è stato firmato il decreto con cui viene adottato il Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di genere2 e, nel 2021, è stato istituito un Osservatorio nazionale sulla medicina di genere.3 Ma fino a quando saranno necessarie leggi oppure osservatori per porre la giusta attenzione alle differenze di genere non solo in medicina, ma anche sul piano della ricerca e della salute in generale?

La prevenzione è attenta al genere?

Sì, no, forse. Il caso dell’osteoporosi o dei sintomi dell’infarto femminile ci dicono come la strada per una prevenzione attenta al genere sia molto lunga, sebbene qualcosa si stia muovendo. Molte campagne di prevenzione dell’osteoporosi continuano a essere indirizzate alle donne, perché ritenute più a rischio per la loro composizione scheletrica. Tuttavia, diversi studi epidemiologici hanno messo in evidenza che, sebbene le donne siano più a rischio di cadute e fratture ossee, con l’aumentare dell’età anche gli uomini sviluppano osteoporosi e sono a rischio di frattura, con una mortalità, dopo frattura dell’anca, superiore a quella delle donne.4 Eppure la determinazione della densità minerale ossea eÌ€ testata 4 volte di meno nell’uomo, e la maggior parte dei farmaci per l’osteoporosi sono stati studiati solo nella donna e non sono attualmente prescrivibili agli uomini.2 

Farmaci per uomini e donne: stesso utilizzo e stessi effetti?

Diversi studi epidemiologici mettono in evidenza che in generale le donne assumono più farmaci rispetto agli uomini, fino a circa il 36-40% in più per quanto riguarda gli antibiotici nelle fasce di età giovanili.5 
Oltre a consumare più farmaci, le donne registrano più eventi avversi e di gravità maggiore rispetto agli uomini, e spesso anche l’efficacia del farmaco è differente nei due sessi. Queste differenze sono parzialmente attribuibili a diversità biologiche: variazioni ormonali, peso, composizione del corpo e differenze fisiologiche influenzano l’assorbimento, la distribuzione, il metabolismo e l’eliminazione dei farmaci.
Nonostante i primi dati sulle differenze di genere nelle reazioni ai farmaci siano emersi nel 1932,6 per decenni in campo preclinico e clinico è stata rimossa la variabile sesso/genere, con il risultato di terapie farmacologiche basate principalmente sul corpo maschile. Il reclutamento delle donne negli studi di fase 3 è stato scarso fino ai primi anni del terzo millennio per una serie di motivazioni, tra cui:

  • l’assunzione implicita che il corpo della donna, a parte gli organi riproduttivi, fosse essenzialmente uguale a quello dell’uomo, solo più piccolo;
  • la difesa del feto da un eventuale rischio tossico;
  • la preoccupazione per la maggiore variabilità dovuta alla ciclicità di vita riproduttiva della donna.

Un maggior riequilibrio nell’arruolamento si è registrato quando negli Stati Uniti le autorità regolatorie hanno imposto l’inclusione delle donne negli studi in maniera proporzionale all’incidenza della malattia e in modo tale da garantire il potere statistico per mettere in luce le differenze. 
E cosa succede se ci spostiamo dai farmaci in generale ai vaccini, in cui a essere coinvolto è il sistema immunitario, molto diverso tra uomini e donne?

Differenze nell’epidemiologia ambientale: questione di sesso o di genere?

È Alice Hamilton, la madre della medicina occupazionale americana, a porre per prima la questione della distinzione tra “genere” e “sesso” nell’ambito dell’epidemiologia occupazionale e ambientale nei primi anni del Novecento.7 Gli studi dell’epoca rilevavano livelli di piombo nel sangue delle lavoratrici molto maggiori rispetto a quelli riscontrati nei lavoratori uomini e concludevano che questi livelli potessero essere attribuiti alla maggiore suscettibilità delle donne al metallo. In realtà, Hamilton dimostrò come, a parità di mansione e di condizione socioeconomica, i livelli di piombo nel sangue fossero uguali per entrambi i generi e che le differenze osservate erano dovute al fatto che le donne erano prevalentemente impiegate in settori a più bassa retribuzione e a maggiore esposizione. La questione della distinzione tra sesso e genere rimane ancora un aspetto chiave, sebbene frequentemente trascurato, e spesso nell’epidemiologia ambientale i due termini vengono usati in modo alternativo e intercambiabile. 
Relativamente agli esiti correlati all’esposizione ambientale, le differenze osservate tra uomini e donne sono legate a caratteristiche fisiologiche dei due generi nella suscettibilità ai vari contaminanti o a differenze nell’esposizione legate a ruoli o aspetti socioculturali? E che implicazioni ha questa confusione sulla qualità di una ricerca epidemiologica e sulle politiche di salute pubblica?8

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno. 

Bibliografia

  1. Healy B. The Yentl syndrome. N Engl J Med 1991;325(4):274-76.
  2. Ministero della Salute. Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere. Roma, Ministero della Salute, 2019. Disponibile all’indirizzo: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2860_allegato.pdf
  3. Istituto superiore di sanità. Osservatorio sulla medicina di genere. Disponibile all’indirizzo: https://www.iss.it/osmg-l-osservatorio
  4. Alswat KA. Gender Disparities in Osteoporosis. J Clin Med Res 2017;9(5):382-87.
  5. Schröder W, Sommer H, Gladstone et al. Gender differences in antibiotic prescribing in the community: a systematic review and meta-analysis. J Antimicrob Chemother 2016;71(7):1800-06.
  6. Franconi F, Campesi I, Sassu A. Per una farmacologia di genere. Monitor (Age.na.s) 2010;IX(26):21-28.
  7. Mergler D. Neurotoxic exposures and effects: gender and sex matter! Hänninen Lecture 2011. Neurotoxicology 2012;33(4):644-51.
  8. Mangia C, Civitelli S. Environment and health. A gender perspective in epidemiology. Epidemiol Prev 2020;
    44(1):13-14.
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