Rubriche
11/08/2018

La salute dei lavoratori immigrati come specchio di quella dei diritti del Paese

Giorni fa ho ascoltato alla radio la storia emblematica di un commerciante siriano, molto ricco prima della guerra che ha distrutto il suo Paese e oggi ridotto sul lastrico, tanto da definire le sue giornate una roulette russa. Mi chiedevo: «Se quest’uomo arrivasse in Italia, sarebbe considerato profugo di guerra o migrante economico?». La domanda potrà apparire provocatoria, ma intorno a questa dicotomia si è avviato il dibattito sull’immigrazione che separa i meritevoli di essere “salvati” – chi fugge dalle bombe – da chi può essere lasciato o spedito tra i “sommersi” (talora purtroppo in senso letterale) – chi fugge dalla fame, spesso provocata dagli stessi che sganciano le bombe. Il manicheismo di questa distinzione fa sì che un cosiddetto migrante economico sia percepito come indesiderabile, poiché associato a una dimensione di irregolarità, di clandestinità se non di criminalità potenziale! Eppure anche il rifugiato, l’immigrato “con le carte in regola”, prima o poi diventerà migrante economico per la necessità di lavorare.
La civiltà umana cammina da sempre anche sulle gambe di chi ha lasciato la propria terra per progettare altrove una nuova vita, spinto da motivazioni essenzialmente economiche. Lo ricordo come nipote di emigranti e come meridionale, figlio di una civiltà, temo morente, prodotto di millenni di “arrivi”, non sempre indolori e graditi, dai calcidesi ai piemontesi.

Effetto migrante sano

La condizione di immigrato e quella di lavoratore sono strettamente legate anche per chi si occupa di salute. Basti pensare che l’espressione effetto “migrante sano”, riferita alla selezione dei più giovani e più sani all’origine del progetto migratorio, portatori di un iniziale vantaggio di salute rispetto ai nativi, è mutuata dall’epidemiologia occupazionale e fa riferimento all’effetto “lavoratore sano”: la dinamica che seleziona i lavoratori tra persone in buona salute, determinando tassi di morbosità e mortalità inferiori a quelli della popolazione generale.1
È noto anche che l’iniziale vantaggio di salute osservato tra gli immigrati al momento dell’arrivo nel Paese ospitante tende a depauperarsi, in conseguenza dell’assimilazione dei comportamenti più insalubri della popolazione autoctona (fumo, alimentazione)2 e della precarietà delle condizioni di vita che li espone al rischio di contrarre patologie tipiche della marginalità (effetto “migrante esausto”).3 Tale effetto sembra agire sulla salute degli immigrati anche in ambito occupazionale, per la precarietà delle condizioni di impiego e le disparità, se non vere e proprie discriminazioni, alle quali sono sovente esposti nei luoghi di lavoro e che hanno conseguenze sulla salute fisica e mentale.4

Salute e sicurezza

Il tema della salute e della sicurezza dei lavoratori immigrati è poco affrontato dalla letteratura scientifica, soprattutto per la carenza di sistemi di sorveglianza e di adeguate fonti informative in molti Paesi. Gli studi disponibili mostrano generalmente un rischio più elevato di infortuni e malattie professionali tra gli immigrati rispetto ai nativi, specie in settori con alti livelli di rischio, come edilizia e industria manifatturiera.5-7 Senza contare che i dati non includono i lavoratori irregolari, presumibilmente con un profilo di rischio ancor più elevato. Ma anche nell’ambito del lavoro regolare le misure dei tassi di infortunio sono fortemente condizionate da fenomeni di sottonotifica, che si stimano più frequenti tra gli stranieri e al Sud. L’aumento del differenziale dei tassi di infortunio tra italiani e stranieri al crescere dell’età (tra gli immigrati non si riscontra la diminuzione osservata tra i nativi) fa ipotizzare che, mentre i lavoratori italiani, all’aumentare dell’età e dell’anzianità in azienda, svolgano mansioni meno rischiose, questo non accada per gli stranieri.6
Gli stranieri hanno una posizione più precaria nel mondo del lavoro, anche perché privi di reti di protezione sociali. Svolgono spesso attività scarsamente qualificate, nonostante non di rado siano più formati rispetto a quanto richiesto dalle posizioni che devono ricoprire, anche per le difficoltà a ottenere il riconoscimento del proprio titolo di studio: tra i lavoratori stranieri laureati il 15% fa un lavoro manuale non qualificato (1,3% tra gli italiani).8 Ma soprattutto sono impiegati in mansioni più pesanti e rischiose dei colleghi italiani, in condizioni generali di sicurezza precarie e vincolati a orari e turni gravosi, con offerte formative più scarse o meno efficaci anche a causa di barriere linguistiche e culturali. In generale, gli stranieri svolgono le attività che i nativi tendono a evitare, definite come “3D”: dangerous, dirty, demanding/degrading.9
Eppure, anche per effetto dei processi di indebolimento delle tutele dei lavoratori conseguenti alla globalizzazione dell’economia, l’immigrazione tende a essere vissuta come una minaccia, soprattutto tra le fasce sociali più deboli, in quanto l’aumento dell’offerta di forza lavoro ha contribuito al generale abbassamento delle retribuzioni e al peggioramento delle condizioni di lavoro. Il clima di crescente insofferenza si ripercuote nei luoghi di lavoro in cui gli stranieri sperimentano vessazioni, se non veri e propri atti discriminatori, perlopiù in ambiti quali cantieri o fabbriche, e – in particolare africani e asiatici – denunciano di essere destinati a mansioni e turni di lavoro più disagiati. Questi fenomeni sembrano più diffusi al Centro-Sud, dove le condizioni di lavoro sono in genere meno stabili e vi è un minore grado di integrazione sociale.10 Non è poi possibile tacere sui ricatti e sovente anche sugli abusi di tipo sessuale subiti da lavoratrici straniere, specialmente nell’agricoltura; stanno emergendo testimonianze che sembrerebbero dimostrare che questo fenomeno inizia a rappresentare una vera e propria piaga in alcune aree del Paese.11 Il destino di queste lavoratrici non pare turbare più di tanto le coscienze collettive, a differenza di quanto giustamente accaduto nel caso di altre categorie di donne che possono disporre di ben altre tribune per rivendicare la difesa della propria dignità.

Conclusioni

In conclusione, la tutela della salute dei lavoratori stranieri appare un tema di sanità pubblica – e non solo – di prima grandezza, rispetto al quale è indispensabile fornire ai decisori e agli operatori gli strumenti e le conoscenze necessari per predisporre e realizzare interventi il più possibile mirati. A tal proposito, si segnala la prossima pubblicazione di un volume monografico, frutto della collaborazione tra Istituto nazionale salute migrazione e povertà (INMP) e ASL TO3, in cui si analizzano le caratteristiche individuali associate agli infortuni nei lavoratori stranieri regolari, utilizzando il database longitudinale WHIP-Salute (Work History Italian Panel).7

Bibliografia

  1. Abraído-Lanza AF, Dohrenwend BP, Ng-Mak DS, Turner JB. The Latino mortality paradox: a test of the “salmon bias” and healthy migrant hypotheses. Am J Public Health 1999;89(10):1543-48.
  2. Lara M, Gamboa C, Kahramanian MI, Morales LS, Bautista DE. Acculturation and Latino health in the United States: a review of the literature and its sociopolitical context. Annu Rev Public Health 2005;26:367-97.
  3. Bollini P, Siem H. No real progress towards equity: health of migrants and ethnic minorities on the eve of the year 2000. Soc Sci Med 1995;41(6):819-28.
  4. Di Napoli A, Gatta R, Rossi A et al. Discriminazione percepita sul luogo di lavoro in quanto straniero: uno studio sulla salute mentale percepita dagli immigrati in Italia. Epidemiol Prev 2017;41(3-4) Suppl 1:33-40.
  5. Schenker M. A global perspective of migration and occupational health. Am J Ind Med 2010;53(4):329-37.
  6. Salvatore MA, Baglio G, Cacciani L, Spagnolo A, Rosano A. Work-related injuries among immigrant workers in Italy. J Immigr Minor Health 2013;15(1):182-87.
  7. Bena A, Giraudo M. Rischio infortunistico nei lavoratori immigrati in Italia: differenze per caratteristiche lavorative e per età. Epidemiol Prev 2014;38(3-4):208-18.
  8. Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione. Sesto Rapporto annuale. I migranti nel mercato del lavoro in Italia. Roma, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, 2016. Disponibile all’indirizzo: https://www.cliclavoro.gov.it/Barometro-Del-Lavoro/Documents/2016/VI-Rapporto-annuale-MdL-Migranti-2015.pdf
  9. Benach J, Muntaner C, Chung H, Benavides FG. Immigration, employment relations, and health: developing a research agenda. Am J Ind Med 2010;53(4):338-43.
  10. Salvatore MA, Baglio G, Cacciani L, et al. La discriminazione nell’ambiente di lavoro tra gli immigrati in Italia. Med Lav 2012;103(4):249-58.
  11. Ormizzolo M. L’inferno delle donne, lavoro in cambio di sesso. laRepubblica.it, 22 marzo 2018. Disponibile all’indirizzo: http://mafie.blogautore.repubblica.it/2018/03/1665/
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