Rubriche
11/12/2018

La presa in carico dei malati cronici in Lombardia

La Lombardia è una regione ricca di sorprese, in particolare in campo sanitario. Esemplare è quella contenuta nelle tre delibere di Giunta (DGR 6164/2017; 6551/2017; 7655/2017)1-3 con cui nel 2017 il Pirellone ha delineato il nuovo sistema della presa in carico dei pazienti cronici e/o fragili (circa 3 milioni) affidandoli a un “gestore”. Il sistema funzionerebbe così: il gestore (consigliato dal medico di famiglia o scelto dallo stesso paziente da un apposito elenco) sottoscrive un “patto di cura” (un atto formale con validità giuridica) con il malato cronico definendo un Piano Assistenziale Individuale (PAI) per una “presa in carico proattiva” che comprende vari atti, fra cui la previsione e prenotazione delle prestazioni specialistiche tramite la scelta di un “erogatore”. In questo schema il medico di medicina generale (MMG) può proporre integrazioni al PAI, comunicandole al gestore, ma non modificarlo, in quanto il Piano di assistenza è in capo al solo gestore. Dal punto di vista economico, il sistema prevede che il “gestore” si veda riconosciuto un corrispettivo economico il cui valore è stabilito in anticipo per ogni patologia e, se a consuntivo dovesse risultare che ha speso meno di quanto previsto, potrà trattenere per sé la quota in eccedenza. Infine, il “gestore” non deve necessariamente essere un medico, ma può essere un ente, anche privato, con un determinato profilo giuridico e societario che potràseguire fino a 200.000 assistiti.
Si tratta certamente di una novità, di cui non troviamo riscontro in altri atti normativi o prescrittivi della legislazione attuale. In qualcuna delle centinaia di pagine della sua invenzione Regione Lombardia fa riferimento al “Piano nazionale della cronicità”4 ma, se ne riprende alcuni concetti – quali il patto per la salute o il piano assistenziale individuale (PAI) – il taglio è tutto un altro. Nel Piano nazionale, infatti, non si menziona alcun “gestore”, il medico di medicina generale resta al centro dell’intervento; non solo, richiamandosi alla legge n. 189/2012 (decreto Balduzzi),5 nel Piano nazionale si considera obbligatoria l’indicazione per le amministrazioni regionali di istituire strutture all’interno del sistema sanitario quali le Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) e le Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP).

Cui prodest?

Si può cercare di capire a chi giovi tutto ciò considerando quanto accaduto finora. Si consideri che al 5 giugno 2018 l’adesione al Piano risultava alquanto bassa (come confermato dall’Assessore alla sanità della Regione Lombardia durante una conferenza stampa): ha aderito meno della metà dei MMG e l’8,44% dei pazienti cronici che avevano ricevuto la lettera di invito al programma. Tanto che la messa a regime del sistema, prevista per gli inizi del 2019, è stata prudentemente rinviata dall’Assessore, come annunciato nella medesima conferenza stampa, a fine legislatura. In effetti, gli ospedali pubblici e i privati hanno raccolto poche centinaia di pazienti.
Visti i tempi lunghi che Regione Lombardia si è presa per l’attuazione della cosiddetta riforma, è probabile che le percentuali di aderenti, sia medici sia pazienti, possano aumentare, ma nulla si modifica nella confusione che si è manifestata. Confusione emersa nelle numerose assemblee che Medicina Democratica ha indetto in molti Comuni e luoghi di lavoro in cui tanti cittadini hanno lamentato di non essere stati informati, di avere ricevuto una lettera non chiara, a volte di essere stati indebitamene spinti ad aderire dal proprio medico, in particolare se socio di una cooperativa di medici.
C’è allora da chiedersi se questa confusione non sia funzionale al disegno di privatizzazione che sottende la manovra. Perché se si pensa al meccanismo di pagamento dei “gestori” (che, si ricorda, possono essere enti, anche privati, con fino a 200.000 malati in gestione), è facile immaginare che nelle loro scelte conti di più il possibile risparmio (sul corrispettivo versato dalla Regione) e il loro conseguente guadagno, che la piena tutela della salute del paziente, trasformato così in mero generatore di possibili utili.
E buttando in tal modo alle ortiche ogni personalizzazione del percorso terapeutico e qualsiasi rapporto personale con il proprio medico curante, in assoluta contraddizione con quanto prescrive la legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale (n. 833, 23 dicembre 1978) che riconosce al MMG un ruolo centrale (vedi box). Non si tratta di una scelta possibile fra i tanti (ospedale, struttura sanitaria privata, clinical manager deciso dal cosiddetto “gestore”): è il medico di base infatti il soggetto fondamentale per la presa in carico del paziente cronico, e non può essere esautorato dai suoi compiti. Da qui è sorta l’azione giudiziaria formulata da MD con un ricorso al TAR, a cui si sono rivolti anche quattro sindacati medici (SIMET, SMI, SNAMI, UMI). Ma Regione Lombardia mostra di ignorare che per il 28 novembre 2018 è stata stabilita l’udienza di merito davanti al Tribunale amministrativo della Lombardia. Ed è prevedibile per allora non vi sarà una situazione tanto diversa dall’attuale.
«Il quadro che abbiamo di fronte» come ha scritto Gavino Maciocco «è quello di una sanità d’iniziativa dal carattere del tutto particolare: basata su tariffe e risparmio, su competizione e mercato, sulla presenza opzionale dei MMG, sull’assenza di efficaci interventi di prevenzione e di supporto all’autocura (ilmassimo che si concede è il “controllo e promozione dell’aderenza terapeutica”). Il tutto in un contesto privo della infrastruttura considerata fondamentale e irrinunciabile in ogni seria strategia di prevenzione, controllo e gestione delle malattie croniche: il distretto e l’organizzazione delle cure primarie. L’affossamento di questa infrastruttura, avvenuto diversi anni fa, è una sorta di peccato capitale dellasanità lombarda. Un peccato da cui non si può essere assolti dando vita a un surrogatodebole e improprio (e come al solito del tutto privato): il Centro servizi».6
Insomma, una sanità volta al privato. La Lombardia, a differenza di altre Regioni che hanno proceduto in tal senso, o che similmente hanno istituito le Case della salute, si mantiene fedele alla sua linea di privatizzazione.

Esiste un’altra via al miglioramento della sanità

Ma contrastare la scelta della Regione in tema di funzione ed erogazione delle cure primarie non significa assuefarsi alla loro attuale configurazione, non vederne i limiti; è possibile e doveroso andare oltre, migliorare la struttura, renderla più efficace. Si sarebbe dovuto attuare quanto l’articolo 25 della legge istitutiva del SSN stabilisce laddove, riferendosi all’assistenza medico-generica, parla di personale “dipendente o convenzionato” del SSN (vedi box). Questa scelta avrebbe potuto facilitare l’attuazione del decreto Balduzzi, ma forse molto più la realizzazione di Case della salute, così come previsto ancora prima della riforma del 1978 da chi ha fondato Medicina Democratica (ed Epidemiologia e Prevenzione), Giulio Alfredo Maccacaro: «[…] la casa della salute, una sede […] (a cui) si accede infatti, per partecipare alla gestione dei problemi sanitari della comunità, portandovi anche, ma non soltanto, il proprio che è anche, ma non soltanto, medico. Nella misura in cui la sub unità sanitaria locale è davvero un ambito naturale ed integrato di vita collettiva ed il vero modulo costruttivo della USL la casa della salute deve porre, anche strutturalmente, sullo stesso piano: a. l’assistenza, b. la consultazione, c. l’educazione, d. l’informazione, affinché sia possibile e piena la sintesi partecipatoria delle decisioni. Di qui la necessità di una nuova stazione del sistema informativo dove siano raccolti e dove vengano distribuiti, in un senso ai distretti e nell’altro al governo dell’USL, i dati originali ed elaborati attinenti alla situazione demografica, nosografica ed ambientale della sub unità oltre a quelli indicatori delle attività sanitarie (preventive, poliambulatoriali, ausiliarie eccetera) svolte nell’ambito della stessa… Per gli attributi ora appena accennati è già chiaro il salto qualitativo dal distretto o dal semplice aggregato di distretti alla sub unità che diventa il vero modulo costruttivo dell’USL nella quale si trasforma non tanto per integrazione con altre quanto per acquisizione di nuove valenze funzionali, e, quindi, oggetti sostanziali e strumentali di partecipazione».7

…che deve essere pubblica

In conclusione, quando si parla di salute ci si riferisce a un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione italiana. Quando si parla di sanità, ci si rifà a un sistema organizzativo volto al mantenimento della salute dei cittadini. La legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale ha ben presente questa categorizzazione: quando parla di epidemiologia e di prevenzione, di partecipazione dei cittadini con le proprie espressioni sociali, trascende il mero discorso organizzativo, mostra l’obiettivo universale cui tendere. L’articolo 3 della Costituzione richiama il tema uguaglianza, quindi alla risposta di salute che i cittadini nella loro diversità di condizione devono tutti ricevere. Per questo la sanità deve essere pubblica. È vero che l’attività privata è libera, ma si esercita nei limitiprevisti dall’articolo 41 della Costituzione. È dubbio che l’attività privata in campo sanitario volta alla ricerca del profitto possa garantire il diritto alla salute.

Le prestazioni curative comprendono l’assistenza medico-generica, specialistica, infermieristica, ospedaliera e farmaceutica. Le prestazioni medico-generiche, pediatriche, specialistiche e infermieristiche vengono erogate sia in forma ambulatoriale che domiciliare. L’assistenza medico-generica e pediatrica è prestata dal personale dipendente o convenzionato del servizio sanitario nazionale operante nelle unità sanitarie locali o nel comune di residenza del cittadino. La scelta del medico di fiducia deve avvenire fra i sanitari di cui al comma precedente. Il rapporto fiduciario può cessare in ogni momento, a richiesta dell’assistito o del medico; in quest’ultimo caso la richiesta deve essere motivata (articolo 25 – Legge 833/1978)

 

Bibliografia

  1. Delibera della Giunta Regionale della Lombardia n. 6164/2017.
  2. Delibera della Giunta Regionale della Lombardia n. 6551/2017.
  3. Delibera della Giunta Regionale della Lombardia n. 7655/2017.
  4. Ministero della salute. Piano Nazionale della Cronicità – Accordo fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, 15 settembre 2016.
  5. Decreto Balduzzi: Decreto legge n. 158 del 13.09.2012. Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute convertito in legge 8/11/2012 n.189.
  6. Maciocco G. il Piano Nazionale Cronicità e l’anomalia lombarda. Salute Internazionale del 24.05.2017. Disponibile all’indirizzo: http://www.saluteinternazionale.info/2017/05/il-piano-nazionale-della-cronicita-e-lanomalia-lombarda/
  7. Maccacaro GA. L’Unità Sanitaria Locale come sistema. In: Maccacaro GA. Per una medicina da rinnovare. Milano, Feltrinelli, 1979; p. 383. Articolo apparso in A.b.c.d.e. anno VII, 1, 1972, ristampato in Unità Sanitaria, ottobre-dicembre 1972; in Seminario sulle applicazioni della scienza dei sistemi alla medicina e alla chirurgia. Accademia nazionale dei Lincei, Roma 1976.
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