La guerra allo zucchero
Il consumo di zucchero è un fattore di rischio per la salute. Una recente revisione associa il consumo quotidiano di una bevanda zuccherata a un aumento del 26% di diabete e del 20% di sindrome metabolica.1 Inoltre, si stima che la percentuale di disability adjusted life years (DALYs, anni di vita persi più anni di vita vissuti con disabilità) attribuibili all’uso di bevande zuccherate sia dello 0,3% in Europa.2
Nell’ambito della prevenzione delle patologie croniche, il Regno Unito ha preso sul serio la guerra agli zuccheri per contrastare l’eccesso ponderale e l’obesità. Nel 2015, Public Health England (PHE) ha pubblicato un rapporto che raccomanda le azioni che potrebbero essere intraprese per ridurre il consumo di zucchero.3 Queste includono sia modificazioni dell’ambiente che influenza le nostre scelte alimentari sia interventi sull’accessibilità agli alimenti zuccherati sia interventi formativi e di azione locale.
In particolare, PHE propone:
- la riduzione delle promozioni commerciali sugli alimenti ad alto tenore di zuccheri semplici in tutti i punti vendita;
- limitazioni alla pubblicità di prodotti alimentari e bevande ad alto contenuto di zuccheri attraverso tutti i media, comprese le piattaforme digitali e le sponsorizzazioni;
- l’introduzione di un programma di riduzione graduale dello zucchero nei prodotti alimentari e nelle bevande di uso quotidiano, combinato con riduzioni della dimensione delle porzioni;
- l’aumento dei prezzi di questi prodotti di un minimo del 10%-20% mediante tassazione o prelievo alla fonte;
- l’adozione di standard di acquisto di servizi di ristorazione in tutto il settore pubblico, compreso il Servizio sanitario nazionale, per garantire la fornitura e la vendita di alimenti e bevande più salutari in ospedali, centri ricreativi eccetera;
- la formazione di tutti coloro che hanno l’opportunità di influenzare le scelte alimentari.
Scelte concrete
Il primo passo di questa guerra dichiarata non si è fatto aspettare. È recente, infatti, la notizia secondo cui almeno due terzi dei trust del National Health Service (NHS) England, le strutture del sistema sanitario che gestiscono i servizi sanitari sul territorio, inclusi gli ospedali, abbiano aderito a un programma volontario con l’obiettivo di abolire la vendita delle bevande zuccherate, inclusi milkshake e bevande calde zuccherate all’origine, in tutte le rivendite interne e nella ristorazione per i pazienti e per il personale.4
Alcuni trust, come il Tameside Hospital di Manchester, sono andati anche oltre: gli snack e le bevande zuccherate sono stati banditi da mense e distributori automatici ed è stato anche introdotto il divieto di utilizzo di zuccheri nei pasti destinati al personale sanitario e ai visitatori.
Si tratta di un passo importante nella guerra allo zucchero ed è il sistema sanitario a farlo. In questo modo si incoraggia il personale a riflettere sulla propria salute, optando per alimenti più sani, limitando le opzioni meno salutari, e scegliendo di giocare una partita anche nella prevenzione dell’obesità non solo occupandosi della gestione delle malattie ad essa associate. Così si lancia anche un messaggio di coerenza, cioè che le bevande zuccherate fanno male alla salute, quindi NHS agisce per la protezione dei cittadini, contribuendo a creare la pressione sociale essenziale per ottenere una risposta a livello della popolazione.
Ridurre il consumo di zuccheri nei trust del NHS rappresenta solo uno dei tanti interventi per la prevenzione delle patologie croniche associate all’eccesso ponderale e all’obesità che PHE ha proposto.
Infatti, nessun intervento di prevenzione e promozione della salute è efficace da solo, mentre con l’attuazione di un ampio e strutturato programma di misure trasversali si può ottenere una riduzione significativa del consumo di zuccheri in tutta la popolazione. «Questo è un problema troppo serio da risolvere con approcci che si basino solo su cambiamenti di comportamento individuali in risposta a interventi di educazione sanitaria e al marketing o sulla migliore fornitura di informazioni dietetiche. I driver ambientali delle diete qualitativamente povere sono semplicemente troppo grandi. Solo la creazione di un ampio programma strutturato di misure parallele per ridurre l’impatto di ciò che influenza l’aumento del consumo di cibi troppo zuccherati, per ridurre il contenuto di zuccheri di cibo e bevande e sostenere le persone a fare scelte più sane attraverso l’informazione e l’istruzione, può portare a riduzioni significative dell’assunzione di zucchero nella popolazione».3
Un’altra iniziativa in programma nel Regno Unito è la tassazione degli alimenti a elevato contenuto di zuccheri. Sono, infatti, molte le evidenze che mostrano l’efficacia dell’aumento dei prezzi nella riduzione del consumo di questi ultimi. Una tra tante è quella prodotta da Cornelsen e colleghi, che hanno quantificato una riduzione del consumo di bevande zuccherate dell’11% a 6 settimane e del 9,3% a 6 mesi a seguito dell’introduzione di un sovrapprezzo di 0,10 sterline a bevanda in una grande catena di ristoranti londinesi.5 Forti di queste evidenze, nel 2018, nel Regno Unito dovrebbe essere introdotto il Soft Drinks Industry Levy, una misura annunciata dal governo nel 2016 in base alla quale i produttori di bevande saranno tassati in relazione al contenuto di zuccheri delle bibite che producono o importano. Le bibite con un contenuto superiore a 5 g per 100 millilitri avranno un’imposta di 0,18 sterline al litro, mentre quelle sopra gli 8 g per 100 millilitri ne avranno una di 0,24 sterline al litro. Altra novità è che i fondi così ottenuti, stimati in 1 miliardo di sterline all’anno, saranno reinvestiti nella promozione dell’attività sportiva.
Un focus sulla situazione italiana
Ma qual è la situazione italiana per quel che riguarda lo stato nutrizionale della popolazione? La percentuale di persone in eccesso ponderale (sovrappeso/obesi) è del 31% nei bambini,6 del 16% negli adolescenti7 e del 42,2% negli adulti.8 Sebbene i dati delle sorveglianze di popolazione “OKkio alla salute” e PASSI mostrino un trend temporale dell’eccesso ponderale stabile per gli adulti e discendente per i bambini, per questi ultimi l’Italia è fra i Paesi a peggiore performance in Europa.9
I dati di Euromonitor Passport International Database stimano per l’Italia un consumo di bevande zuccherate per abitante (con esclusione dei succhi 100% di frutta) pari a 52,6 litri/anno; un valore preoccupante, anche se più basso rispetto ai 63,1 litri del Regno Unito e dei 146,5 litri del Messico, il Paese che consuma più bevande zuccherate al mondo.10
A fronte di questa situazione, i tentativi di intervento più importanti avviati fino a oggi non sono andati a buon fine: nel 2012 il ministro Balduzzi ha proposto una tassa di 10 centesimi per ogni litro di bevanda ad alto contenuto di zucchero, trovando una fortissima opposizione da tutte le parti sociali, che ha portato alla rinuncia. Nel 2014, il Ministero della salute si è formalmente opposto alla raccomandazione dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) di ridurre il consumo di zuccheri semplici al 5% dell’apporto calorico giornaliero.11
Nel Piano nazionale di prevenzione (PNP) 2014-2018,12 nell’ambito del primo macro-obiettivo “Ridurre il carico prevenibile ed evitabile di morbositaÌ, mortalitaÌ e disabilitaÌ delle malattie non trasmissibili”, sono previste azioni di contrasto ai regimi alimentari ad alto contenuto energetico, che si declinano in interventi, indirizzati prettamente alla popolazione in età scolare e mirati alla corretta alimentazione, volti a ridurre il consumo di bevande zuccherate e prodotti ad alto contenuto di zuccheri. Tuttavia, è emblematico che, tra gli obiettivi centrali del PNP 2014-2018 ci sia quello sulla corretta alimentazione, quello sulla riduzione del contenuto di sale nei cibi, quello sull’aumento del consumo di frutta verdura, ma manchi l’obiettivo specifico sulla riduzione del consumo di zuccheri.
In breve, a livello nazionale sembra che il problema non sia percepito nella sua dimensione reale, tantomeno sembra esistere una strategia di azione coordinata, come accade oggi nel Regno Unito. Ed è proprio in queste situazioni che l’epidemiologia può e deve dare un contributo all’attivazione di strategie che consentano di contrastare seriamente un fattore di rischio tanto importante per la salute della popolazione.
Bibliografia
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- Cornelsen L, Mytton OT, Adams J et al. Change in non-alcoholic beverage sales following a 10-pence levy on sugar-sweetened beverages within a national chain of restaurants in the UK: interrupted time series analysis of a natural experiment. J Epidemiol Community Health 2017;71(11):1107-12.
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- Ministero della salute. Piano Nazionale di Prevenzione 2014-2018. Disponibile all’indirizzo: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2285_allegato.pdf