Il ritmo della vita
Nell’antica Grecia del IV secolo a.C., Androstene, naturalista e medico al seguito di Alessandro Magno, notò che le foglie del tamarindo si aprono durante il giorno e si chiudono di notte. La sua è stata la prima descrizione di un ritmo circadiano.
È poi nel Settecento che la cronobiologia acquisisce sempre più un carattere sperimentale, attraverso gli importanti esperimenti dell’astronomo francese Jean-Jacques d’Ortous de Marain (1678-1771) sulla Mimosa pudica, le cui foglie si aprono di giorno e si chiudono di notte. De Marain dimostrò che il movimento delle foglie è conservato con una certa ritmicità anche quando la pianta è costantemente al buio e, quindi, che l’esposizione alla luce non è la causa diretta del movimento. Questa evidenza pose le basi per gli studi successivi, che arrivarono a dimostrare l’esistenza di un complesso sistema genico, attivo anche in assenza di fattori esterni, capace di mantenere la ritmicità di tutti i sistemi biologici, dall’alga unicellulare all’uomo.
Nell’uomo, i ritmi circadiani influiscono sull’alternanza sonno-veglia, ma anche su molti altri ritmi biologici: il mangiare, la produzione di ormoni e perfino la rigenerazione cellulare. L’orologio centrale è situato nell’ipotalamo, nella regione nota con il nome di nucleo soprachiasmatico (NSC). Nel corpo ci sono anche altri orologi, detti periferici, che si trovano nel fegato, nei polmoni, nella milza, nel pancreas, nel timo, nell’esofago e nella pelle.1 L’ambiente esterno agisce da sincronizzatore (zeitgeber) degli orologi biologici. Il più potente zeitgeber è probabilmente la luce solare, che agisce sulle cellule fotosensibili della retina, le quali rilevano i livelli di luce solare e comunicano questa informazione a quelle dell’NSC. Altri zeitgeber che possono efficientemente modulare gli orologi biologici sono, per esempio, il cibo, l’esercizio, le interazioni sociali.
A livello molecolare, il sistema è sostenuto dall’esistenza dei geni clock e dai geni controllati da clock (Clock controlled genes, CCG). Negli anni Settanta, i ricercatori del California Institute of Technology (CalTech) scoprirono 3 esemplari di Drosophila Melanogaster con mutazioni che rompevano lo schema regolare dei ritmi circadiani, con cicli sonno-veglia di durata differente.2 Nel 1986, Michael Young – che nel 2017 fu insignito insieme a Jeffrey C. Hall e Michael Rosbash del premio Nobel per la medicina proprio grazie agli studi e alle scoperte effettuati sui ritmi circadiani – riuscì a identificare il gene responsabile delle tre diverse mutazioni osservate nei moscerini della frutta: si tratta di un singolo gene chiamato period, o per.3 Esso svolge un ruolo essenziale nell’attivare la chimica del ritmo circadiano. Fu soltanto nel 1994 che venne identificato il primo gene regolatorio dei ritmi circadiani nell’uomo, cioè il gene Circadian Locomotor Output Cycles Kaput detto CLOCK.4 I polimorfismi del gene CLOCK sono stati associati a insonnia, difficoltà a perdere peso, disturbi dell’umore e ricorrenza di gravi episodi depressivi in pazienti affetti da disordine bipolare. Nel 2010, i ricercatori del Lighting Research Center di New York scoprirono, inoltre, che modifiche della luce al mattino per cinque giorni consecutivi durante la settimana scolastica incidevano sull’inizio dell’addormentamento degli studenti di terza media che sperimentavano disturbi negli schemi del sonno.5
Evidenze sempre più consolidate indicano che una grande varietà di rimodellamenti della cromatina sarebbe in grado di contribuire per vari aspetti alla costituzione di quello che viene definito epigenoma circadiano. Inoltre, la “macchina circadiana” sembra occupare un ruolo chiave nel correlare metabolismo ed epigenetica. L’istone deacetilasi 3 (HDAC3) è una deacetilasi che modula l’acetilazione degli istoni dei geni circadiani, particolarmente di quelli che regolano il metabolismo dei lipidi. La funzione regolatoria di REV-ERBα nei ritmi circadiani è controllata dal corepressore del recettore nucleare 1 (NCoR1), un corepressore che recluta HDAC3 come mediatore della repressione trascrizionale dei geni target, come Bmall, che regola positivamente la macchina circadiana nei mammiferi. Nel 2008, Theresa Alenghat e colleghi hanno osservato che, quando nei topi veniva bloccata l’associazione tra il gene NCoR1 e HDAC3, si osservavano difetti metabolici dello sviluppo e del ritmo circadiano.6
Anche la metilazione del DNA sembrerebbe giocare un ruolo importante nella regolazione dei geni CLOCK.7 Due studi recenti effettuati dal nostro gruppo di ricerca (EPIGET Lab, che si occupa di epidemiologia, epigenetica e tossicologia) e collaboratori hanno mostrato che l’inquinamento dell’aria potrebbe agire direttamente sulla metilazione del DNA dei geni CLOCK. In particolare, il particolato sembra agire sulla metilazione del gene CLOCK della rondine, modificando sensibilmente il periodo della migrazione.8 Nell’uomo sembra essere fondamentale l’effetto in utero:9 la metilazione dei geni circadiani alla nascita sembra essere modulata dall’esposizione al particolato fine; si è osservata, infatti, un’associazione significativa tra i livelli di esposizione a PM2,5 e i livelli di metilazione dei geni coinvolti nei ritmi circadiani. Le alterazioni osservate nell’epigenetica dei geni CLOCK della placenta potrebbero costituire il meccanismo attraverso il quale l’esposizione al particolato agisce sui processi di sviluppo embrionale. I potenziali effetti a lungo termine devono ancora essere approfonditi.
L’esistenza dei ritmi circadiani è fortemente legata a numerosi processi patogenetici. Da un lato, è ormai noto che molte patologie acute mostrano una ritmicità di insorgenza (per esempio, le patologie cardiovascolari acute insorgono più frequentemente nelle prime ore del mattino). Dall’altro, la distruzione dei ritmi circadiani è associata a un rischio aumentato di sviluppare patologie cardiovascolari,10 gastrointestinali,11 psichiatriche,12 tumori13 ed è addirittura associata a un rischio maggiore di suicidio.14
Nella società moderna si è assistito a un incremento delle attività notturne, all’aumento delle ore di lavoro, a una sempre più crescente abitudine a cibarsi in orari in cui si dovrebbe dormire eccetera. Questo disallineamento tra ritmo circadiano e ritmi metabolici può distruggere l’omeostasi del nostro organismo. Un esempio di questo fenomeno parte dall’osservazione epidemiologica che il lavoro a turni è associato a un rischio aumentato di sviluppare diabete, obesità e patologie cardiovascolari.15
Sebbene i ritmi circadiani facciano parte di ogni aspetto della nostra vita, lo studio della cronobiologia sta solo iniziando a permeare i vari settori delle scienze biologiche e mediche. I ritmi circadiani sono regolati da un insieme di meccanismi sensibili e complessi, influenzati in maniera significativa dall’ambiente in cui viviamo, dalle nostre abitudini e dal nostro stile di vita. È probabile che il mantenimento dei nostri geni CLOCK in sincronia con l’ambiente, per esempio attraverso una buona qualità del sonno e uno stile di vita regolare, possa avere un ruolo fondamentale sulla nostra salute e che la ritmicità di terapie e interventi medici avverrà sempre più secondo schemi temporali definiti, al fine di massimizzarne l’efficacia.
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