Rubriche
17/06/2014

Il nuovo Rapporto dell’IPCC: urge intervenire

Nel giorno stesso in cui scrivo questa rubrica viene pubblicato il capitolo sulla salute del quinto Rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) stilato dal Working Group 2. Quella a cui ho accesso è ancora una bozza e pertanto qualche dettaglio potrà ancora cambiare, ma non le valutazioni principali.

I rischi principali

Molte considerazioni del Rapporto rafforzano quanto era già noto. Per esempio, 13 dei 14 anni più caldi mai registrati si sono verificati nel XXI secolo (l’unica eccezione è il 1998, l’anno del Niño). Il Rapporto, come peraltro molte altre fonti autorevoli, richiama l’attenzione su quelle che saranno nei prossimi anni le sfide più drammatiche. La prima è sicuramente la disponibilità di acqua in abbondanza e di buona qualità. Benché non vi siano prove che a livello globale sia cambiata la frequenza dell’esaurimento delle acque di superficie e di profondità, nelle aree aride subtropicali si prevede che questo si verificherà tra pochi anni. Sul lungo periodo una grave carenza d’acqua è prevista per almeno tre fenomeni concomitanti: la domanda crescente, i cambiamenti nelle precipitazioni e la fusione dei ghiacciai. Si stima che ogni aumento di un grado della temperatura provocherà una diminuzione del 20% delle fonti rinnovabili d’acqua per un ulteriore 7% della popolazione. Inoltre l’incremento della temperatura aumenterà i sedimenti, la siccità provocherà una diluizione ridotta dei contaminanti, e le inondazioni un collasso ciclico dei sistemi di smaltimento dei rifiuti.
Senza misure di adattamento, entro il 2100 centinaia di milioni di persone saranno soggette ad alluvioni ed erosioni costiere, con relativa perdita di terreni coltivabili. Gli effetti del cambiamento climatico sulla produzione di cibo dipendono da complesse interazioni tra i livelli di CO2 , azoto e ozono, la temperatura, la disponibilità di acqua e gli estremi climatici, tutti fenomeni difficili da prevedere. Benché si siano osservati alcuni effetti positivi sulla produttività dell’agricoltura, questi sono stati complessivamente superati dagli effetti negativi, soprattutto sul mais. Si stima che nel complesso i raccolti potranno ridursi fino al 2% per decennio in questo secolo, mentre la domanda si espanderà del 14% per decennio fino al 2050.

Conseguenze socioeconomiche

Il problema principale è che il mercato degli alimenti è sensibile ai cambiamenti estremi del clima. Se gli aumenti di temperatura saranno tragici (più di 4 gradi), i danni per la produzione di cibo saranno percepiti a tutte le latitudini, mentre al momento si limitano alle aree temperate.
Il cambiamento climatico è un threat-multiplier, un “moltiplicatore di problemi” per i gruppi sociali più poveri, per esempio per l’aumento di prezzi dei cibi. È verosimile che questo non sarà un problema solo nei Paesi a basso reddito, ma si creeranno nuove sacche di povertà nei Paesi ad alto reddito, in cui le disuguaglianze sono crescenti.
Le conseguenze del cambiamento climatico saranno diverse nei vari continenti. In Europa, l’IPCC stima “con elevata confidenza” che aumenteranno le perdite economiche e il numero di persone che subiscono gli effetti delle alluvioni nei bacini fluviali e lungo le coste. Vi sarà al contempo una riduzione dell’acqua disponibile insieme a un aumento della domanda.
In altri continenti un impatto importante potrà verificarsi sulle malattie trasmesse da vettori, come suggerisce un recente articolo pubblicato su Science sulla diffusione della malaria ad altitudini più elevate in Etiopia e Colombia.1

Strategie di prevenzione

Per quanto riguarda le misure preventive e protettive, è abbastanza ovvio che le strategie di mitigazione potranno avere un impatto solo sul lungo o lunghissimo periodo (per esempio, entro il 2050 l’impatto di tutti gli scenari stimati di cambiamento della CO2 sarà lo stesso), mentre l’adattamento può aspirare a effetti più sul breve periodo.
Tuttavia, non è ancora disponibile alcuna valutazione dell’efficacia delle misure di adattamento, né vi sono indizi di un mutamento nelle politiche territoriali in funzione del cambiamento climatico (per esempio, nella pianificazione territoriale extraurbana). L’adattamento può essere estremamente complesso e costoso (dalle barriere fluviali come quella sul Tamigi alle infrastrutture necessarie per proteggere i porti e le aree costiere). Ma in alcuni casi anche misure semplicissime possono risultare efficaci, come le mangrovie, le alghe e le marcite salate che sequestrano CO2, oltre che proteggere la costa.
In conclusione, il quinto rapporto dell’IPCC rafforza i precedenti segnali volti a reclamare un’azione urgente per evitare l’innescarsi di fenomeni non più reversibili.

Bibliografia

  1. Siraj AS, Santos-Vega M, Bouma MJ, Yadeta D, Ruiz Carrascal D, Pascual M. Altitudinal changes in malaria incidence in highlands of Ethiopia and Colombia. Science 2014;343(6175):1154-8.
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