Il caso del bupropione, un antidepressivo che fa smettere di fumare
Il caso
Apprendiamo dai giornali italiani che la CUF ha posto il bupropione, un farmaco antidepressivo che aiuta i fumatori a smettere di fumare, in fascia C (cioè viene incluso nella farmacopea ufficiale ma è disponibile solo a pagamento).
Il quesito
Il buproprione dovrebbe passare in fascia A ed essere reso disponibile gratuitamente a tutti i fumatori che desiderano smettere di fumare?
Il commento
Considerazioni scientifiche a favore. Nella rassegna sistematica contenuta nella Cochrane Library (edizione del 2000, 2nd release, Update Software Ltd, Oxford 2000), c’è una singolare discordanza tra i risultati della meta-analisi e i commenti dei suoi autori. La meta-analisi su quattro studi pubblicati riporta una odds ratio di 2,7 per una cessazione del fumo perdurante dopo 12 mesi dall’inizio della terapia in coloro che usavano il bupropione. L’intervallo di confidenza al 95% è pari a 1,9-3,9, dunque l’effetto ha una bassa probabilità di essere dovuto al caso. In altre parole, la differenza non è attribuibile ai piccoli numeri osservati. Di più, poiché la frequenza dell’esito (smettere di fumare) è dell’8% nei trattati
con il placebo, il Numero che è necessario trattare (NNT) è pari a 1/(0,08 x 0,63) = 20. E’ cioè sufficiente trattare 20 soggetti con bupropione per riconoscere un successo che dura almeno 12 mesi, un’efficacia piuttosto marcata. In una sperimentazione finora non ripetuta, in cui pazienti trattati con bupropione + cerotto alla nicotina erano paragonati con pazienti trattati col solo cerotto, il rischio relativo era 2,5 (IC 1,6-4,1).
I fumatori erano stati trattati con bupropione per periodi di 7-13 settimane, a seconda degli studi, ed erano sottoposti – come il gruppo di controllo – anche ad attività di disassuefazione d’altra natura (incontri di gruppo).
Alla luce di questi risultati sono abbastanza sorprendenti le conclusioni degli estensori della rassegna: «There is little evidence that anxiolytics aid smoking cessation. Some antidepressants (bupropion and nortriptyline) can aid smoking cessation. It is not clear whether these effects are specific for individual drugs, or a class effect». Tra l’altro, il bupropione riduceva l’entità della sindrome da astinenza e l’aumento di peso successivo alla cessazione del fumo. L’efficacia del farmaco risultava indipendente da una precedente depressione e sembra dunque non essere legata all’effetto antidepressivo in quanto tale.
Considerazioni scientifiche contro. Quali sono allora la ragioni per lo scarso entusiasmo dei curatori della rassegna? L’argomentazione principale consiste nella constatazione del fatto che le terapie sostitutive della nicotina (cerotto o spray) si sono dimostrate efficaci e dotate di pochi effetti collaterali in più di 80 sperimentazioni, mentre l’effetto del bupropione è al momento dimostrato solo da 4 trial di piccole dimensioni (da 23 a duecento soggetti, per un totale di 518 persone trattate col farmaco) che utilizzavano dosaggi diversi.
Inoltre, due studi non sono stati pubblicati per esteso, ma solo in forma sintetica cosa che rende difficile una valutazione di appropriatezza metodologica. Il bupropione ha causato convulsioni in soggetti trattati per la depressione (circa 1 caso su 1.000), ma in nessuno dei soggetti trattati per smettere di fumare. A causa del maggiore cumulo complessivo di prove a favore dei cerotti, i curatori della rassegna suggeriscono di condurre altre sperimentazioni in cui i cerotti siano adeguatamente paragonati con la terapia antidepressiva.
Considerazioni etiche a favore. Distinguiamo tra le considerazioni etiche a favore dell’adozione del farmaco nella lotta al tabagismo dalle considerazioni che riguardano la sua disponibilità gratuita nell’ambito del SSN italiano. Partiamo dal presupposto (non ancora del tutto dimostrato) che il bupropione sia efficace, con un NNT di 20. Si tratterebbe di uno degli strumenti preventivi più efficaci oggi disponibili, perché smettere di fumare riduce drasticamente (sul lungo periodo) il rischio di tumori in varie sedi, di malattie cardiovascolari, di pneumopatie croniche eccetera. La domanda è: quali sono le implicazioni etiche dell’uso di un metodo preventivo squisitamente individualizzato e di tipo farmacologico? Non è forse contrario alla logica della prevenzione agire sulla psiche dell’individuo attraverso un farmaco? Si può obiettare che la dipendenza da tabacco non è dissimile da altre forma di dipendenza per le quali si ammette un trattamento farmacologico, come la dipendenza da eroina. Si tratta di condizioni in cui l’individuo, nonostante gli sforzi e la buona volontà, non riesce a liberarsi dell’abitudine patogena. Dunque, ricorrere a un farmaco, tanto più se privo di effetti collaterali, è perfettamente giustificato. Dai due punti precedenti (NNT basso, peculiarità della sindrome di dipendenza da nicotina), deriva una risposta positiva anche al secondo quesito: il Servizio sanitario nazionale deve concedere il bupropione gratuitamente ai fumatori, altrimenti si nega l’accesso a un intervento di provata efficacia (che potrebbe tranquillamente rientrare nei Livelli essenziali di assistenza) alle persone meno abbienti, contraddicendo apertamente uno degli obiettivi del Piano sanitario nazionale.
Considerazioni etiche contro. I protocolli sperimentali prevedevano trattamenti con bupropione di 7-13 settimane.
Non è chiaro se gli ex fumatori debbano continuare a prendere il farmaco per periodi più lunghi al fine di mantenere l’effetto, e se tale assunzione possa avere degli effetti collaterali, compresa un’assuefazione e una sindrome di astinenza. Se così fosse, sarebbe prematuro inserire questo farmaco tra gli strumenti di prevenzione garantiti dal SSN: non sarebbe infatti ragionevole rischiare di sostituire, con denaro pubblico, milioni di fumatori con milioni di dipendenti da un antidepressivo.
Sarebbe più ragionevole dunque lasciare che il farmaco venga usato da chi lo vuole (a pagamento) in attesa che si rendano disponibili le informazioni necessarie.
Conclusioni
Non mi è chiaro (ma forse qualcuno può chiarirlo sulle pagine di questa rivista) se la collocazione del buproprione in fascia C anziché in fasce superiori sia avvenuta per la relativa povertà delle prove scientifiche (almeno in confronto con i cerotti alla nicotina) oppure per altri motivi (farmaco efficace, ma incoerente con i principi della politica preventiva). In questo secondo caso sarebbe bene che i criteri delle scelte venissero chiariti esplicitamente.
Un problema più generale è se la valutazione di un’attività preventiva debba seguire canali e criteri diversi da quelli di un intervento terapeutico. Effettivamente, la prevenzione pone problemi particolari, in quanto si rivolge a persone sane e ha implicazioni di non poco conto per quanto riguarda la libertà personale, la confidenzialità eccetera. Sarebbe utile avere un intervento sul tema, sulle pagine di questa rivista, da parte di qualche membro della CUF.