I tumori professionali delle donne: qualche riflessione
Il ruolo del sesso e del genere come modificatori delle più comuni cause di malattia e di morte è stato ampiamente esplorato e discusso in una review recentemente pubblicata su The Lancet.1 Per quanto riguarda le patologie oncologiche, gli autori e le autrici ribadiscono che l’incidenza è generalmente più alta negli uomini rispetto alle donne e attribuiscono queste differenze in parte al sesso, che potrebbe incidere nella biologia dei tumori, in parte al genere.
Pochi dati, pochi studi, poche conoscenze
Tra le differenze di genere che influenzano l’occorrenza dei tumori troviamo quelle di origine occupazionale.
Le prime osservazioni sui tumori professionali, riportate da Bernardino Ramazzini nel 1700, riguardavano il tumore della mammella nelle suore (una professione sui generis, a dire il vero). Due secoli più tardi veniva descritto il cancro dell’osso e della mammella tra le lavoratrici che dipingevano i quadranti degli orologi con il radio (elemento scoperto nel 1898 da Marie Curie e immediatamente sfruttato a livello industriale).2 Più recentemente per numerose esposizioni sono stati osservati aumenti di rischio di tumore anche nelle donne, ma la ricerca epidemiologica sui tumori professionali nei maschi è sempre stata quantitativamente superiore rispetto a quella riservata alle femmine.2 Nel 2015 Hohenadel,3 pur constatando un aumento della quota di studi che includevano le donne (62% nel periodo 2006-2009 rispetto al 39% del periodo 1991-1995), sottolineava quanto la percentuale restasse bassa a fronte del valore costante (intorno al 90%) delle pubblicazioni sugli uomini. Un’ulteriore carenza riguarda la disponibilità di analisi approfondite (per esempio il basso numero di donne incluse negli studi offre meno probabilità di approfondire la relazione dose-risposta dato).3
Questa mancanza di dati sulle donne è preoccupante per una serie di motivi:
- per il possibile aumento del numero di donne nella forza lavoro,
- per il possibile aumento della percentuale di donne che svolgono lavori con esposizioni potenzialmente pericolose,
- per il fatto che le informazioni sul rischio cancerogeno provengono soprattutto da studi condotti sugli uomini, non sono adeguati a descrivere il rischio tra le donne.2
Anche in Italia una revisione della letteratura epidemiologica pubblicata alla fine del secolo scorso sul ruolo dell’esposizione occupazionale nello sviluppo di tumori nelle donne tra il 1970 e il 1995, osservò che nella maggior parte delle ricerche le donne lavoratrici non rappresentavano l’obiettivo principale e comunque il numero delle donne prese in considerazione negli studi era basso. Quella review concludeva che in Italia, data la scarsità di indagini sulle donne e la predominanza di lavoratrici in alcuni settori economici (per esempio tessile, calzaturiero, servizi alla persona, sanità e scuola), ci fosse la necessità di fare di queste lavoratrici l’obiettivo prioritario sia della ricerca sia della sorveglianza.4
Il bias di genere
I rischi possono rispecchiare anche la differente distribuzione delle donne nei comparti produttivi e che genera una diversa distribuzione delle esposizioni e delle modalità con cui avvengono, argomenti questi esplorati da Eng e collaboratori.5 Basandosi infatti su un’ampia indagine, Eng mette in luce che ci sono disparità di genere nelle occupazioni, per esempio le donne che lavorano come impiegate nei servizi o nelle vendite sono circa il triplo degli uomini; al contrario, gli uomini impiegati come operatori di impianti e macchine o assemblatori sono cinque volte più numerosi delle donne. Inoltre Eng osserva che uomini e donne che svolgono lo stesso lavoro percepiscono e/o riportano le esposizioni in maniera diversa e che, anche all’interno dello stesso lavoro, uomini e donne possono avere esposizioni diverse. Tali differenze dipendono anche dal fatto che lo stesso tipo di lavoro presuppone, nella maggior parte dei casi, una diversa assegnazione di compiti tra uomini e donne. Tale fenomeno delle diversità sul piano lavorativo tra donne e uomini, che rappresenta una sistematica variabilità per genere, può essere definito un bias di genere e dovrebbe essere considerato nel disegno dello studio già nella fase di progettazione.5
Anche l’entità dell’esposizione potrebbe presentare differenze, come mostrato in uno studio italiano condotto sulla base delle informazioni contenute nel database sulle misurazione delle esposizioni delle aziende (SIREP-INAIL) dove, sulla base delle esposizione selezionate (166.617 misurazioni delle esposizioni su 40 diversi agenti cancerogeni), solo una piccola parte riguardava le donne (9%), ma queste ultime avevano maggiori probabilità, rispetto agli uomini, di essere esposte a livelli più elevati per diversi agenti cancerogeni.6 Gli autori, dopo aver messo in risalto che le esposizioni ad agenti cancerogeni professionali hanno caratteristiche distintive nelle donne, attribuibili in parte al lavoro e alla segregazione lavorativa, raccomandano che, a causa della presenza di gruppi di lavoratrici altamente esposte in molti settori industriali, si facciano ulteriori sforzi nell’ambito sia della ricerca sia nella prevenzione.6
Considerando i tumori femminili più frequenti, vorremmo sottolineare che il rischio di tumore può essere incrementato da alcune attività lavorative come il lavoro a turni notturno recentemente classificato come probabile cancerogeno dall’Agenzia internazionale di ricerca sul cancro (IARC).7 Nonostante la notevole percentuale di donne che lavorano con organizzazione lavorativa a turni (per esempio il personale sanitario, il personale di volo eccetera), poco si parla in termini di prevenzione di questo rischio.
Anche per quanto concerne l’esposizione ad amianto, “cancerogeno certo” associato ad aumento di rischio di mesotelioma maligno, si osservano differenze di genere. Per quanto riguarda l’esposizione ad amianto, sulla base dei dati del sistema di sorveglianza epidemiologica ReNaM (Registro Nazionale Mesoteliomi), è stato osservato8 che le donne sono state esposte soprattutto nel settore della plastica, della chimica e del tessile, ma un ruolo importante è rivestito dall’esposizione non occupazionale (circa il 30%). Marinaccio e collaboratori sottolineano la necessità di indagare meglio l’esposizione in una prospettiva di genere che possa sostenere l’efficacia del sistema assicurativo e assistenziale e favorire le politiche di prevenzione dei rischi.8 Inoltre, nel 2009 la IARC ha aggiunto l’esposizione ad amianto (professionale, ambientale o domestica, per aver vissuto con soggetti professionalmente esposti) ai fattori causali del tumore dell’ovaio.9 Ai fattori di rischio genetici ed endocrini noti per questo tumore, si aggiunge, quindi, il rischio lavorativo di fatto finora poco indagato nonostante rischi importanti osservati in alcune coorti lavorative italiane (SMR di 3,0 nella coorte di filatrici di amianto,10 di 1,42 nell’analisi pooled delle coorti italiane).11
Anche per un tumore molto frequente nella popolazione quale il tumore del polmone, come riportato da una recente revisione che ha preso in esame 243 studi, è stato osservato che solo il 7% riguardava le donne, un rapporto uomini-donne sproporzionato con una conseguente implicita generalizzazione dei risultati provenienti solo dagli studi sugli uomini.12
Alla luce di queste riflessioni vorremmo far presente che,
- al di là di una possibile minore esposizione in alcuni contesti lavorativi,
- al di là di una possibile segregazione orizzontale del lavoro con la tendenza ad impiegare uomini e donne in mansioni e settori diversi
- al di là del fatto che il lavoro all’interno della stessa mansione può essere diverso e prevedere compiti diversi
vi sia una possibile sottovalutazione dei fattori di rischio occupazionali dovuta a scarsità di informazioni sulle donne. Si ribadisce quindi la necessità di incrementare gli studi sulle donne, in particolare in comparti lavorativi con maggiore presenza di lavoratrici, quali per esempio la sanità, i servizi o le industrie in cui è riconosciuta la presenza di cancerogeni.
Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.
Bibliografia
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- Hohenadel K, Raj P, Demers PA, Zahm SH, Blair A. The inclusion of women in studies of occupational cancer: a review of the epidemiologic literature from 1991-2009. Am J Ind Med 2015;58(3):276-81.
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- World Health Organization. IARC Monographs on the identification of carcinogenic hazards to humans. Night Shift Work. Monographs on the Identification of Carcinogenic Hazards to Humans. Volume 124. Lione, WHO, 2020.
- Marinaccio A, Corfiati M, Binazzi A et al. The epidemiology of malignant mesothelioma in women: gender differences and modalities of asbestos exposure. Occup Environ Med 2018;75(4):254-62.
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- Betansedi CO, Vaca Vasquez P, Counil E. A comprehensive approach of the gender bias in occupational cancer epidemiology: A systematic review of lung cancer studies (2003-2014). Am J Ind Med 2018;61(5):372-82.