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14/08/2019

I network sui neonati pretermine: il confronto aiuta il miglioramento della qualità delle cure?

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A livello globale, la nascita pretermine rappresenta un problema di sanità pubblica formidabile. Anche nei Paesi sviluppati, la frequenza di parti pretermine si aggira intorno al 10% (7% circa in Italia, 10% in Oceania, oltre 11% in Nord America) e non sta calando.1 In questi Paesi, i neonati molto pretermine (età gestazionale <32 settimane) rappresentano meno dell’1% dei nati, ma contribuiscono a più della metà della mortalità infantile, anche se nei decenni scorsi l’aumento della loro sopravvivenza è stato spettacolare. Questi miglioramenti sono leggibili anche a livello di ospedale: per esempio, dal 2005 al 2014 i tassi di mortalità e le patologie gravi sono costantemente diminuiti nei centri partecipanti al Vermont-Oxford Network (VON)2 e, nell’arco di 8 anni, il 98% dei centri ha raggiunto risultati migliori rispetto al primo quartile del 2005 per mortalità e infezioni nosocomiali (un problema di enorme rilevanza in tutto il mondo e probabilmente più legato alle caratteristiche assistenziali rispetto ad altri esiti).
Le informazioni rilevanti riguardanti i neonati molto pretermine sono solo in minima parte ottenibili tramite flussi correnti. I network neonatali, iniziative che partono dai professionisti, raccolgono in maniera prospettica e standardizzata informazioni su fattori di rischio, procedure ed esiti relativi a questi neonati e sono una realtà relativamente recente. A livello internazionale, le prime esperienze risalgono alla metà degli anni Ottanta, con la creazione del VON (attualmente il più grande del mondo, con oltre 1.200 ospedali partecipanti) e di alcuni network nazionali, come in Canada, Nuova Zelanda e Australia. In Italia, uno dei primi network di raccolta dati in ambito neonatale risale al 1999, quando si costituì il Network neonatale lombardo, che raccoglieva i dati di 13 ospedali.
Lo scopo dichiarato di questi network è (citando per tutti il VON) «il miglioramento della qualità e della sicurezza delle cure neonatali rivolte ai neonati e alle loro famiglie attraverso programmi coordinati di ricerca, formazione e progetti di miglioramento della qualità».
La necessità di approfondire le modalità con cui sono erogate le cure neonatali è dimostrata dalla variabilità, ancora molto ampia, di una serie di indicatori che vanno da alcuni esiti maggiori, quali mortalità, malattia polmonare cronica, infezioni e outcome neurologico, all’utilizzo di terapie e procedure, dalla ventilazione meccanica fino alle modalità di allattamento alla dimissione. A un osservatore ingenuo, questa variabilità è inspiegabile in un contesto di cura altamente standardizzato e orientato dappertutto all’evidence-based medicine.
E, tuttavia, questa variabilità è ubiquitaria3 e, schematicamente, deriva da tre componenti principali:

  • caratteristiche della casistica trattata (case-mix);
  • variabilità casuale;
  • fattori sistematici (strutturali, umani, culturali, procedurali e organizzativi). È evidente che questo terzo elemento rappresenta il punto di interesse maggiore per quanti si occupano di assistenza neonatale in un’ottica di miglioramento della qualità.

La raccolta sistematica e il confronto puntale dei dati di ogni centro con quelli del network permettono di sfruttare la variabilità «identificando miglioramenti nella pratica clinica e organizzativa rilevanti per gli esiti neonatali»4 e costituiscono lo strumento indispensabile, da una parte, per l’individuazione dei problemi che più urgentemente richiedono un intervento, dall’altra, per l’analisi dei risultati delle politiche di miglioramento. Un approccio metodologico rigoroso alla quantificazione di problemi, accanto a una reale attitudine al confronto e al cambiamento, è, quindi, premessa e al tempo stesso conseguenza di ogni tentativo di miglioramento della qualità dell’assistenza.
Ma effettivamente questo confronto, che da anni si svolge nell’ambito dei network neonatali, ha comportato qualche “effetto”? Sono, cioè, dimostrabili miglioramenti nella qualità delle cure neonatali?
È verosimile (ma difficile da documentare) che il semplice confronto dei dati del proprio centro con un benchmark e la documentazione di uno scostamento rispetto all’atteso (rappresentato dal benchmark o dalla media dei centri), partendo dalla condivisione delle definizioni e dei dati,5 produca un effetto positivo, tramite audit o anche solo per un effetto Hawthorne. Di sicuro, non si può sottovalutare l’impatto culturale di questi approcci che permettono di connettere i professionisti (a volte di più discipline) e di facilitarne il confronto in merito alle grandi tematiche assistenziali perinatali.
Da qui possono partire programmi specifici di miglioramento della qualità promossi e organizzati dai singoli network, spesso sotto forma di studi di ricerca, come ampiamente documentato in molti studi internazionali.6-10 È interessante notare che, in una revisione sistematica sull’impatto dei progetti collaborativi sulla qualità delle cure,11 una parte significativa degli studi con risultati positivi è stata rappresentata da progetti condotti dal VON, ma gli esempi vengono da numerose altre realtà. Per esempio, il network canadese organizza sistematicamente attività di miglioramento della qualità e ha condotto a uno spinoff internazionale (International Network for Evaluation of Outcomes – iNeo; www.ineonetwork.org),4 che vede anche la partecipazione del network toscano (TIN Toscane on-line).

Conclusioni

I network neonatali rappresentano una occasione unica per l’implementazione di progetti di miglioramento della qualità in ambito peri e neonatale. Alcuni esempi possono essere trovati, a titolo esemplificativo, sul sito del Vermont Oxford Network (VON; www.vtoxford.org) o su quello del Network Canadese (www.epiq.ca). In Italia, sono attivi un network neonatale italiano (Italian Neonatal Network-Società italiana di neonatologia – INNSIN), che partecipa al VON, e network regionali area-based (Lazio, Emilia-Romagna, Marche e Toscana), il cui interesse è rivolto anche all’organizzazione regionale delle cure ostetrico-neonatali.
Gli studi finora condotti dimostrano l’efficacia di questi interventi, fatte salve le necessità di rigorosi metodi di implementazione delle pratiche potenzialmente migliorative. Spesso questi studi sono difficili da analizzare in termini di risultati e di efficacia, ma anche in questo ambito la ricerca sta individuando disegni di studio e tecniche di analisi più adatte allo scopo specifico.12,13

Bibliografia

  1. Chawanpaiboon S, Vogel JP, Moller AB et al. Global, regional, and national estimates of levels of preterm birth in 2014: a systematic review and modelling analysis. Lancet Glob Health 2019;7(1):e37-46.
  2. Horbar JD, Edwards EM, Greenberg LT et al. Variation in performance of neonatal intensive care units in the United States. JAMA Pediatr 2017;171(3):e164396.
  3. Gagliardi L. Clinical variability in neonatology: context matters. Pediatrics 2017;140(6):e20172808.
  4. Shah PS, Lee SK, Lui K et al. The International Network for Evaluating Outcomes of very low birth weight, very preterm neonates (iNeo): a protocol for collaborative comparisons of international health services for quality improvement in neonatal care. BMC Pediatr 2014;14:110.
  5. Costeloe K, Turner MA, Padula MA et al. Sharing data to accelerate medicine development and improve neonatal care: data standards and harmonized definitions. J Pediatr 2018;203:437-41.
  6. Horbar JD. The Vermont Oxford Network: evidence-based quality improvement for neonatology. Pediatrics 1999;103(1) Suppl E:350-59.
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  8. Horbar JD, Plsek PE, Leahy K; NIC/Q 2000. NIC/Q 2000: establishing habits for improvement in neonatal intensive care units. Pediatrics 2003;111(4 Pt 2):e397-410.
  9. Lee SK, Aziz K, Singhal N et al. Improving the quality of care for infants: a cluster-randomized controlled trial. CMAJ 2009;181(8):469-76.
  10. Lee SK, Shah PS, Singhal N et al. Association of a quality improvement program with neonatal outcomes in extremely preterm infants: a prospective cohort study. CMAJ 2014;186(13):e485-94.
  11. Schouten LM, Hulscher ME, van Everdingen JJ, Huijsman R, Grol RP. Evidence for the impact of quality improvement collaboratives: systematic review. BMJ 2008;336(7659):1491-94.
  12. Broer T, Nieboer AP, Bal RA. Opening the black box of quality improvement collaboratives: an Actor-Network theory approach. BMC Health Serv Res 2010;10:265.
  13. Eppstein MJ, Horbar JD, Buzas JS, Kauffman SA. Searching the clinical fitness landscape. PloS One 2012;7(11):e49901.
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