Gestire e prevenire le pandemie: cosa abbiamo imparato dal COVID-19
Roberto De Vogli
Managing and Preventing Pandemics. Lessons from COVID-19
Londra, Routledge, 2024
280 pagine; 47,36 euro
L’infodemia durante la pandemia di COVID-19 ci ha fatto spesso desiderare di non sentire più parlare di quanto accaduto. Tuttavia, è utile riesaminare gli interventi di sanità pubblica adottati e la loro gestione, per cercare di imparare dall’esperienza. Roberto De Vogli, professore di Salute Globale all’Università di Padova, ha intrapreso l’esercizio nel libro Managing and Preventing Pandemics. Passando in rassegna i primi anni della pandemia, con uno sguardo alle diverse situazioni internazionali, con un focus sull’Italia, il libro riporta una nutrita bibliografia e si articola su tre direttrici di analisi.
La prima è quella degli “errori chiave”. In particolare per l’Italia, l’autore stigmatizza la mancata preparazione (citando anche lo smantellamento di una struttura dell’ISS il cui contributo scientifico e organizzativo sarebbe potuto essere utile nel coordinamento della risposta sul territorio), la disinformazione (citando affermazioni specifiche da parte di illustri “esperti”, puntualmente smentite dai fatti, ma senza nessuna conseguenza), la medicalizzazione della risposta (per cui eminenti clinici sono stati incaricati ai massimi livelli di proporre e definire gli interventi di sanità pubblica), le disuguaglianze di esposizione all’infezione (anche in base alle diverse attività lavorative e ai livelli socioeconomici) e di accesso alla prevenzione (inclusa l’attuabilità delle imposizioni di isolamento e le vaccinazioni). De Vogli cita anche i ritardi e le ambiguità della stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, che riconobbe con un ritardo di quasi due anni il rischio di trasmissione delle infezioni per aerosol, anziché solo per grosse droplet, e la possibilità di contagio da persone infette, ma asintomatiche. In alcuni Paesi, fu proposto e dichiarato l’approccio di “lasciar correre” le infezioni a fronte di una dichiarata incapacità di contrasto che avrebbe comportato perdite economiche e alterazioni delle dinamiche di vita comune. Il mito dell’immunità di gregge, che si sarebbe instaurata dopo la prima ondata del nuovo virus, si è rivelato fallace per SARS-CoV-2 e inaccettabile.
Dopo gli errori, la seconda parte del libro riporta esempi di “successo”, identificando le “azioni vitali” e i Paesi “virtuosi” che sono stati in grado di limitare il numero di decessi causati da o associati a SARS-CoV-2. In molti casi, la capacità di contrastare il diffondersi delle infezioni è stata solo temporanea (come in Veneto, in cui la buona rete territoriale di prevenzione ha ritardato la prima ondata pandemica, rispetto alla limitrofa Lombardia) e arginare l’ondata dovuta alla variante Omicron è stato impossibile quasi ovunque. Il paragone tra Paesi orientali e occidentali è stridente: Taiwan, Corea del Sud, Vietnam, Nuova Zelanda, Singapore e Giappone hanno sperimentato una mortalità decisamente contenuta rispetto ai Paesi occidentali, in cui le risposte sono state molto meno efficaci. Il libro riporta le azioni considerate vitali nei Paesi “virtuosi”, anche se non approfondisce il problema della trasferibilità dei sistemi ai Paesi occidentali, in cui l’organizzazione e l’accettabilità di controlli individuali sono molto diversi. Risulta cruciale anche l’autorevolezza e la fiducia nelle istituzioni che gestiscono la sanità pubblica dei vari Paesi, punto ancora oggi particolarmente dolente. Certamente, in Occidente la polarizzazione delle opinioni e la risonanza che i media forniscono a posizioni in controtendenza a quelle ufficiali (con l’argomento del contrasto al pensiero unico!) hanno contribuito alla difficoltà di ottenere un’adesione pressoché totale alle raccomandazioni via via emesse.
L’ultima parte del libro è dedicata alla prevenzione delle pandemie su scala globale. Se ancora non è stata completamente chiarita o comunque unanimemente accettata l’origine del virus che ha scatenato la pandemia di COVID-19, è invece evidente che diversi fattori creati dall’uomo ne hanno favorito l’esplosione, come la crisi ecologica e alcuni aspetti dei sistemi economici attuali. Vengono citati e analizzati l’eccessivo consumo di aree naturali, l’industrializzazione e gli allevamenti intensivi, il sovraffollamento e la crescita demografica, i viaggi internazionali, i cambiamenti climatici.
Il libro è un richiamo all’applicazione pratica dei principi di salute globale, spesso citata, ma molto poco attuata. La pandemia ha dimostrato che la salute di tutti è fortemente dipendente dalle condizioni di vita e di salute anche di poche aree del mondo; tuttavia, non sembra che ci sia una definizione puntuale di interventi e di meccanismi di prevenzione che possono limitare i rischi di nuove pandemie. La spinta a “tornare alla normalità” dopo la pandemia non deve far tralasciare la ricerca delle cause e dei fattori che hanno reso possibile e amplificato la crisi sanitaria, sociale ed economica che abbiamo sperimentato.
Parlare degli errori chiave e delle azioni vitali per contrastare una pandemia non è fuori moda; anzi, la rassegna di quanto accaduto dovrebbe essere una guida di riferimento per i nuovi piani pandemici che le autorità sanitarie a vari livelli dovrebbero aver redatto. Siamo tutti in attesa di aggiornamenti in merito all’avanzamento dei lavori.
In sintesi, Managing and Preventing Pandemics vuole fare chiarezza e ordine sui moltissimi risvolti della vicenda e stimola nel lettore una revisione critica, basata su un’analisi a posteriori, del susseguirsi di eventi che hanno caratterizzato la gestione della intera vicenda a vari livelli.
Il testo rappresenta un contributo significativo al dibattito ancora in atto sull’impatto del COVID-19 sulla nostra società, fornendo strumenti utili per comprendere le sfide delle pandemie nel XXI secolo. Lettura utile anche per gli operatori che hanno sperimentato sul campo molte delle vicende richiamate nel libro e che possono essere sollecitati a rielaborare la loro esperienza con maggiore lucidità e freddezza.