Distorsioni e distrazioni nell’attività scientifica
Nel dicembre del 2011 The Scientist ha pubblicato una sorta di resoconto relativo aimaggiori scandali scientifici dell’anno, accompagnato da un aggiornamento su quelli dell’anno precedente, includendovi sia casi di vera e propria frode sia esempi di lavori ritirati dopo la pubblicazione a seguito della denuncia di errori o scorrettezze metodologiche.1 La lista, pur incompleta, è piuttosto varia e si estende a diversi campi disciplinari, Paesi e istituzioni di ricerca, anche molto prestigiose.
Come contare e interpretare le distorsioni?
A ogni nuovo episodio si innesca un dibattito che si incentra su due tipologie di domande, fra loro strettamente connesse: “quantitative”, relative alla frequenza dei comportamenti scorretti, e “qualitative”, relative alle loro cause. Rispondere alle prime sembrerebbe più facile, ma non è così. Sono aumentati, diminuiti, rimasti costanti i casi di misconduct? La crescita potrebbe essere solo apparente, se considerata relativamente al numero totale di ricercatori in attività, oggi di gran lunga superiore al passato. E, inoltre, non è possibile sapere quale percentuale del totale rappresentino, oggi e in passato, i casi identificati e dunque se la capacità di denunciarli sia variata. Una riflessione sulle ragioni degli scandali può essere d’aiuto anche nel trovare i numeri giusti, ed è indispensabile per individuare gli elementi che favoriscono od ostacolano le scorrettezze.
Alcuni osservatori, pur turbati dagli scandali, sono sollevati dalla loro scoperta perché identificano in ciò un successo dei meccanismi che la comunità scientifica mette in opera per la raccolta, l’analisi e la pubblicazione dei dati. Boyle fu probabilmente il primo a teorizzare, circa tre secoli e mezzo fa, la regola d’oro della riproducibilità dell’esperimento e della sua “pubblicità”; regole a tutt’oggi considerate valide, ma che si applicano più facilmente in un laboratorio che “in campo aperto” dove la scienza contemporanea si trova sempre più spesso a operare (valga per tutti lo studio del cambiamento climatico).
Al contrario, altri commentatori insistono sul degrado dell’impresa scientifica, che si sarebbe progressivamente distaccata dal suo originario e autentico ethos, riassunto nell’acronimo “CUDoS” di Mertoniana memoria.2 Essi tendono però a dimenticare che anche grandi nomi del passato hanno, come si direbbe oggi, “massaggiato” dati o “addomesticato” esperimenti, selezionando negativamente delle evidenze contrarie alle proprie ipotesi. E ciò non sempre per ricavare vantaggi personali, ma per sostenere teorie della cui correttezza scientifica erano fermamente convinti e la cui accettazione ritenevano importante anche in base a principi pratici o addirittura etici.3
Credo che per gettar luce su casi di negligenza o di frode non sia sufficiente fermarsi alla personalità dei singoli “colpevoli” (anche se questo è un elemento non trascurabile), ma sia necessario riflettere sul contesto scientifico e sociale in cui essi si trovano a operare. Nel corso dei secoli, e con un’accelerazione fortissima dopo la seconda guerra mondiale, la scienza ha subìto delle trasformazioni enormi, ma mai, neanche in passato, è stata un’attività asettica, avulsa dalla realtà circostante di cui subiva e subisce il condizionamento e che a sua volta influenza e modifica, in un processo circolare e continuo.
CUDoS
C ommunalism
U niversalism
D isinterestedness
and organized Skepticism
Un caso eclatante
In un libro di recente pubblicazione in cui ricostruisce una clamorosa frode scientifica,4 Eugenie Samuel Reich combina in una coerente e convincente analisi diversi fattori e processi che ne hanno resa possibile prima l’attuazione e poi la scoperta, offrendo inoltre degli spunti per una riflessione più generale che vada al di là del caso descritto. Il caso è quello del giovane fisico tedesco Jan Hendirk Shön che, mentre lavorava ai Bell Laboratories del New Jersey,5 divenne una vera e propria star per la quantità e qualità dei risultati prodotti dai suoi esperimenti nel campo della scienza dei materiali e delle nanotecnologie, esperimenti che in realtà egli aveva manipolato o addirittura mai condotto. Per circa tre anni, la sua produzione scientifica crebbe a un ritmo impressionante, tanto che quando la frode fu scoperta, nel 2002, prestigiose riviste scientifiche, incluse Science e Nature dovettero provvedere al ritiro di decine di suoi articoli.
Anche in base alle numerose interviste da lei condotte con persone coinvolte nel caso Shön, la Reich individua nella struttura contemporanea dell’impresa scientifica vari fattori che rendono difficile un efficace controllo di qualità. Fra questi un certo rilassamento di regole e procedure, soprattutto nelle istituzioni di ricerca private, il non benevolo trattamento normalmente riservato ai whistleblower e una fortissima competitività fra ricercatori e istituzioni che vogliono “arrivare primi” per assicurarsi brevetti e applicazioni commerciali con relativi onori e profitti. A ciò si affianca la parallela competizione fra riviste scientifiche che, interessate a pubblicare per prime lavori e risultati innovativi, rischiano di prestaremaggiore attenzione alla novità che alla correttezza dei dati.
Ma il libro documenta anche altri aspetti che rivelano una volta di più come anche le dinamiche personali non siano irrilevanti nel dispiegarsi della ricerca, idea questa che è ancora in grado di suscitare incredulità e sconcerto in quanti concepiscono la scienza come un’attività umana totalmente distinta da ogni altra, regno della razionalità e dell’oggettività, esente dalla “passione”. Dalle interviste della Reich emerge uno Shön gentile, modesto, che comunica volentieri con i colleghi, pronto ad accettare critiche e suggerimenti. Il tipo di persona che non suscita antipatia o invidia e dunque non viene guardata a vista nella speranza di vederla inciampare, ma che, al contrario, ispira fiducia e ammirazione e stimola lo spirito di emulazione. Ed è interessante riflettere su come, grazie a queste “qualità personali”, non pochi ricercatori abbiano del tutto inconsapevolmente aiutato Shön a compiere la sua frode, segnalandogli quelle che pensavano essere piccole sviste o imprecisioni nei suoi lavori e consentendogli così di correggerle. Nei casi dimalafede dunque, la stessa peer review, uno dei cardini nel processo di verifica della qualità scientifica, può paradossalmente svolgere una funzione opposta a quella per cui è stata originariamente pensata.
È rivelatrice la frase di un superiore di Shön che, nel rifiutare un’intervista all’autrice del libro, commenta che gli scienziati sono abili nello scoprire gli errori tecnici, ma non le frodi, perché il loro sistema si basa sulla fiducia. La fiducia dunque, o meglio la retorica, il mito della fiducia, può divenire un paraocchi che costringe a guardare solo in una direzione. In fondo questa non è che l’esplicitazione di un fatto solo apparentemente paradossale: l’impresa scientifica, che ha come scopo di indagare la realtà separando la ragione dalla passione, i fatti dai valori, si fonda necessariamente su un sistema di valori condivisi (i CUDoS, la fiducia, o quant’altro).
“Incidenti normali”
Parrebbe dunque che proprio i casi più gravi, le vere frodi, beneficino di una specie di “distrazione” del sistema di controllo di qualità, prevalentemente tarato su criteri e procedure disegnati per altri scopi. Ma son proprio le frodi i casi più devastanti, perché arrecano danni non sempre reversibili in termini di risorse e tempo sprecati, e scuotono il prestigio e la credibilità dell’intera comunità scientifica. Riferendosi principalmente a sistemi tecnologici avanzati, Charles Perrow6 ha affermato che i sistemi caratterizzati da interazioni complesse e stretti legami fra le loro componenti (complex interactions and tight coupling) sono soggetti a “incidenti normali”. Normali non significa affatto frequenti, bensì inevitabili, insiti nella natura stessa del sistema. Infatti anche se un malfunzionamento viene scoperto, spesso non è possibile ricostruirne l’origine né capire a quali e quante parti del sistema esso si è esteso e quali e quanti danni potrà alla fine causare. In un sistema complesso come quello scientifico, l’espressione “incidenti normali” mi pare una buona metafora per le possibili frodi. Per impedire che accadano con frequenza, è necessario innanzitutto essere consapevoli che possono verificarsi. Solamente nel momento in cui i valori fondanti dell’impresa scientifica vengono reificati, con una confusione fra piano normativo e piano descrittivo, essi divengono un impedimento al suo corretto svolgimento.
Bibliografia e note
- Ghose T. Top Science Scandals of 2011. A list of this year’s most high-profile retractions and controversies in science. The Scientist 2011 Dec 19.
- Merton RK. The Normative Structure of Science. In: Merton RK. The Sociology of Science. Chicago University Press, Chicago, 1973 (1942), pp. 267-280.
- Il caso più sconcertante probabilmente riguarda alcuni esperimenti di ottica descritti da Isaac Newton. Si veda Bechler Z. A Less Agreeable Matter: The Disagreeable Case of Newton and Achromatic Refraction. The British Journal for the History of Science 1975;2; Vol. 8:101-126. Si veda Shapiro AE. Skating on the edge: Newton’s investigation of chromatic dispersion and achromatic prisms and lenses. In: Buchwald JZ, Franklin A. (eds) Wrong for the Right Reasons. Springer, Dordrecht, 2005.
- Reich ES. Plastic Fantastic. How the Biggest Fraud in Physics Shook the Scientific World. Palgrave Macmillan, New York, 2009.
- Nel 1997, dopo aver ottenuto il PhD dall’Università di Costanza, in Germania, Shön cominciò a lavorare presso i laboratori Bell del New Jersey. Sulla base di diverse segnalazioni, nel 2002 Bell Labs istituì una commissione scientifica di indagine che in pochi mesi produsse un rapporto in cui si confermavano le accuse di scientific malpractice a seguito delle quali Shön, allora trentaduenne, fu licenziato. Nessun altro collaboratore o superiore fu giudicato colpevole. Nel 2004, la Deutsche Forschungsgemeinscha ft (l’istituzione che ha lo scopo di promuovere la ricerca in Germania) stabilì delle sanzioni contro di lui per la durata di otto anni (la “moratoria” scade dunque quest’anno!). 6. Perrow C. Normal Accidents. Living with High-Risk Technologies. Princeton Univ. Press, 1999 (prima edizione, Basic Books 1984).