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12/12/2025

Costruire la fiducia tra scienza e realtà oltre l’incertezza: il Manifesto per un’educazione civica alla scienza

Nico Pitrelli, Mariachiara Tallacchini

Manifesto  per un’educazione civica alla scienza

Torino, Codice edizioni, 2023; 181 pagine; 18,00 euro

A quasi cinquant’anni dal disastro di Seveso, quando una nube di diossina costrinse l’Italia a confrontarsi con la fragilità della propria infrastruttura industriale e con il silenzio della comunicazione scientifica, torna prepotente il quesito su come scienza, istituzioni e cittadini possano parlarsi efficacemente. All’epoca, la gestione dell’emergenza fu segnata da reticenze, informazioni incomplete e un’asimmetria radicale tra il sapere degli esperti e la possibilità di comprensione e intervento della popolazione. Quella frattura originaria ha fatto nascere, nel tempo, una riflessione più ampia sulla necessità di uscire dal paradigma verticale, in cui la scienza “trasmette” e la società “riceve”, per abbracciare una relazione più orizzontale, fondata sul dialogo, la trasparenza, il riconoscimento reciproco di ruoli e responsabilità e  la consapevolezza che la conoscenza si produce in molti luoghi non istituzionali della società. Una frattura che tutti noi abbiamo sentito nel momento in cui il COVD-19 è entrato nelle nostre vite. È proprio in questo solco che si inserisce il Manifesto per un’educazione civica alla scienza di Nico Pitrelli, direttore del Master in Comunicazione della Scienza “Franco Prattico” della SISSA di Trieste, e Mariachiara Tallacchini, professoressa di Filosofia del diritto all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza: un testo che non si limita a denunciare le criticità, ma si propone di fornire una vera e propria architettura concettuale e operativa per costruire una cittadinanza scientifica.

Gli autori partono da una consapevolezza che sembra quasi ovvia, ma che, a ben guardare, è ancora largamente disattesa: la scienza contemporanea è intrinsecamente incerta e complessa e proprio per questo il suo rapporto con la democrazia richiede nuove forme di educazione e partecipazione. «[…] nell’incertezza comunemente descritta i fatti sono dati, ma non li conosciamo a sufficienza, mentre nel caso dell’incertezza radicale i fatti si co-generano mentre li descriviamo e interveniamo. Ci troviamo quindi di fronte a una intrinseca non separabilità tra osservatore e sistemi osservati e l’unico modo per determinarne il comportamento consiste nell’avviarli per vedere cosa succede. Insomma, quando l’incertezza è radicale non esistono scorciatoie». E questo si applica a tutte quelle tecnologie che l’umanità sta plasmando in questi anni (nanotecnologie, gene editing, intelligenza artificiale), ma anche alla ben più nota pandemia di COVID-19. 

Gli autori scrivono: «È impossibile non considerare nozioni tecnico-scientifiche per affrontare le grandi sfide della contemporaneità». Ma è anche fondamentale essere consapevoli del fatto che, proprio perché il sapere scientifico è incerto e ha dei limiti, le istituzioni dovrebbero prendersi la responsabilità per ogni decisione basata su evidenze scientifiche che non possono essere oggettive, definitive, certe. È altresì inimmaginabile che le persone si fidino ciecamente delle istituzioni e della comunità scientifica, senza porsi domande; così come è necessario che la comunità scientifica si svesta della sua storica autorefenzialità e dal paternalismo per promuovere una relazione significativa tra questi due mondi. 

Tallacchini e Pitrelli parlano di “scienza post-normale”, un orizzonte in cui i fatti non possono essere disgiunti dai valori, in cui i dati vanno interpretati e le decisioni condivise. «Il nodo gordiano – scrivono – sta nel potenziale conflitto tra decisione collettiva e autorevolezza della conoscenza scientifica»: un conflitto che non va risolto eliminando uno dei due poli, ma imparando a farli convivere attraverso regole, processi e strumenti condivisi. È per questo che il manifesto assume il tono di un programma politico-culturale: dall’apertura della Costituzione all’incertezza scientifica, alla promozione di una consulenza pluralista e trasparente, fino al riconoscimento dei diritti di cittadinanza scientifica per ogni individuo.
Il volume si muove con agilità tra storia e attualità. Ripercorre casi emblematici come la condanna degli esperti nel processo dell’Aquila, che nel 2012 mise a nudo la difficoltà di comunicare il rischio senza scivolare nell’arroganza o nella banalizzazione (e neanche nella regola numero uno della comunicazione del rischio, cioè mai negare la sua esistenza); ma guarda anche al recente passato pandemico, in cui la gestione dell’emergenza sanitaria ha messo in crisi le strutture stesse della consulenza politica, esponendole al sospetto e alla polarizzazione. 

È proprio questo tema – la consulenza scientifica al servizio dei decisori politici – a rendere il libro di stringente attualità. Le recenti nomine all’interno del Gruppo Tecnico Consultivo Nazionale sulle Vaccinazioni (NITAG) offrono un esempio lampante di quanto la partita non sia soltanto teorica. La scienza della consulenza spiega, però, che non sono le posizioni non mainstream a creare problemi, ma le argomentazioni utilizzate per sostenerle. Lo diciamo con le parole di Beatrice Mautino: «Il problema non è sfidare il consenso scientifico. Il problema eventualmente è pensare di farlo senza portate prove altrettanto solide». Prove che vanno sempre spiegate nel loro farsi, anche da chi è mainstream.
Altrimenti il rischio non è soltanto l’errore tecnico e la perdita di credibilità scientifica dell’organismo, ma la dissoluzione del patto di fiducia tra cittadini, esperti e istituzioni. Come sottolineato nel libro, serve un’educazione civica alla scienza che non coincida con una mera alfabetizzazione tecnica, ma che insegni a valutare le fonti, comprendere i limiti delle conoscenze disponibili, interpretare l’incertezza come parte integrante del processo scientifico.

Il pregio dell’opera sta anche nello stile: gli autori scrivono con chiarezza e sono capaci di alternare concetti densi a esempi concreti, riflessioni teoriche a spunti storico-narrativi. La loro proposta è concreta senza essere utopistica: costruire canali istituzionali e culturali in cui scienza e società possano riconoscersi e rafforzarsi reciprocamente. 

Il Manifesto per un’educazione civica alla scienza è un testo che nasce dalla storia e parla al presente, ma che punta a modellare il futuro, tentando di rispondere alla domanda «Qual è il giusto posto della scienza nella società?». Seveso non è stato soltanto un incidente industriale, ma rappresenta un monito costante sulla necessità di una comunicazione scientifica onesta e partecipata e, allo stesso tempo, avverte che episodi come le nomine nel NITAG non sono semplici incidenti di percorso, ma segnali di un sistema ancora incapace di definire regole chiare per l’uso pubblico della scienza. Leggerlo significa dotarsi di una bussola per navigare in un’epoca in cui la conoscenza è al tempo stesso più potente e più contestata che mai e in cui la cittadinanza scientifica non è un lusso per addetti ai lavori, ma una condizione necessaria per la salute della democrazia.

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