Rubriche
14/03/2011

Cibo e cambiamento climatico

L’epidemiologia sarà sicuramente costretta nei prossimi anni a subire una drastica evoluzione e affinare i suoi metodi per comprendere alcuni rapidi cambiamenti in atto. Tra questi, i due che colpiscono più l’attenzione sono probabilmente la diffusione dell’obesità (e del diabete) e il cambiamento climatico. La crescente prevalenza di obesità sfugge largamente alla comprensione se utilizziamo le conoscenze dell’epidemiologia del secolo scorso. In Europa e negli Stati Uniti né i consumi di particolari nutrienti come i grassi e i carboidrati né l’attività fisica si sonomodificati a una velocità paragonabile all’incremento dell’obesità (diverso probabilmente il discorso per la Cina e l’India). Dobbiamo pertanto rivedere alcune delle nostre teorie emagari pensare a interazioni non lineari tra i diversi fattori di rischio.

Oppure assumere una prospettiva diversa sulla natura della nostra odierna alimentazione, come sostenuto da Michael Pollan nei suoi libri sul cibo come merce altamente artefatta.1 Che c’entra questo con il cambiamento climatico? Prima di tutto il cambiamento climatico – ancor più dell’obesità - è un fenomeno largamente inesplorato e sfuggente, soprattutto per quanto riguarda gli effetti sulla salute. In secondo luogo, insieme alla diffusione dell’obesità esso sembra contrassegnare una nuova era dell’epidemiologia, il passaggio da rischi prevalentemente chimici come quelli del secolo scorso (inclusi il tabacco e le esposizioni professionali), a rischi più elusivi e legati alla organizzazione della società e alla globalizzazione. Infine, il cambiamento climatico ha direttamente a che fare con il cibo, come sosterrò qui e argomenterò ulteriormente in futuro.

Da un lato i comportamenti alimentari del mondo hanno una profonda influenza sul cambiamento climatico. Come è ormai ben noto, l’allevamento di bestiame per la produzione massiccia di carne dà origine a emissioni di metano che corrispondono a un quinto dei gas serra totali, oltre a indurre a un’ampia deforestazione per la produzione di foraggi. D’altra parte, il cambiamento climatico sarà in futuro con tutta probabilità alla base di un aggravamento della situazione alimentare dei Paesi poveri, e questo aspetto è ancora largamente inesplorato.

Se guardiamo le foto qui sotto da me scattate in Bangladesh nel 2008, nella stagione secca (dunque a distanza dai monsoni e dalle alluvioni) notiamo evidenti fenomeni di erosione del terreno, che si estendono ad ampie aree del Paese. Questa erosione ha molteplici conseguenze. La più ovvia è la riduzione delle aree coltivabili, insieme allamaggiore difficoltà di spostamenti. Per esempio, la nuove strade costruite dal governo per collegare tra loro i villaggi (perlopiù fatte con mattoni prodotti in loco, robuste ed economiche), vengono spesso spazzate delle alluvioni. Come conseguenza del restringimento delle aree coltivabili e delle ridotte comunicazioni, la disponibilità di cibo si riduce e cambia anche la sua qualità.

Un altro fenomeno cui ho assistito in una mia visita più recente è stato quello della salinizzazione di una vasta area costiera colpita da un ciclone (Aila). Oltre al fatto che 25.000 persone erano rimaste senza tetto (va detto però che la mobilitazione del governo e delle ONG è stata tempestiva ed efficace), i campi coltivati sono stati investiti da una gigantesca massa di acqua salata che li ha resi inutilizzabili probabilmente per molti mesi. La ricerca su questi temi è ancora poca, ma è probabile che la riduzione nella disponibilità di cibo e i mutamenti nella sua qualità abbiano importanti ripercussioni in questa parte del mondo, dove le persone sono largamente vegetariane. Assistiamo così al paradosso per cui i consumi di carne della parte ricca mondo influiscono negativamente sulla salute della parte povera e vegetariana. Un trend che non si discosta da quello della figura, che mostra come i Paesi che meno contribuiscono alle emissioni di CO2 siano (all’estrema destra della scala), le principali vittime nei prossimi decenni.

Bibliografia

1 Pollan M. Il dilemma dell’onnivoro. Adelphi, Milano 2008

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