Rubriche
02/02/2018

Prezzi alti e basso beneficio clinico: anomalie del mercato dei farmaci

La proposta della Direzione scientifica di E&P di dare spazio nella rivista ai temi di economia sanitaria con una rubrica periodica è segnale di come evolvano le tematiche di salute pubblica, alle cui criticità siamo chiamati a rispondere nell’interesse della salute a livello di popolazione. Negli anni, infatti, si è andata imponendo l’urgenza di indagare l’impatto delle azioni sanitarie nella loro più ampia accezione, anche rispetto all’uso di risorse. Queste ultime risultano sempre più limitate a causa delle note difficoltà economiche in un contesto di prevalente sanità pubblica. Il rischio, tuttavia, è che l’interesse rimanga perlopiù di facciata e non si accompagni a una concreta adozione degli strumenti opportuni per condurre solide valutazioni di efficienza e analisi a supporto delle decisioni, anche per la distanza che questi temi hanno rispetto al percorso formativo e di aggiornamento proprio della disciplina epidemiologica. Dedicare uno spazio per condividere riflessioni e spunti di studio è sembrata un’opportunità utile a promuovere una cultura più diffusa e a stimolare l’attenzione su tematiche che possono avere un importante ruolo nel completamento di molte analisi epidemiologiche. Attraverso il coinvolgimento di esperti del settore, questa rubrica si pone l’obiettivo di aprire una finestra su argomenti che per alcuni rischierebbero di rimanere nell’ombra, pur avendo potenziale rilevanza, suscitando così curiosità e nuovi interessi.
Il primo argomento su cui vorrei richiamare l’attenzione è la pericolosa deriva del mercato farmacologico verso una crescente perdita di relazione tra prezzi e valore sanitario. Negli ultimi tempi, stiamo assistendo a una progressiva – e non sempre motivata – crescita del costo dei trattamenti farmacologici, in particolare in ambito oncologico. Tra le molecole approvate dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) negli ultimi anni, sono inclusi numerosi trattamenti con un costo annuo di 30-40.000 euro, fino a picchi di oltre 70.000 euro.1 Trattandosi di molecole rivolte a patologie a volte frequenti, il loro impatto sul budget sanitario risulta estremamente pesante. La rilevanza del problema è già da tempo nota negli Stati Uniti, dove il Memorial Sloan Kettering effettua, con periodico aggiornamento, il monitoraggio dell’andamento dei prezzi dei farmaci oncologici.2 Questa drammatica crescita pone seri problemi di sostenibilità, ancora più evidenti in servizi sanitari pubblici in cui la disponibilità di spesa è fortemente limitata da vincoli di bilancio sempre più stringenti.
Di fronte al ruolo giocato dall’industria, che agisce in quanto monopolista in un mercato squilibrato, e a fronte di questa spinta all’aumento dei prezzi, solo in parte giustificati dai costi per la ricerca, si rende necessaria un’azione di contenimento da parte degli acquirenti e quindi, nel caso dei servizi sanitari pubblici, da parte degli enti preposti a negoziare i prezzi e regolamentare la prescrivibilità del farmaco. A questo proposito, è bene ricordare che i principali organi deputati ad autorizzare l’uso dei farmaci nel mondo occidentale (Federal Drug Administration – FDA, European Medicines Agency – EMA) non prevedono, tra i criteri oggetto di valutazione, alcun riferimento vincolante al rapporto costo-efficacia. Il problema è eventualmente affrontato solo al momento della negoziazione del prezzo o della produzione di raccomandazioni d’uso nell’ambito del servizio pubblico. In Inghilterra, il National Institute for Health and Care Excellence (NICE) utilizza la valutazione di efficienza tra i criteri per elaborare le proprie raccomandazioni d’uso, stimando, date le evidenze di efficacia disponibili e il prezzo richiesto, il rapporto incrementale di costo-efficacia (ICER). Tuttavia, in molte delle più recenti valutazioni di health technology assessment del farmaco effettuate dal NICE e dai corrispettivi enti scozzesi e gallesi, l’accettabilità in termini di costo-efficacia viene riconosciuta solo a seguito di accordi con il produttore – i cosiddetti patient access scheme – che prevedono uno sconto sul prezzo del farmaco che consenta di raggiungere valori di ICER entro la soglia comunemente accettata per riconoscere il farmaco come costo-efficace. Ovviamente, tali accordi sono confidenziali, per non alterare l’equilibrio del mercato dello specifico farmaco a livello internazionale.
Nella stima dell’ICER, tuttavia, non pesa solo il numeratore (costo addizionale), ma anche il denominatore (beneficio clinico) fa la sua parte. La misura di outcome nei modelli decisionali alla base delle valutazioni economiche dei nuovi farmaci è in genere derivata dagli studi presentati per ottenere la registrazione. Questi si basano perlopiù su endpoint surrogati (per esempio, progression free survival in oncoematologia), da cui devono essere estrapolate stime di sopravvivenza per la definizione dei quality adjusted life years (QALYs), attraverso la proiezione delle differenze di effetto, osservate nel breve periodo del trial, nel medio e lungo termine, con un alto rischio di distorsione. Queste difficoltà di stima del reale beneficio clinico dei nuovi famaci sono state ben documentate in una recente revisione pubblicata sul BMJ,3 sintetizzata nell’editoriale di Prasad:4 la maggior parte (57%) dei farmaci oncologici approvati da EMA tra il 2009 e il 2013 non era supportata da evidenze circa una migliore sopravvivenza o qualità di vita al momento dell’entrata nel mercato e queste evidenze risultano essere prodotte nella fase post-marketing solo in un’esigua minoranza di casi. Dati analoghi erano precedentemente stati prodotti con riferimento al mercato americano delle autorizzazioni della FDA. Di fronte a una tale debolezza delle evidenze di efficacia, che peraltro definiscono il denominatore dell’ICER, la valutazione economica difficilmente può produrre risultati robusti a favore dell’accettabilità del nuovo farmaco. Non stupisce, quindi, che laddove tali tecniche vengono usate difficilmente si producono risultati favorevoli a una raccomandazione positiva.
A questo proposito, offre uno spunto di discussione interessante la lettera pubblicata su Jama Oncology firmata da Mailankody e Prasad nel 2015.5 Analizzando i farmaci oncologici approvati dalla FDA classificati in base al meccanismo d’azione in innovativi o next-in-class, gli autori non hanno riscontrato alcuna differenza significativa del prezzo mediano di trattamento annuo tra le due classi. Anche classificando i farmaci in base all’endpoint utilizzato negli studi presentati per l’ottenimento dell’autorizzazione all’uso (disease response rate – DRR, progression free survival – PFS, overall survival – OS), non apparivano differenze significative di prezzo. Infine, il tentativo di mettere in relazione il prezzo del farmaco con il miglioramento dell’outcome clinico (PFS e OS) aveva prodotto stime dell’R2, rispettivamente, dello 0,132 e 0,165. L’insieme di questi risultati sembra indicare un totale scollamento tra il prezzo di vendita dei farmaci e il loro valore misurato in base alla capacità di cura.
In sintesi, quindi, il mercato del farmaco a livello internazionale, in particolare in ambito oncologico, presenta un andamento di crescita dei prezzi a rischio di non sostenibilità a fronte di un basso valore incrementale di beneficio clinico, con un rapporto costo-efficacia del tutto sfavorevole, se stimato correttamente e in modo indipendente e trasparente. La mancanza di trasparenza e lo scarso utilizzo di strumenti di valutazione non possono che produrre l’aggravamento di questa situazione e il progressivo sfaldamento dell’SSN. In questa situazione, interventi strutturali a livello internazionale, con una modifica delle norme sui brevetti e una separazione tra i ruoli dello sviluppo tecnologico da quello della loro valutazione, sarebbero auspicabili, ma sembrano al momento difficilmente realizzabili. Altrettanto auspicabile sarebbe l’adozione di procedure di determinazione dei prezzi capaci di coinvolgere tutte le parti interessate (produttori, enti regolatori, pazienti, operatori eccetera) in una discussione collegiale, trasparente, basata su misure di costo-efficacia, sopravvivenza e qualità di vita.6 In attesa di tali cambiamenti, una maggiore diffusione della cultura della valutazione a supporto delle decisioni sanitarie è un primo passo per spingere i decisori, ai vari livelli, a contrastare una tendenza di mercato che di per sé nasce fortemente squilibrato dalle posizioni monopolistiche dei produttori.

Bibliografia

  1. Regione Piemonte. Commissione terapeutica oncologica. Disponibile all’indirizzo: http://www.regione.piemonte.it/sanita/cms2/farmaceutica/commissione-terapeutica-oncologica
  2. Memorial Sloan Kettering Cancer Center. Price & Value of Cancer Drug. Disponibile all’indirizzo: https://www.mskcc.org/research-areas/programs-centers/health-policy-outcomes/cost-drugs
  3. Davis C, Naci H, Gurpinar E, Poplavska E, Pinto A, Aggarwal A. Availability of evidence of benefits on overall survival and quality of life of cancer drugs approved by the European Medicines Agency: retrospective cohort study of drug approvals from 2009-2013. BMJ 2017;359:j4530.
  4. Prasad V. Do cancer drugs improve survival or quality of life? BMJ 2017;359:j4528.
  5. Mailankody S, Prasad V. Five years of cancer drug approvals: innovation, efficacy, and costs. JAMA Oncol 2015;1(4):539-40.
  6. Kantarjian HM, Fojo T, Mathisen M, Zwelling LA. Cancer drugs in the United States: Justum Pretium – the just price. J Clin Oncol 2013;31(28):3600-04.
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