Rubriche
13/12/2011

La scienza e le sue narrazioni

La scienza, come qualunque altra attività che richieda accettazione e sostegno all’interno di un dato sistema sociale e in un certo momento storico, deve fornire argomentazioni e giustificazioni adeguate e convincenti in tale ambito spaziotemporale. Per Galileo e i suoi contemporanei il problema era di riuscire a prospettare ai potenti di allora visioni alternative alla verità rivelata in modo che queste non fossero percepite come minacce alla religione e alla struttura di potere dominante e non venissero messe all’indice, ostracizzate, soppresse, magari assieme ai loro proponenti. Attraverso lunghi e molteplici passaggi, la scienza si è trasformata nella sua struttura e organizzazione e di pari passo si sono trasformate le sue “narrazioni”, i modi di raccontare se stessa, nonché i soggetti a cui tali narrazioni sono indirizzate. Scomparsi da tempo lo studioso isolato, il dilettante geniale, l’inventore fortunato, oggi la ricerca si compie in un complesso tecnologicoindustriale che necessita di risorse ingenti, derivate da finanziamenti pubblici e, in misura sempre crescente, da capitali privati. La richiesta di investimenti massicci e continuativi non può fare appello solo alla curiosità scientifica e alla libertà del ricercatore, ma deve trovare una giustificazione che soddisfi gli investitori, con un richiamo all’utilità sociale e/o al profitto: richiamo sempre esplicito e rivolto urbi et orbi il primo, spesso mascherato o indirizzato a circoli ristretti il secondo.

A chi si rivolge la narrazione scientifica

Benché il progresso scientifico abbia indubitabilmente contribuito a migliorare il benessere materiale di moltissimi individui e Paesi, una rendita di posizione non è garantita, ed è necessario trovare argomenti e strategie comunicative sempre più efficaci per mantenere e guadagnare terreno in un momento storico in cui, fra l’altro, le risorse economiche sono (o appaiono) più scarse e la lotta si fa più agguerrita fra quanti tentano di aggiudicarsele. Numerose e svariate indagini di opinione continuano a collocare gli scienziati ai primi posti (e i politici agli ultimi) nelle graduatorie di fiducia stilate dai cittadini, ma mostrano anche che a nessuna categoria viene concessa una delega in bianco. Per esempio, l’indagine su scienza e tecnologia riportata dall’Eurobarometro del 2010,1 pur confermando un notevole ottimismo degli intervistati nei confronti della scienza, evidenzia delle riserve sui suoi modi di operare e sulla sua capacità di risolvere problemi pressanti per l’umanità e rileva inoltre una certa preoccupazione per i possibili utilizzi perversi dei suoi risultati. Come è quasi sempre il caso in questo tipo di indagini, le risposte a diverse domande appaiono fra loro contraddittorie, ma complessivamente l’ottimismo è temperato da molte cautele e dalla preoccupazione per l’accelerazione dei cambiamenti negli stili di vita imposti dal progresso scientifico, senza che vi sia un’adeguata informazione e consultazione dei cittadini. Non più chiamati (almeno dalle nostre parti) a rispondere a un potere autoritario e assoluto, gli scienziati sono tenuti a guadagnare credibilità e fiducia da parte di un pubblico non necessariamente esperto anzi spesso, per sua stessa ammissione, scientificamente illetterato –, ma comunque esigente e spesso scettico. Il diritto a chiedere ragione deriva, infatti, dallo status di cittadino e di contribuente, non dal livello di istruzione o da un attestato di competenza.

Come è costruita la narrazione

Nel suo lavoro di ricerca sulle rappresentazioni simboliche dominanti nella tecnoscienza contemporanea, Alice Benessia2 identifica quattro immaginari standard su cui si costruisce la narrazione dell’attività scientifica e delle sue relazioni con la politica e il diritto: meraviglia, potenza, controllo, urgenza. In tale narrazione, all’impegno a indagare e rappresentare in modo neutrale i fenomeni naturali, si affianca la capacità di manipolarli in modo preciso e controllato e di trovare soluzioni immediate e univoche ai problemi che si pongono con urgenza all’umanità. Si tratta di un messaggio semplice, semplificato e riduzionista, che deriva direttamente dall’idea cartesiana che il metodo dell’allora nuova scienza, la filosofia naturale, dovesse essere rivolto non solo alla comprensione della natura, ma anche al suo controllo (gli uomini come maîtres et possesseurs de la nature). Ma nel ventunesimo secolo gli strumenti di indagine e di manipolazione a nostra disposizione, le relazioni di potere, i sistemi di valore, le questioni da affrontare e le poste in gioco non sono esattamente gli stessi che nel secolo diciassettesimo. E infatti molti fra gli stessi scienziati rigettano un modello riduzionista come quello sopra delineato e sono ben consapevoli dei rischi di indagare, o addirittura manipolare, sistemi complessi come se fossero semplici. Tuttavia la narrazione prevalente è quella sopra descritta, che arriva al grande pubblico attraverso, per fare solo alcuni esempi, una mostra come “Stazione futuro”, presentata alle Officine Grandi Riparazioni di Torino in occasione del 150 anni dell’ unità d’Italia3 o le immagini sulla manipolazione genetica, continuamente diffuse attraverso molteplici canali, con tecnici in camice bianco che tagliano, estraggono e reinseriscono segmenti di DNA con esattezza e precisione, in procedure perfettamente studiate, disegnate e controllate, che portano a risultati positivi, esattamente programmati e previsti.

Economia delle promesse ed eventi inattesi

Anche la narrazione scientifica si inscrive così in una “economia delle promesse”4 che ha i suoi fondamenti nella crescita e genera sempre maggiori aspettative di benessere, salute e conseguente felicità, realizzabili con interventi sempre più massicci sui sistemi naturali e con una medicina personalizzata e ingegnerizzata che promette, e ormai permette, anche la programmazione delle caratteristiche desiderate della propria progenie. In generale, viene data scarsa considerazione ai risvolti eticosociali di questo tipo di promesse e relative aspettative, che anzi sono presentate in modo acritico e senza farne intravvedere i possibili “danni collaterali”. Se prendiamo il caso dei test genetici, richieste che sul piano individuale appaiono perfettamente ragionevoli (chi non vorrebbe essere immune da malattie o certo di generare un figlio sano?) possono avere ripercussioni parzialmente inattese e non necessariamente positive sulla società nel suo complesso. Fra queste, un aumento esponenziale della richiesta di test e dei relativi costi, l’emergere di nuovi criteri nella selezione del partner con cui procreare, un incremento indiscriminato delle interruzioni di gravidanza, una stigmatizzazione o una medicalizzazione precoce di persone in buono stato di salute, eccetera. In un recente articolo, il direttore del Center for Human Genome Variation della Duke University5 illustra i progressi nella scoperta di varianti rare che influenzano alcune comuni malattie e le promettenti possibilità di interventi individualizzati sul DNA (editing) per eliminare, nella trasmissione del patrimonio genetico dei genitori ai figli, mutazioni sospette, ossia associate con certe malattie. Al contempo suggerisce che tali mutazioni potrebbero avere anche una funzione positiva, per esempio nell’aumentare la resistenza alle malattie infettive. La loro soppressione potrebbe dunque dar origine a una popolazione nel suo complesso assai vulnerabile.

Dagli immaginari all’esperienza vissuta

Nella quotidianità di ciascuno, le aspirazioni al benessere sono destinate a scontrarsi con limitazioni dovute all’incompletezza della conoscenza e a incertezze, imprevisti o ritardi nelle sue applicazioni pratiche, nonché a vincoli derivanti dalla mancanza o limitatezza di risorse economiche. Ma anche chi gode di ottima salute, più o meno ingegnerizzata, è e sarà costretto a confrontarsi con problemi e minacce che non sono affrontabili sul piano individuale e a cui neppure il pur avanzatissimo complesso tecnoscientifico sembra in grado di dare risposta. In modo semplice e semplicistico, si potrebbe dire che, come in economia, quando qualcosa va male nessuno sa cosa fare, forse proprio perché non era stata considerata seriamente la possibilità che qualcosa andasse male. Gli esempi sono pressoché illimitati, ma solo alcuni arrivano all’attenzione del grande pubblico attraverso i mass media. L’avveniristico sistema di ricerca ed estrazione di petrolio dal fondo dell’oceano, mandato in tilt dall’esplosione sulla piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico nell’aprile del 2010 ha causato, oltre alla morte di 11 persone, un versamento di greggio nel Golfo del Messico che è durato per tre mesi, mentre esperti e tecnici si affannavano a “inventare” un modo per sigillare il pozzo, evidenziando tutta l’impreparazione, della BP e non solo, a gestire incidenti (prevedibili ma imprevisti) di questo tipo. Sempre nell’aprile del 2010, l’eruzione di un vulcano dal nome impronunciabile, Eyjafjallajokulla, localizzato in un’isola remota anche nelle nostre mappe mentali, ha minacciato le nostre certezze e le nostre abitudini in termini di stili di vita e di consumo. Il disastro nucleare di Fukushima, a seguito dello tsunami che ha colpito il Giappone nel marzo del 2011, aveva sicuramente una probabilità bassissima di verificarsi, ma non per questo era impossibile, tanto che era già stato descritto in letteratura, con un grado impressionante di precisione.6 Ancora nel 2011, in Germania e successivamente in altri Paesi si è verificata un’epidemia di Escherichia coli. Le investigazioni delle agenzie preposte, a livello nazionale e internazionale, hanno portato a identificare l’origine della diffusione del batterio dapprima nei cetrioli spagnoli (mentre risultavano sospetti anche pomodori e lattuga), successivamente nei germogli di fagioli prodotti da una fattoria biologica presso Amburgo e infine (?) a epidemia praticamente risolta, nei semi di fieno greco (trigonella foenumgraecum) provenienti dall’Egitto.7 L’impossibilità di arrivare rapidamente all’identificazione del colpevole ha avuto effetti collaterali perversi non insignificanti sul mercato della produzione alimentare, danneggiando molti produttori innocenti.

Un cambiamento necessario

Il potere di manipolazione da parte della scienza diviene sempre maggiore e sempre più accelerato e interessa non più soltanto il mondo esterno a noi, ma noi stessi, la nostra natura umana. Pur nelle loro tante diversità gli esseri umani hanno sempre condiviso il modo in cui venivano concepiti, si ammalavano, morivano: oggi non è più così. Tecnologie genetiche o basate sull’utilizzo di cellule staminali hanno già consentito di creare delle chimere e non è più fantascientifica la possibilità di introdurre tratti umani in cervelli animali fino a “fabbricare”, in un non lontano futuro, una scimmia con un cervello composto interamente di neuroni umani.6 In un vuoto normativo in cui la scienza procede con molta maggiore rapidità del diritto e il suo operare solleva questioni etiche di non poca rilevanza, non appare più rimandabile un’approfondita riflessione collettiva sul rapporto fra narrazione ed esperienza, per individuare le discrasie fra le due e proporsi di correggerle agendo non solo su immaginari e linguaggi, ma anche sulla governance della scienza nella società contemporanea.

Bibliografia

  1. European Commission, Special Eurobarometer 340, Science and Technology Report, 2010, http://ec.europa.eu/public_opinion/archives/ebs/ebs_340_en.pdf Indagine su 32 paesi europei, di cui 27 membri dell’Unione europea. Si vedano in particolare i capitoli 3 e 4.
  2. Benessia A. Arte e scienza dell’immagine: immaginari tecnoscientifici e implicazioni normative. Tesi di dottorato in Scienza Tecnologia e Diritto, XXI ciclo, 2009.
  3. http://www.italia150.it/OfficineGrandiRiparazioni/Stazionefuturo
  4. Wynne B, Felt U, et al. Science and Governance. Taking European Knowledge Society Seriously, DirectorateGeneral for Research, EUR 22 700, Office for Official Pubblications of the European Communities, 2007 (trad. it. Scienza e governance. La società europea della conoscenza presa sul serio, Soveria Manelli: Rubettino, 2008).
  5. Goldstein DB. Growth of genome screening needs debate. Nature 2011; 476, 4 august: 27-28.
  6. Perrow C. The Next Catastrophe: Reducing Our Vulnerabilities to Natural, Industrial, and Terrorist Disasters Princeton University Press, Princeton and Oxford, 2007.
  7. Per una ricostruzione degli eventi da parte della Commissione europea, si veda il sito http://ec.europa.eu/food/food/coli_outbreak_germany_en.htm
  8. Abbot A. Regulations Proposed for animalhuman chimaeras. Nature 2011; 475,28 July:43.
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