Rubriche
02/02/2018

Il posto della prevenzione

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Vogliamo inaugurare questa rubrica con un quesito preliminare: in che misura lo sforzo della ricerca epidemiologica dovrebbe focalizzarsi sulla prevenzione? Naturalmente è difficile rispondere a questa domanda, seppure non dimentichiamo che Maccacaro, fin dal numero 0 di questa rivista, abbia legato la prevenzione così strettamente all’epidemiologia (quella & commerciale rappresenta, secondo noi, un segno di fortissimo legame).

La realtà dell’epidemiologia italiana

Quanto, invece, rappresenta oggi la prevenzione nella realtà della ricerca epidemiologica italiana? Per questo secondo quesito, abbiamo cercato una risposta quantitativa attraverso l’analisi dei contributi presentati all’ultimo Congresso AIE, svoltosi a Mantova a ottobre dello scorso anno, il cui titolo risulta molto intrigante per chi si occupa di prevenzione: “Epidemiologia oggi: evidenze, comunicazione e partecipazione”. Crediamo che questi contributi descrivano bene le attività prevalenti degli epidemiologi italiani.
Il lavoro di classificazione, indipendente e in cieco, di tutti i 244 abstract (poster e relazioni orali) presentati al Congresso ha avuto i seguenti risultati:

  • il 23,4% dei contributi presentati erano relativi al tema dei rischi ambientali;
  • il 14,3% erano dedicati ai fattori di rischio comportamentali;
  • il 16,0% si è occupato di qualità dei servizi;
  • il 6,6% ha preso in considerazione i fattori sociali e le disuguaglianze;
  • il 2,9% era relativo agli screening;
  • i contributi rimanenti vertevano su argomenti di farmacoepidemiologia, epidemiologia occupazionale, epidemiologia delle malattie infettive, argomenti metodologici e temi non classificabili in alcuna delle precedenti categorie.

Il quadro che ne risulta rappresenta in modo efficace i numerosi temi su cui lavorano tradizionalmente gli epidemiologi italiani, anche se nasconde, a ragione dei criteri classificativi, le aperture dell’associazione verso tematiche nuove, come l’epidemiologia veterinaria, che a Mantova erano presenti.
Se la descrizione che ne consegue rappresenta bene l’AIE, ci chiediamo quanto i temi della ricerca epidemiologica italiana siano coerenti con il profilo dei fattori di rischio di maggiore impatto sulla salute della popolazione italiana, che dovrebbero rappresentare i principali determinanti delle priorità di ricerca nell’ambito della sanità pubblica. Fra i fattori che nel 2016 hanno determinato un più elevato numero di DALYs (Disability Adjusted Life Years) in Italia, il Global Burden of Disease (GBD)1 colloca ai primi posti quelli a maggior componente comportamentale, come il consumo di tabacco, l’ipertensione arteriosa e i fattori dietetici (con 2,7, 2,7 e 2,6 milioni di DALYs attribuibili, rispettivamente), mentre solo al 7° posto troviamo i rischi occupazionali e al 9° l’inquinamento atmosferico (con 1,1 e 0,5 milioni di DALYs attribuibili, rispettivamente). Al di là della grossolanità della classificazione e della probabile imprecisione delle procedure di stima dei DALYs, sembrerebbe che le attività di ricerca epidemiologica rappresentate dai contributi non siano perfettamente allineate alle priorità messe in luce dal GBD.
Ma in Italia gli studi di epidemiologia ambientale e occupazionale sono da sempre i più numerosi e, nel tempo, sono stati anche il principale fertilizzante dei progressi metodologici di cui l’epidemiologia italiana deve andare giustamente fiera. Peraltro, secondo noi, negli ultimi anni questo disallineamento si va riducendo grazie agli sforzi degli epidemiologi che lavorano nell’ambito della prevenzione dei comportamenti a rischio.
Ciò che ci ha più colpiti riguardo ai risultati della nostra analisi è che solo il 7,4% dei 244 abstract aveva come oggetto un intervento o la valutazione di interventi. Nell’ambito dei singoli argomenti, la proporzione di contributi di epidemiologia valutativa era:

  • 8,8% tra tutti gli abstract a tematica ambientale (includendo le relazioni sulla comunicazione del rischio e sulla partecipazione);
  • 17,1% tra tutti gli abstract su temi comportamentali;
  • nessun contributo di epidemiologia valutativa era presente nell’ambito dei temi sociali;
  • l’unica importante eccezione era rappresentata dai contributi sul tema degli screening, in cui la percentuale di abstract di epidemiologia valutativa raggiungeva il 71,4%.

A noi sembra poco. Ci pare che i dati che l’epidemiologia ha raccolto e analizzato sui rischi ambientali, comportamentali e sociali a cui è sottoposta la popolazione italiana e sulla loro disuguale distribuzione avrebbero dovuto stimolare molto di più l’elaborazione, la sperimentazione e la valutazione di interventi specifici di prevenzione, rispetto a quanto non sia avvenuto finora.
Una quota così piccola di contributi di epidemiologia “di intervento” è davvero un risultato da mettere in luce, anche nell’ambito dell’epidemiologia ambientale, dove solo pochi anni fa un articolo molto influente, ripreso anche da un editoriale pubblicato da questa rivista,2 sollecitava gli epidemiologi a spostarsi dall’epidemiologia che misura i rischi e gli effetti sulla salute verso la consequential environmental epidemiology.3

L'epidemiologia a supporto della sanita' pubblica

Di nuovo, possiamo trovare una giustificazione storica, perché gli ambiti descrittivo ed eziologico dell’epidemiologia sono quelli intorno ai quali si è formata la cultura epidemiologica in Italia negli ultimi 40 anni e si è sviluppata la maturazione metodologica. Se, però, questa è una giustificazione sufficiente per il passato, non può esserlo per il futuro. L’epidemiologia è una disciplina a supporto della sanità pubblica e, in quanto tale, dovrebbe contribuire a tutti i diversi settori in cui è implicata, da quello ambientale a quello dell’elaborazione di linee guida (si pensi alla legge sulla responsabilità professionale), da quello della valutazione degli esiti del servizio sanitario (si pensi al Piano nazionale esiti) a quello della prevenzione e promozione della salute.
Certo, vi sono settori, come quello degli screening oncologici, in cui l’epidemiologia si è storicamente assunta un ruolo prevalente in tutte le fasi della programmazione, dalla valutazione dei bisogni e della base di evidenza alla selezione e valutazione degli interventi, fino alla gestione e valutazione di impatto testimoniato anche dall’elevata prevalenza di abstract di epidemiologia “di intervento” a Mantova.
Negli altri settori della sanità pubblica, in particolare in quelli che si occupano di ambiente e di comportamenti a rischio, vi è una netta asimmetria fra epidemiologia dei rischi ed epidemiologia degli interventi, quest’ultima negletta oppure lasciata a professionisti che non si riconoscono nell’epidemiologia. Certo, a differenza del settore degli screening oncologici, questi due rappresentano un terreno più complesso, in cui le evidence ricoprono un ruolo meno rilevante nella definizione delle priorità di intervento e delle politiche, che devono, invece, coinvolgere i numerosi attori portatori di interessi locali e nazionali.

L'epidemiologia per la prevenzione

Allora, quale deve essere il posto della prevenzione nell’ambito dell’epidemiologia italiana? O meglio, il posto dell’epidemiologia nell’ambito della prevenzione? La complessità del settore e la presenza di altri portatori di interesse che devono avere voce nella definizione delle priorità e delle strategie di intervento sono un elemento sufficiente perché l’epidemiologia si limiti a produrre e fornire evidenze, per poi disinteressarsi delle fasi successive di elaborazione e valutazione di interventi e politiche?
Vorremmo che la rubrica «La prevenzione di domani» possa dare qualche risposta, anche solo interlocutoria, a questo genere di domande, che ci sembrano essenziali. Seppure l’epidemiologia italiana pare culturalmente proiettata verso l’identificazione e la misura dei determinanti e molto meno verso il contributo all’elaborazione e alla misura di efficacia delle soluzioni, noi pensiamo – proprio come Frumkin – che questo ruolo sia troppo defilato. La capacità di elaborazione e di interpretazione delle evidenze che l’epidemiologia italiana ha dimostrato in questi anni potrebbe essere resa utile anche nell’elaborazione di politiche e interventi efficaci di prevenzione, oltre che, naturalmente, nella loro valutazione.
Vogliamo sollecitare contributi su questo argomento sia di riflessione sia di metodo. E vorremmo anche selezionare pubblicazioni, articoli e libri che possano fungere da stimolo allo sviluppo di un’epidemiologia “di intervento” a supporto della prevenzione. A partire già dal prossimo numero della rubrica.

Bibliografia

  1. Institute for Health Metrics and Evaluation. GBD Compare. Disponibile all’indirizzo: https://vizhub.healthdata.org/gbd-compare/
  2. Candela S. Le priorità della ricerca epidemiologica. Epidemiol Prev 2015;39(2):70.
  3. Frumkin H. Work that matters: toward consequential environmental epidemiology. Epidemiology 2015;26(2):137-40.
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