Pagine di E&P
21/05/2024

Riflessioni

Condivido pienamente l’idea che l’AIE, con le sue competenze ed esperienze, si impegni per contribuire a ridare forza al nostro SSN che continua ad essere un modello molto positivo di gestione della salute dei cittadini, nonostante l’accumularsi di criticità. Nel tentativo di rispondere alle domande che avete sollevato, cerco di dare un ordine logico agli elementi in gioco, che sono tantissimi e si ingarbugliano nella mia testa. Sfrutto la mia formazione di economista per partire da un elemento che, come epidemiologi, invece non mettiamo al centro della nostra attenzione: il finanziamento.

Il finanziamento pubblico basato sulla fiscalità generale è indiscutibilmente l’elemento di forza del sistema, essendo efficiente (quanto meno rispetto al finanziamento privato) ed equo. Al momento la programmazione governativa prevede una riduzione dall’attuale livello del 6,7-6,8% del PIL al 6,1-6,2%, riportandoci ai livelli dei primi anni 2000. Al contempo è anche cresciuta lievemente la componente di finanziamento privata, mantenendo complessivamente stabile il livello di spesa sanitaria totale (il tutto al netto della parentesi COVID). Il (lieve) slittamento dalla spesa pubblica a quella privata ha indubbiamente implicazioni sul piano dell’equità e potrebbe anche impattare gli esiti complessivi del sistema. La domanda (1), quindi, è se l’attuale trend di riduzione del finanziamento pubblico o modifica del rapporto finanziamento pubblico/privato sia tale da determinare un impatto sul livello di salute della popolazione.

Il secondo aspetto è relativo al modo in cui il finanziamento pubblico viene utilizzato, ovvero le voci di spesa rendicontate dagli enti sanitari. Dai dati a disposizione (non molti e non chiarissimi) negli ultimi anni si è ridotta la componente di spesa del personale, per i noti tagli voluti dal MEF, a fronte di un aumento della spesa per acquisti di servizi (in parte buona a compensazione dei tagli di personale) e della spesa farmaceutica. Questo cambiamento di composizione della spesa coincide con uno slittamento della componente di produzione sanitaria dal pubblico al privato (principalmente privato accreditato, outsourcing di servizi, acquisto di dispositivi e farmaci). La domanda (2) qui è relativa all’efficienza produttiva ovvero all’impatto derivante sugli outcome dal modo in cui si utilizzano le risorse a disposizione per produrre salute e in particolare dall’effetto del mix tra produzione pubblica e privata.

A parità di modelli di finanziamento e di produzione, il livello di scelta successivo mi sembra essere quello inerente i percorsi assistenziali, le alternative organizzative, le tecnologie da acquisire, etc… su cui c’è una più consolidata metodologia di analisi e valutazione comparativa. Mi riferisco alle valutazioni di esito, al HTA e alla valutazione economica, fatte a livello di quesiti specifici, con strumenti (almeno in parte) più vicini alle nostre conoscenze e ai nostri metodi. Lascerei quindi questa parte in secondo piano perché ha un ruolo importante ma non credo aiuti in specifico la nostra riflessione.

Se i ragionamenti fatti fin qui sono plausibili, ancorché molto approssimativi, mi chiedo quali metodologie possano essere proposte per dare delle risposte. Alla domanda 1 francamente non riesco a trovare risposta perché i tempi di latenza mi sembrano troppo incerti e i trend troppo limitati e compensativi tra loro per poter valutare degli effetti in termini di esiti. Pensando alla domanda 2 invece continua a venirmi in testa l’idea che, grazie alle scelte di regionalizzazione fatte dai nostri legislatori, l’organizzazione sanitaria delle regioni italiane abbia da tempo differenziato enormemente i modelli adottati, con mix di produzione pubblico/privato molto diversificati, e soprattutto i risultati ottenuti. Mi chiedo se un’analisi attenta di queste differenze non possa aiutarci a dare qualche risposta. Molte delle variabili che influenzano gli outcome di salute sono diverse tra le regioni, ma note. In generale ci sono molte valutazioni comparative (ma settoriali) tra le regioni, con gran successo di tabelle di ranking di vario genere, ma mi sembra che un approccio integrato serio di tutte le variabili, sia organizzative che epidemiologiche e sanitarie, manchi. In parte anche perché mancano i dati organizzativi, su cui bisognerebbe fare una valutazione attenta. In questo un intervento societario potrebbe essere molto facilitante, potendo contare su una copertura diffusa sull’intero territorio nazionale.

Mi fermo nella riflessione perché occorrerebbe un approfondimento che va oltre le mie competenze e capacità. Non riesco però a concludere senza una riflessione più generale su un problema centrale del nostro SSN ovvero che il suo punto di forza principale, il finanziamento pubblico, lo rende ostaggio delle decisioni politiche. In particolare, la nomina dei massimi decisori del sistema (i Direttori generali delle Aziende Sanitarie, e a cascata le nomine di altri dirigenti) da parte delle giunte regionali, con il prevalere di criteri di scelta politica su quelli legati alle competenze, rappresenti un limite enorme alla possibilità di ottimizzare le scelte allocative.

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