Epidemiologo? Dopo 35 anni di onorata professione la conoscenza che ho di me stesso mi dice che...
Epidemiologo? Dopo 35 anni di onorata professione la conoscenza che ho di me stesso mi dice che in verità non sono mai stato propriamente un epidemiologo. Oggi mi riconosco piuttosto come medico (sono laureato in medicina magna cum laude, e ogni tanto mi sento tronfio della mia professione come il dottor Purgone di Molière) e come apprendista filosofo (apprendista perché non mi giudicherei certo colto in questo campo) perché, fin dagli anni della giovinezza, divenne predominante in me l’esigenza di capire qualcosa degli enigmi del mondo che ci circonda (allora in particolare quelli della mente) e di contribuire magari in qualche modo a risolverli.
La via migliore per soddisfare questa esigenza mi parve allora l’iscrizione alla facoltà di medicina, e studiai molto, perché solo il successo mi avrebbe dato la forza (o mi avrebbe fatto sentire sufficientemente rispettabile) per affrontare temi suscettibili di mettere in crisi il corpo delle conoscenze acquisite. Erano gli anni dei primi trionfi della biologia molecolare e dell’illusione meccanicistica che la comprensione di tutti i problemi medici e delle radici stesse della vita stessa si potesse trovare nel DNA (il paradigma dominante ancor oggi), e io intuivo confusamente che a ogni aumento di conoscenza della complessità della vita si sarebbe spalancato di fronte a noi un abisso di ignoranza e di ulteriore complessità. Il cambiamento di interesse dalla genomica alla trascrittomica, a cui stiamo assistendo già pochi anni dopo l’annuncio della decifrazione del DNA umano, corrobora il mio antico pregiudizio.
Per questo scelsi di lavorare con il cannocchiale piuttosto che con il microscopio. L’incontro con Epidemiologia & Prevenzione fu molto importante. Dall’epidemiologia alla prevenzione. Dall’epidemiologia analitica alla prevenzione olistica. Dalla ricerca all'intervento. Dall'analisi allla comprensione che deriva dal riscontro degli effetti dell’azione preventiva.
Intanto l’epidemiologia diventava sempre più analitica e la prevenzione sempre meno olistica. I trial preventivi si ispirano sempre più ai trial terapeutici con farmaci specifici. Il più grande e il più costoso trial preventivo mai realizzato (il Women Health Initiative) per studiare l’effetto della riduzione del consumo di grassi, allo scopo di evitare il confondimento che un eventuale dimagramento avrebbe introdotto, ha optato per un disegno isocalorico, costringendo di fatto le partecipanti a incrementare il consumo di zuccheri o di proteine; ora chi ritiene che lo studio sia negativo non sa decidere se l’ipotesi grassi è falsificata o se l’effetto benefico del- la riduzione dei grassi è compensato dall’effetto nocivo dell’aumento degli zuccheri. Non c’è alternativa alla visione olistica, ma l’illusione riduzionistica si è ormai impadronita della prevenzione. Non tanto nel senso di togliere specifiche sostanze tossiche dagli ambienti di lavoro e di vita, che sarebbe un riduzionismo auspicabile, bensì nel senso di applicare le conoscenze sui meccanismi biologici per caratterizzare la suscettibilità genetica individuale e intervenire con farmaci specifici. Mentre noi epidemiologi ci trastulliamo a disquisire di evidence based prevention, gli azionisti della prevenzione sono già pronti a venderci pacchetti omici specifici. Per questo tendo a occuparmi sempre più di cucina, e mi applico per giungere a morire sano e sorridente.