Marco Marchi ci ha lasciati
Per un amico
Con Marco Marchi, scomparso sabato 30 novembre 2024, se ne è andato un amico e collega che per mezzo secolo ha costituito una presenza continua, tanto importante quanto sobria e discreta, nello sviluppo dell’epidemiologia-cum-biostatistica in Italia.
Il primo ricordo che ho di Marco è quello di un giovane neo-laureato in scienze statistiche che era comparso alla fine degli anni 1960 nell’Istituto di Biometria e Statistica Medica dell’Università di Milano, fondato e diretto da Giulio Alfredo Maccacaro, polo di attrazione per giovani provenienti da uno spettro diversificato di discipline: biologia, medicina clinica o sperimentale, farmacologia, fisica, matematica, statistica, sociologia. Questa apertura, che traduceva il concetto della biometria come elemento metodologicamente vivificatore trasversalmente per tutte le aree della medicina e sanità pubblica, risultava fortemente innovativo rispetto alle condizioni prevalenti nel mondo medico accademico dell’Italia di allora. Marco, che aveva studiato a Roma, arrivava dalla sua Firenze, città in cui la stessa apertura culturale e mentale si era materializzata in Gustavo Barbensi (1875-1974) – che Marco aveva conosciuto – singolare figura di medico generalista ferrato in matematica, che per decenni era stata l’isolata voce italiana nel campo della biometria improntata agli indirizzi di Fisher e Neyman-Pearson, là dove per una fondamentale diversità di impostazione e interessi le scuole italiane di statistica avanzavano lungo altri cammini.
Poco dopo, nei primi anni 1970, ci siamo ritrovati con Marco a Pisa, dove avevamo occasioni di incontri di lavoro nella sezione di epidemiologia e biostatistica che avevo attivato nell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR. Quando nel 1976 mi sono trasferito (allora pensavo solo temporaneamente) all’International Agency for Research on Cancer a Lione, Marco ha ripreso da me l’insegnamento di statistica per biologi e medici nella Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali che io avevo tenuto dal 1969: Marco è stato senza alcun dubbio meglio di me sia dal punto di vista della solidità metodologica sia della capacità didattica. L’incarico di insegnamento è stato il primo passo del cammino che grazie alla attività di ricerca e didattica ha portato Marco prima alla posizione di Professore Associato a Pisa nel 1985, poi dal 1989 a Firenze, fino alla cattedra nel 2000, carriera accademica conclusa come Professore ordinario di Statistica Sociale nel Dipartimento di Statistica, Informatica e Applicazioni “G.Parenti” dell’Università di Firenze.
È degli anni 1970 l’avventura, essenziale alla crescita dell’epidemiologia nel nostro Paese, della fondazione dell’Associazione Italiana di Epidemiologia che ho condiviso con Marco in ogni sua fase, direi in ogni sua ora, a cominciare dal 4-5 Aprile 1975 quando abbiamo lanciato a Pisa l’Associazione Epidemiologica Italiana (AEI). Con la fondazione a Milano due giorni dopo, il 7 Aprile, della competitrice Società Italiana di Epidemiologia (SEI) si apriva un periodo, durato due anni, di negoziazioni tra le due associazioni, terminato con la fusione nell’attuale Associazione Italiana di Epidemiologia (AIE). Marco faceva parte con me dei negoziatori dell’AEI e ricordo la sua capacità di combinare la fermezza sui punti fondamentali con il saper smussare le punte polemiche. Da quel periodo iniziale Marco è divenuto una delle costanti dell’AIE, eletto vice-segretario nel congresso del 1979 e quindi segretario (non esisteva allora la posizione di presidente) per il biennio 1982-84 ha partecipato al lancio nel 1997 del Master di Epidemiologia dell’AIE, l’attuale Master di Epidemiologia dell’Università di Torino, con cui ha continuato a collaborare.
Segno ulteriore e marcante della dedizione all’insegnamento metodologico di Marco è stato il suo ruolo, dal 1992 al 1998, di direttore dei corsi di formazione della Società Italiana di Biometria, Regione Italiana della International Biometric Society, di cui è stato Vice-Presidente e Segretario tra il 1989 e il 1995, ricalcando le orme di Barbensi, più volte presidente.
Nella mia condivisione di lavoro con Marco un altro momento saliente è stato il congresso mondiale dell’International Epidemiological Association per il quale con Annibale Biggeri eravamo riusciti a far scegliere Firenze come sede. Il congresso era previsto per fine Agosto e inizio Settembre del 1999, preceduto da due anni di intensa preparazione che ci aveva fatto toccare, o scottare, con mano la complessità scientifica e organizzativa come strettamente dipendente dalle disponibilità finanziarie: Marco è stato, grazie all’impegno diretto (e con lui la figlia) e alla rete di attive relazioni in Toscana, tra le persone che hanno contribuito in modo preminente a far superare gli ostacoli e a fare del congresso un successo senza riserve da tutti i punti di vista.
Nel corso della sua carriera l’attività scientifica di Marco è stata essenzialmente consacrata alle applicazioni della metodologia statistica agli studi osservazionali sulla salute, con particolare attenzione all’utilizzo e alla qualità delle basi di dati sanitari correnti e con contributi originali sui metodi di identificazione precoce di deviazioni dai livelli stazionari della frequenza di eventi patologici e sulla stima della numerosità e frequenza di patologie con metodi di cattura-ricattura.
Farei un serio torto a Marco, e uso l’aggettivo serio deliberatamente, se omettessi di menzionare l’invenzione da parte sua e di Piero Morosini, altro amico, del «Generatore automatico di piani sanitari». Si era nel primi anni 1980 e dopo l’instaurazione nel 1978 del Servizio Sanitario Nazionale veniva presentandosi una serie di piani sanitari regionali o locali in parecchi dei quali si cercava di supplire alla scarsità di dati sanitari pertinenti e alla scarsa dimestichezza con la pianificazione sanitaria degli addetti ai lavori con un linguaggio «burocratichese sanitario» che celava un totale vuoto di contenuti. Marco e Piero hanno messo a punto uno strumento materializzato fisicamente in sette anelli liberamente ruotanti intorno a un asse. Ogni anello portava scritte in sequenza diverse versioni di un frammento di discorso, in stile burocratichese, una delle quali risultava scelta a caso facendo ruotare l’anello come una roulette e leggendo la versione che si fermava di fronte al lettore: la combinazione dei frammenti scritti sui sette anelli, tutti selezionati a caso, formavano frasi di esilarante vacuità e amenità che avrebbero potuto essere utilizzate tali e quali per un (cosiddetto) piano sanitario. L’invenzione del generatore automatico e casuale riflette in modo calzante una delle doti che, accanto alla sobrietà e alla fermezza di carattere, erano proprie di Marco: la sicurezza nel distinguere il pieno dal vacuo nella scienza come nella vita, sicurezza senza presunzione ma intrisa di ironia.
Mi rasserena l’idea che quando incontrerò Marco e Piero potremo giocare insieme con un generatore automatico e casuale di universi, e magari una volta Einstein verrà a trovarci per dirci che anche un universo generato dal caso è meraviglioso da comprendere e viverci dentro.
Rodolfo Saracci
Pisa, 3 Dicembre 2024
Questa foto mostra i partecipanti alla riunione della Società italiana di Biometria, Regione italiana della International Biometric Society, tenutasi a Cortona 16-17 giugno 1995. Si riconoscono tra gli altri il Professor Luca Cavalli Sforza e il Professor Marco Marchi rispettivamente a sinistra e a destra del genetista di popolazione riconoscibile per la “bianca barba biometrica”. Dietro il Professor Cavalli Sforza, il Professor Ettore Marubini. Simmetricamente a sinistra il Professor Norman Breslow.
La foto illustra bene il percorso del Prof. Marchi, caratterizzato dal rigore scientifico e morale. Luca Cavalli Sforza è stato l’unico italiano presidente della International Biometric Society, società fondata da Ronald Fisher cui Cavalli Sforza presentò il giovane Giulio Maccacaro. Il Prof. Marchi è stato assunto da Giulio Maccacaro nel 1967 e ha fatto parte dell’Istituto per le applicazioni del calcolo alla Medicina (IBSUM) fino ai primi anni Settanta.
Nella mia vita professionale, e credo in quella di tutta la generazione degli epidemiologi italiani, le persone che ho menzionato sono i riferimenti, le guide. Sta a noi ora preservarne il ricordo.
Marco Marchi, a cui sono stato vicino nei suoi anni fiorentini dal 1989, quando è arrivato all’Università di Firenze, fino ad oggi, per me è stato un fratello maggiore, mi ha accudito nel mio ingresso nel mondo universitario e mi ha trasmesso tanti dei suoi ricordi di vita e di lavoro (della sua ironia ha giustamente parlato Rodolfo Saracci).
A dedica mi vengono alla mente i versi di Franco Fortini Proteggete le nostre verità
Annibale Biggeri
Padova, 5 Dicembre 2024
E questo è il sonno
«E questo è il sonno…» Come lo amavano, il niente,
quelle giovani carni! Era il ‘domani’,
era dell’‘avvenire’ il disperato gesto…
Al mio custode immaginario ancora osavo
pochi anni fa, fatuo vecchio, pregare
di risvegliarmi nella santa viva selva.
Nessun vendicatore sorgerà,
l’ossa non parleranno e
non fiorirà il deserto.
Diritte le zampette in posa di pietà,
manto color focaccia i ghiri gentili dei boschi
lo implorano ancora levando alla luna
le griffe preumane. Sanno
che ogni notte s’abbatte la civetta
affaccendata e zitta.
Tutta la creazione…
Carcerate nei regni dei graniti, tradite
a gemere fra argille e marne sperano
in uno sgorgo le vene delle acque.
Tutta la creazione…
Ma voi che altro di più non volete
se non sparire
e disfarvi, fermatevi.
Di bene un attimo ci fu. Una volta per sempre ci mosse.
Non per l’onore degli antichi dèi,
né per il nostro ma difendeteci.
Tutto ormai è un urlo solo.
Anche questo silenzio e il sonno prossimo.
Volokolàmskaja Chaussée, novembre 1941.
«Non possiamo più, – ci disse, – ritirarci.
Abbiamo Mosca alle spalle». Si chiamava
Klockov.
Rivolgo col bastone le foglie dei viali.
Quei due ragazzi mesti scalciano una bottiglia.
Proteggete le nostre verità.
Franco Fortini
Composita solvantur (Einaudi 1994)