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08/09/2025

L'eredità dell'epidemiologo Domenico Palli

Non scrivo un necrologio. È un ritratto di lavoro molto personale, di ciò che ho visto con i miei occhi, di ciò che ho imparato e dei segni che ha lasciato in tanti anni, a partire dal 1986, quando ho conosciuto per la prima volta Domenico Palli al CSPO di Viale Volta a Firenze.

Domenico era un’intelligenza orientata all’azione. Domande nette, tempi chiari, passi misurabili. Usava la sua viva intelligenza per decidere, non per farsi ammirare. Vedeva due mosse avanti. Tagliava il superfluo. Concentrava energie sulla parte che produce evidenza, non rumore.

La lezione più semplice e più dura che mi ha consegnato è la costanza e l’impegno continuo, instancabile che non vede festività o fine settimana. La progressione deve essere quotidiana. Ogni giorno un passo, anche piccolo. Non il colpo di genio, ma una strada ferrata: protocollo, analisi, confronto, scrittura, revisione e la consegna. Niente fuochi d’artificio, niente scorciatoie ornamentali. Solo avanzamento misurabile, documentato, riproducibile.

Il suo tratto distintivo era la capacità di spremere il massimo dai disegni in corso anche grazie alle sue competenze di epidemiologo amalgamate alle sue competenze di medico. Non ripartire da zero quando c’è già una buona base su cui costruire. Estendere un follow‑up, aprire un sotto‑studio, collegare fonti informative, mettere in relazione dataset che non parlavano ancora tra loro. Da qui nasceva la sua idea di anticipazione: quando la domanda diventava attuale, la risposta era spesso già pronta perché il lavoro era stato preparato in anticipo, con pazienza e metodo. In un tempo di sprechi dominanti la logica del riuso applicata alla epidemiologia e alla ricerca: un insegnamento importante.

Era un grande organizzatore e pianificatore, aveva una naturale attitudine al governo dei processi: per lui la gestione non era burocrazia, ma parte della scienza, e la esercitava con una leadership fortissima e un accentramento totale delle attività. L’organizzazione funzionava perché la direzione era lui che la imponeva: le priorità erano chiare, i tempi serrati, le decisioni rapide. Il contraddittorio era reale ma selettivo: per cambiare rotta occorrevano argomenti e dati più solidi dei suoi. Ma quando percepiva che esistevano strade differenti da quella che aveva tracciato, migliori e con migliori risultati non esitava un attimo a cambiare rotta e farle sue. Questa impostazione generava un confronto intenso, talvolta anche difficile da sostenere. Per due volte, ho scelto di allontanarmi e prendere una strada diversa; sono state decisioni non facili, che mi hanno costretto a crescere e che, in definitiva, hanno contribuito a farmi diventare il professionista che sono. A Domenico devo anche questo.

Sul piano etico era intransigente, soprattutto nella gestione delle risorse. Frugalità attiva: i fondi vanno ai progetti, non alle comodità. Nessun beneficio personale, neppure in trasferta, anche all’estero. Sapeva negarsi qualcosa per risparmiare e riportare quel margine nella ricerca. Il denaro pubblico come bene fragile, da proteggere con disciplina e rispetto.

Rifiutava la logica di mercato applicata alla scienza. Non per ideologia, ma per metodo. Gli incentivi devono guidare la qualità, non il marketing. La visibilità segue l’evidenza, non il contrario. Per questo insisteva su dati raccolti meticolosamente, protocolli solidi, controlli di qualità ridondanti quando necessario, analisi rifatte se un dubbio restava nell’aria. Preferiva una pagina in meno ma sicura, a dieci pagine fragili.

Da lui ho imparato che anticipare non significa improvvisare. Significa preparare materiali e definizioni, verificare le coerenze, tenere vive le versioni dei documenti, curare la pulizia dei dati, programmare analisi di sensibilità prima che vengano richieste. Arrivare alla finestra di opportunità con l’evidenza già sul tavolo. La comunità scientifica non ha bisogno di promesse; ha bisogno di strumenti che funzionano quando servono.

Se devo condensare ciò tutto questo in una frase (necessariamente lunga), lo dico così: le domande prima dei dati; l’avanzamento quotidiano come disciplina; la capacità brillante di estrarre nuova informazione dai disegni esistenti; l’organizzazione intesa come parte integrante del metodo scientifico; la frugalità responsabile nella spesa; l’anticipo dei tempi come pratica e non come slogan. Non sono slogan nemmeno queste parole: sono abitudini di lavoro che si imparano con l’esempio e si difendono ogni giorno.

Questo non è un saluto. È un impegno. Tenere vivo il metodo di Domenico Palli nelle pratiche della nostra epidemiologia. Nel modo in cui progettiamo studi, amministriamo risorse pubbliche, costruiamo evidenze utili alla salute collettiva. Ogni giorno. Un passo. E poi un altro senza risparmiarsi mai. 

Antonio Russo,
Unità di Epidemiologia,
ATS Milano Città Metropolitana 

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