Ulteriori riflessioni su Gaza
Il commento di Bruna De Marchi permette di tornare a riflettere sulla Lettera su Gaza (Manduca et al., Lancet 2014) e sul ruolo delle riviste scientifiche sollecitate ad assumere decisioni importanti, come quella di pubblicare una lettera su un fatto politico che polarizza le opinioni pubbliche.
Il contesto
Nel caso della vicenda di cui ci occupiamo, ritengo indispensabile che ci sia uno sforzo di contestualizzazione e di memoria di alcune date ed avvenimenti storici che hanno coinvolto la popolazione palestinese.
Tra il 1947 e il 1949, con la costituzione su terra palestinese dello stato di Israele, più di tre quarti dei palestinesi subì espropriazioni forzate. Furono espulsi e costretti a rifugiarsi negli stati arabi confinanti (Kimmerling, 1992).
Sono circa 4,5 milioni i rifugiati palestinesi a seguito della Guerra arabo-israeliana del 1948. Di essi, circa un terzo vive nei campi profughi dentro e fuori i Territori Palestinesi Occupati (UNRWA, 2015).
Nel 1991, gli Stati Uniti convocarono a Madrid una Conferenza di Pace sul Medio Oriente che coinvolse Israele, palestinesi e stati arabi. Negoziati successivi portarono Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) a un reciproco riconoscimento.
Nel 1993, presso la Casa Bianca, Israele e l’OLP firmarono la Dichiarazione di Principî sulle disposizioni temporanee di autonomia (ONU 2008), altrimenti conosciuta come “accordi di Oslo”. Fu così fondata l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP). Nazione Palestinese tutt’ora priva della sovranità delle frontiere, del libero movimento delle persone e delle merci e del pieno controllo sulla terra e sull’acqua (Giacaman e Lonning, 1998). Fallì così il processo di pace e il raggiungimento di un pieno accordo per la creazione di uno stato palestinese indipendente.
Il 2000 è l’anno della seconda intifada (letteralmente “scrollarsi di dosso”), rivolta palestinese contro l’occupazione israeliana che fu alimentata da un diffuso malcontento determinato dall’inadeguatezza dell’ANP e, in aperta sfida al diritto internazionale, dall’aumento delle confische e delle colonizzazioni delle terre palestinesi da parte israeliana (Hammani e Hilal, 2001).
Poi la costruzione del muro, l’invasione delle città della Cisgiordania, le centinaia di check-point dell’esercito israeliano, i coprifuoco, le invasioni, gli arresti, le uccisioni di civili, le confische di terre, le demolizione di case e l’operazione Piombo fuso. Tutti elementi che appaiono come una punizione collettiva della popolazione palestinese.
Come già riportato su E&P (Gianicolo et al., 2009), gli effetti devastanti di questa punizione si evidenziano in tutta la loro violenza in almeno due versanti: il primo, nella distruzione di infrastrutture, case, scuole, siti archeologici, attrezzature e archivi di dati; il secondo versante, nella mancanza di cibo e in stati di profonda angoscia quali insonnia, paura, tremori, stanchezza, depressione, disperazione, enuresi e, tra i bambini, episodi di pianto incontrollato (Giacaman 2004). Preoccupante, infine, declino degli standard di vita (WFP, 2007).
Nel 2014, la primavera palestinese si caratterizzava per uno sciopero della fame di detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, dei quali Ban kee Moon, segretario generale dell’ONU, aveva richiesto la liberazione (United Nations, 2014).
Altro elemento interessante di quella primavera era la riconciliazione tra le due principali forze politiche, Hamas e Fatah, e, non ultima, l’azione diplomatica per il riconoscimento della comunità internazionale.
Dal 13 giugno, nel blocco colonico di Etzion, tra Betlemme e Hebron, tre giovani coloni israeliani risultavano dispersi, fonti israeliane ritenevano che fossero stati rapiti da un gruppo armato palestinese riconducibile ad Hamas. Ciò aggravava la tensione tra il governo israeliano e l’ANP; tensione già forte a causa dell’accordo di conciliazione tra Hamas e Fatah.
In pochi giorni, nel corso delle ricerche per ritrovare i tre ragazzi scomparsi, circa 200 palestinesi residenti in Cisgiordania venivano arrestati dalle forze armate israeliane (PCHR, 2014). Su Lancetstudent.com viene pubblicata una lettera accorata di un gruppo di studentesse e studenti del Master in Public Health dell’Università di Birzeit, nel quale si racconta di una notte di terrore da essi vissuta a causa di un’incursione dell’esercito israeliano nella stessa università (Shalash e Dwaib, 2014). Intanto prendono corpo e s’intensificano i bombardamenti nella striscia di Gaza. È l’operazione Margine di protezione.
La lettera
In questo contesto che Manduca e colleghi, sulla scorta di una esperienza diretta di quanto stesse avvenendo a Gaza, il 22 luglio 2014 scrivono a The Lancet una lettera nella quale denunciano l’aggressione israeliana, raccontano del crimine contro l’umanità che si sta perpetuando in quelle ore a Gaza e invitano i lettori della prestigiosa rivista a sottoscrivere la loro lettera (Manduca et al., 2014). Lo faranno in oltre 20.000.
Le reazioni
Nei giorni successivi, The Lancet pubblica 20 lettere, alcune a supporto della denuncia di Manduca e colleghi; altre molto critiche. Tra queste ultime, quelle di scienziati che sostenevano la tesi che un giornale “medico” non dovesse pubblicare lettere dal contenuto politico.
Una lettera sottoscritta “on behalf of 1.234 Canadian physician” esprimeva preoccupazione circa la “svista” (oversight nel testo originale) che aveva permesso la pubblicazione del testo di Manduca e colleghi senza che gli autori dichiarassero il loro ovvio conflitto di interessi. Per esempio che “Swee Ang è fondatore di Medical Aid for Palestinians” e che “Mads Gilbert è un rappresentante della pro-Palestinian Norwegian Aid Committee, organizzazioni ostili a Israele”.
Il 29 luglio 2014 l’AIE esprimeva il proprio supporto a Richard Horton, editore della rivista, e la “preoccupazione circa le condizioni di salute della popolazione di Gaza e le condizioni di lavoro del personale operante negli ospedali” per il fatto di dover “fronteggiare una pressione disumana”. Infine l’AIE dichiarava che “l’unico modo per prevenire ulteriori gravi conseguenze per la popolazione palestinese è di fermare ogni azione militare in Gaza ed ogni forma di punizione collettiva nei Territori Palestinesi Occupati”.
Il 9 agosto, The Lancet pubblica un editoriale nel quale riepiloga la situazione e nel quale si sottolinea come Gaza sia “un terra dalla quale nessuno può scappare. Una terra nella quale i bambini rappresentano il gruppo di popolazione più numeroso. In queste condizioni hanno luogo gli attacchi su Gaza.” L’editoriale assume un tono severo laddove si legge che “non c’è bisogno di essere un esperto militare o uno studente di Legge Umanitaria Internazionale per comprendere i rischi estremi a cui è sottoposta la popolazione civile di Gaza se il conflitto non segue i principi di Distinzione, Precauzione e Proporzionalità”. L’editoriale, con riferimento alla critica mossa dai medici canadesi si concludeva da un lato con l'invito a considerare gli effetti sulla “sopravvivenza, la salute e il benessere” dei residenti a Gaza e in Israele, dall’altro proprio con l’invito ai medici a considerare come proprio dovere quello di essere consapevoli e di avere punti di vista anche forti su questi aspetti per portare la “società ad occuparsi delle azioni e delle ingiustizie che hanno portato a questo conflitto. È nostra responsabilità quella di promuovere una discussione aperta e plurale sugli effetti di questa guerra sulla popolazione civile.”
Il 30 Agosto, The Lancet offre a Manduca e colleghi l’opportunità di replicare alle critiche sulla mancata dichiarazione del conflitto di interessi. Gli autori invitano i lettori della rivista a considerare “il contesto” in cui scrivevano la lettera e il fatto che stessero osservando “una crisi sanitaria ed umanitaria urgente ed in rapida progressione” e che “Gli eventi che sono seguiti hanno mostrato che le nostre preoccupazioni erano giustificate”.
Il viaggio di Horton in Israele
L’11 Ottobre, Richard Horton pubblica un testo dal titolo “People to people” nel quale comunica di essere di ritorno da una visita compiuta presso il Rambam Helath Care Campus in Haifa. Scriveva Horton di come a Rambam avesse potuto osservare “un modello di partenariato tra Ebrei ed Arabi in una parte di Israele dove il 40% della popolazione è Araba” e di come il ministro della salute israeliano non solo avesse sostenuto la sua visita ma addirittura auspicato una futura collaborazione con la rivista.
Horton nel “People to people” a sua volta auspica per gli editori un futuro nel quale si possa ponderare con meno fretta l’eventuale pubblicazione di manoscritti trattanti temi, come quelli politici, tendenti a polarizzare le posizioni.
Qualche giorno prima, Ha’retz aveva pubblicato lo “scoop” a cui fa riferimento Bruna De Marchi, ossia quello del pentimento circa la pubblicazione della lettera e il ritiro della stessa.
Nell’intervento dell’11 ottobre in effetti vi sono elementi per ritenere che vi sia del pentimento. Non vi è, al contrario, evidenza che ci sia alcuna intenzione di ritirare la lettera. Peraltro, un altro giornale israeliano sostiene la tesi per la quale Horton non aveva alcuna intenzione di ritirare la lettera ma che si scusava per il fatto che la stessa avesse avuto l’effetto di polarizzare il dibattito (http://www.timesofisrael.com/lancet-editor-in-editorial-regrets-but-does-not-retract-gaza-letter/).
L’Ombudsman
Una pietra sopra questa vicenda sembra metterla il 17 ottobre 2014 Wisia Wedzicha, l’Ombudsman (letteralmente il difensore civico), chiamato dal The Lancet a valutare criticamente le “preoccupazioni e le critiche mosse dai lettori a proposito delle procedure utilizzate dalla rivista nella pubblicazione di contenuti”.
Wedzicha nel suo ponderato intervento ricordava come al 4 settembre, secondo l’ONU, si contavano 2.131vittime dell’offensiva israeliana contro Gaza e 71 vittime sul fronte israeliano. Egli inoltre giudicava assolutamente appropriato che un giornale medico pubblicasse il dibattito “su questioni, tra queste i conflitti, rilevanti per la salute”. Ciò per favorire anche “soluzioni politiche innovative”. Ed ancora che “senza la lettera di Manduca e colleghi i dibattito sul conflitto a Gaza sarebbe stato più povero”.
In conclusione, l’Ombudsman riprende l’invito di Horton ad adottare una posizione più “consensuale” sul conflitto, le sue conseguenze sulla salute e il lodevole contributo di Israele alla cura sanitaria nella regione.
In conclusione
Questa vicenda ci insegna come anche su una rivista scientifica possano generarsi polarizzazioni su argomenti che riguardano conflitti o, più in generale, temi sui quali la stessa società è divisa.
Le riviste scientifiche, allo stesso tempo, dovrebbero rispecchiare la ricchezza culturale di quella che chiamiamo la comunità scientifica e i valori che la contraddistinguono. Valori che sono soggetti a mutamenti. Occuparsi dei conflitti, utilizzando il metodo scientifico della ricostruzione dei fatti attraverso l’osservazione e l’analisi, esplicitando i valori soggettivi e comunitari - fra questi il ripudio della tortura di singoli e popolazioni - dovrebbe essere una pratica ben sviluppata in ogni comunità. Questa pratica non può e non deve essere (auto)censurata dalla consapevolezza che ci sono rischi di polarizzazione di posizioni non condivise, che non conviene comunque nascondere come cenere sotto il tappeto di un apparente consenso.
Commenti e punti di vista, dovrebbero essere accolti dagli editori, ai quali rimane l’importante compito di valutare che queste idee siano parte del patrimonio culturale della comunità scientifica e siano di aiuto al pieno sviluppo delle potenzialità e delle finalità della medesima comunità.
Emilio Antonio Luca Gianicolo
Istituto di Fisiologia del CNR di Lecce
Joannes Gutemberg Universität Mainz,
Institut für Medizinische Biometrie, Epidemiologie und Informatik
(Germania)
Conflitti di interesse: Dichiaro la mia collaborazione con l'Università di Birzeit (Territori Palestinesi Occupati).
Ringraziamenti: ringrazio il dott. Marco Cervino, ricercatore dell´Istituto di Scienze dell´atmosfera e il Clima del CNR per l´utile discussione.
Bibliografia
- Giacaman G, Lonning DJ. After Oslo: New Realities, Old Problems. Pluto Press, London. 1998.
- Giacaman R1, Husseini A, Gordon NH, Awartani F. Imprints on the consciousness: the impact on Palestinian civilians of the Israeli Army invasion of West Bank towns. Eur J Public Health. 2004 Sep;14(3):286-90.
- World Food Program, WFP. West Bank and Gaza Strip: comprehensive food security and vulnerability analysis (CFSVA). 2007.
- Gianicolo EA, Portaluri M, Abu-Rmeileh NM, Giacaman R. La salute al di qua del muro: un ponte tra Salento e Palestina. Epidemiol Prev. 2009 Jan-Apr;33(1-2):2
- Hammami R, Hilal J. An Uprising at a Crossroads. Middle East Report, 2001; 219: 2-7. 2001.
- Manduca P, Chalmers I, Summerfield D, Gilbert M, Ang S. An open letter for the people in Gaza.
- Lancet. 2014 Aug 2;384(9941):397-8. doi: 10.1016/S0140-6736(14)61044-8.
- Kimmerling B. Sociology, Ideology, and Nation-Building: The Palestinians and Their Meaning in Israeli Sociology
- American Sociological Review. Vol. 57, No. 4 (Aug., 1992), pp. 446-460.
- Palestinian Center for Human Rights, OCHR. http://www.pchrgaza.org/portal/en/index.php?option=com_content&view=article&id=10425:for-the-7th-consecutive-day-israeli-forces-continue-attacks-on-the-west-bank-245-palestinian-civilians-arrested-including-speaker-and-6-members-of-plc&catid=36:pchrpressreleases&Itemid=194. 2014. Ultimo accesso 2 marzo 2015.
- Shalash A, Dwaib H. A reign of terror during the night on the West Bank. The Lancet Student, 2014. http://www.thelancetstudent.com/blog/reign-terror-during-night-west-bank.
- United Nations, http://www.un.org/apps/news/story.asp?NewsID=47979. 2014. Ultimo accesso, 2 marzo 2015.
- UNRWA. The United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees. http://www.unrwa.org/palestine-refugees. Ultimo accesso 2 marzo 2015.