Lettere
11/04/2018

Perché il conflitto di interesse legato a un rapporto professionale con un ente pubblico non viene dichiarato?

Una sessione del recente Convegno dell’Associazione italiana di epidemiologia tenutosi a Mantova ha affrontato la questione del conflitto d’interesse.
Nella discussione ho fatto notare come nessuno dei relatori delle molte relazioni presentate in precedenza avesse dichiarato di avere conflitti d’interesse, pur lavorando (come dipendenti o precari) in strutture pubbliche.
Esistono, a mio parere, almeno due motivi per i quali un rapporto professionale con una struttura pubblica dovrebbe essere esplicitamente dichiarato come fonte di possibile conflitto.

  • Il primo è evidente già nella contrapposizione fra il termine contrattuale “dipendente” con l’illusoria “indipendenza” di pensiero e d’azione, che invece viene percepita dai dipendenti stessi. Le strutture pubbliche operano sotto il controllo della politica, secondo una gerarchia, e competono per i finanziamenti. Ricordo che nelle aziende sanitarie una quota dello stipendio dei direttori generali è variabile e legata al raggiungimento di obiettivi che, per questo motivo, diventano prioritari per i dipendenti di quell’azienda, i quali dovranno contribuire alla loro realizzazione (che piaccia o meno). Quando il rapporto di lavoro pubblico fornisce la totale o la gran parte del reddito, è difficile non immaginare un condizionamento che porti a un allineamento con le direttive aziendali. Non parlo di dolo, ma di un’indipendenza liquida, più o meno consapevole, finalizzata alla prosperità della propria fonte di reddito.
  • L’altro aspetto, altrettanto rilevante, è quello dell’autorevolezza. Negli esempi che mi vengono in mente, l’autorevolezza dell’istituzione è dominante rispetto a quella dell’individuo, che perciò ne beneficia in via riflessa, per appartenenza. Quando un titolo legato alla struttura (per esempio, professore) viene utilizzato per attività private – pensiamo alle consulenze –, l’autorevolezza della struttura contribuisce al raggiungimento di un vantaggio economico esclusivamente personale.

Se il conflitto d’interesse esistesse solo nel caso di azioni dolose di falsificazione della “verità”, il problema della sua dichiarazione non sussisterebbe, perché non sarebbe dichiarato, ma eventualmente smascherato. Invece, la gran parte di esso è agito nell’interpretazione della “verità”, che non è mai univoca – Kurosawa in Rashomon docet. Se un’interpretazione può essere più vantaggiosa per la propria fonte di reddito rispetto a un’altra, il conflitto d’interesse diventa evidente.
Ripropongo, quindi, la mia domanda: perché il lavoro che viene svolto quotidianamente per una struttura dalla quale dipende la maggioranza del proprio reddito e benefici extra contrattuali e dal quale, quindi, si è al minimo condizionabili nella propria “libertà intellettuale” non viene dichiarato?

Conflitti di interesse dichiarati: l’autore ha lavorato per circa 26 anni come dipendente di enti di sanità pubblica italiani, per 2 anni con la Commissione europea e attualmente collabora con enti di sanità pubblica come libero professionista.

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