Lettere
11/04/2018

Conflitti di interesse ed ente pubblico: la distorsione e la regola

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Sì, anche nel pubblico possono esserci conflitti di interesse. Anche nel pubblico può accadere che un soggetto possa trovarsi in conflitto fra ruolo istituzionale e pressioni – innanzitutto di tipo gerarchico o politico – che possono interferire sull’esito dell’attività svolta.
In questo senso, è corretto il richiamo di Emanuele Crocetti: il fatto che un lavoro sia stato eseguito con una committenza pubblica non esclude che vi siano conflitti di interesse. Si pensi a un ricercatore che conduce uno studio epidemiologico sulla sicurezza di un farmaco che provoca l’interruzione di gravidanza, se il committente è un ministro della Salute contrario/a alla commercializzazione di questi farmaci. Oppure si pensi ai dipendenti regionali che devono effettuare uno studio per verificare se un innalzamento dei limiti di contaminanti appena approvato in una Regione non sia rischioso per la salute. In queste occasioni, può essere difficile dire qualcosa in contrasto con un proprio superiore e anche per il dipendente pubblico, quindi, la situazione lavorativa può comportare delle responsabilità (e dei rischi).
L’elenco delle situazioni conflittuali potrebbe continuare, ma non dimostrerebbe che finanziamenti pubblici e privati comportano lo stesso rischio di conflitti di interesse. Ciò che nei finanziamenti privati rischia di essere sostanzialmente inevitabile, nel pubblico è un’eccezione frutto di una distorsione. Se, per esempio, un’azienda farmaceutica sponsorizza un confronto fra un suo farmaco e quello di un’altra azienda, è inevitabile che vi sia una preferenza per risultati favorevoli al proprio farmaco. È questa attesa preferenziale che crea una condizione intrinseca di conflitti di interesse. Se lo stesso studio fosse sostenuto da una ricerca pubblica, ci si deve attendere a priori che ogni risultato sia ugualmente di interesse.
È vero che su un dipendente pubblico – il quale, secondo l’art. 98 della Costituzione, opera nell’interesse della collettività «al servizio esclusivo della Nazione» – possono manifestarsi pressioni indebite, da parte di politici o di direttori generali o di superiori gerarchici. Ma, appunto, si tratta di pressioni indebite, in contrasto con l’obbligo di assicurare «il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione» (art. 97 della Costituzione).
Tutto questo per dire che non dobbiamo essere preoccupati dei possibili conflitti di interesse nel pubblico? Certo che no. Al contrario, potrebbe essere del tutto desiderabile dettagliare meglio anche per studi condotti nel pubblico, e con fondi pubblici, alcune dichiarazioni a volte già oggi richieste al momento della pubblicazione. Per esempio, attestare l’assenza di influenze indebite nel disegno dello studio e/o nell’accesso ai dati e/o nel riportare e discutere i risultati. O ancora, esplicitare se l’attività svolta sia parte della normale attività istituzionale o se vi sia stato un finanziamento ad hoc; se il finanziamento derivi da un bando competitivo o da una committenza specifica; se l’eventuale committente possa avere ricadute negative dai (o un interesse preferenziale nei) risultati dello studio.
Esplicitare i possibili conflitti di interesse è il primo passo per adottare azioni utili a contenerne gli effetti distorsivi e per evitare di oscillare fra l’indifferenza e il clima di sospetto, tenendo presente che porsi il problema dei conflitti di interesse significa riflettere su una condizione che è del tutto indipendente dall’onestà delle persone. Ma mettere sullo stesso piano la distorsione di un’attività istituzionale svolta nel settore pubblico con la normalità di una condizione strutturale che riguarda chi opera nel privato o svolge un’attività finanziata dal privato rischia di banalizzare il problema. Con la conseguenza che se tutti possono essere in conflitti di interesse allora è inutile occuparsene.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

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