Le problematiche connesse con il perdurare della presenza di manufatti contenenti amianto
Introduzione
A diciannove anni dal varo della normativa che metteva al bando l’escavazione, l’importazione, la fabbricazione e il commercio di nuovi manufatti contenenti amianto (MCA), ma non l’uso di quelli esistenti, è giunto ilmomento di fare alcune riflessioni sul significato della diffusa presenza di manufatti, in ambito sia civile sia industriale e valutare concretamente se il perdurare della presenza provochi ricadute negative per la salute della popolazione generale e di quella lavorativa.
Com’è noto l’esposizione ad amianto è causa di gravimalattie dell’apparato respiratorio, alcune delle quali, i mesoteliomi delle sierose, sono ancora oggi a prognosi infausta. La cosiddetta “fuoriuscita dall’amianto” che ha avuto inizio con la legge di messa al bando del 1992 consentirà, in un futuro ormai prossimo, un importante contenimento dell’insorgenza dei tumori asbesto-correlati. Parallelamente la “deamiantizzazione” del Paese comporta un costante e ingente impegno economico sostenuto da chi deve bonificare strutture e dagli organismi pubblici che vigilano sulla prevenzione del rischio. Gli ingenti costi delle bonifiche rallentano il processo di dismissione dell’uso dei MCA.
La situazione attuale
La Legge 257 del 1992 non vietò l’utilizzazione indiretta dei MCA per cui il possesso dimanufatti in opera, come per esempio serbatoi o coperture in eternit, risulta a tutt’oggi perfettamente in linea con la norma. Soltanto benmotivate ordinanze emesse dai sindaci possono imporne la sostituzione. L’effetto positivo sulla diminuzione della presenza diMCA dovuto alla legge di messa al bando si misura quindi sul lungo termine, in attesa della morte naturale dei manufatti. Nessuno sa con certezza quanto amianto fosse presente in Italia nel 1992: alcune stime di incerta origine parlano di 30 milioni di tonnellate, ma se il numero esatto può essere affetto da errore, non lo è certamente l’ordine di grandezza (decine di tonnellate). Il dispositivo normativo del 1992 aveva previsto nell’articolato anche la sorveglianza progressiva dell’andamento della dismissione dell’amianto con i seguenti strumenti:
- l’art. 9 prevede che gli utilizzatori diretti e indiretti o coloro che rimuovono amianto inviino annualmente alle ASL e alle Regioni competenti per territorio una relazione sulle attività svolte, sui quantitativi utilizzati e su quelli rimossi;
- gli artt. 10 e 12 prevedono l’effettuazione di censimenti in ambito sia industriale sia civile da parte delle Regioni mediante l’adozione di piani specifici per tutte le attività da svolgere in materia di sorveglianza.
L’applicazione dell’articolato ha presentato forti disomogeneità su tutto il territorio nazionale,ma è stata purtroppo prevalente la trascuratezza del rispetto delle norme, che in questa circostanza ha attraversato trasversalmente i privati e gli enti pubblici. I primi si sono guardati bene prima di autonotificare l’utilizzazione di amianto, i secondi non hanno ben compreso l’alto contenuto informativo che poteva fornire un’analisi ragionata e un’archiviazione sistematica delle relazioni annuali ex art. 9. Questo mancato funzionamento ha avuto e ha tuttora ricadute negative sulla spesa sia pubblica sia dei privati. Appare sempre più evidente che questo processo, per la sua vastità e durata, non possa essere delegato interamente all’iniziativa privata lasciando all’ente pubblico l’unico ruolo di “controllore”. Lo Stato e le Regioni dovranno, pur restando nell’ambito delle rispettive competenze, giocare un ruolo più attivo che nel passato.
L’unica regione che ha sistematicamente registrato ed elaborato i dati sin dalla metà degli anni Novanta è stata la Toscana. Ciò non è dovuto a un particolare virtuosismo sulla materia presente in quella regione già dal periodo che precedeva il bando, ma dall’avere investito piccole somme di denaro per consentire l’utilizzo dei dati contenuti nelle relazioni annuali compilate prevalentemente dalle ditte specializzate nelle bonifiche. La Regione dispone quindi oggi del dato quantitativo dell’amianto rimosso, mentre scarse restano le informazioni circa l’amianto ancora presente per la mancata autonotifica.
Tuttavia, per evidenziare la presenza diMCA spesso non sono necessarie burocratiche autonotifiche, poiché le lastre di copertura degli edifici sono ben visibili a tutti e anche vissute con un certo disagio, in particolare quando si trovano a servizio di edifici scolastici, nelle corti di palazzi o nei pressi delle finestre di abitazioni. Sorgono addirittura comitati di cittadini e di genitori “anti-amianto”, che spesso richiedono aiuto alle autorità competenti in materia per ottenere le bonifiche.
La sola presenza di materiali compatti in opera, come per esempio le lastre di copertura degli edifici, non desta particolari preoccupazioni negli organismi di sanità pubblica dato che i dosaggi di fibre che possono disperdersi nell’aria effettuati in prossimità delle coperture o in aree industriali con diffusa presenza di questimateriali indicano concentrazioni trascurabili senza incrementi del cosiddetto inquinamento di fondo.
Un altro aspetto importante è quello rappresentato dal sistema di sorveglianza epidemiologica (COR) che non registra al momento casi di mesotelioma con esposizione ambientale attribuita per aver vissuto nei pressi di coperture in cemento amianto. Tuttavia, anche i materiali compatti sono soggetti a un degrado della matrice nel tempo e il rischio di rilascio di fibre nell’aerosol è destinato ad aumentare.
In materia di salute dei lavoratori, la presenza diffusa di MCA costituisce ancora un rischio per gli addetti del comparto edile, in particolare per coloro che effettuano lavori di ristrutturazione di abitazioni: normalmente, rimozioni di cospicue quantità vengono effettuate con piano di lavoro approvato dalla ASL. La sorveglianza epidemiologica consente di evidenziare anche esposizioni lavorative cosiddette anomale; per fare qualche esempio, nell’ultimo anno in una provincia del Nord Italia è insorto un mesotelioma in un lattoniere che durante le sua vita lavorativa ha svolto solamente l’attività di installazione, sostituzione e manutenzione di grondaie di edifici. Accade che nelle grondaie si accumulino residui di qualunque genere, incluse fibre di amianto dilavate dalle coperture e di queste situazioni in Italia ce ne sono ancora centinaia di migliaia. Se il manutentore della grondaia non è adeguatamente informato e rimuove i residui senza protezione, o comunque senza averli preventivamente bagnati, si espone alla polvere contaminata da fibre. È quello che è accaduto al lattoniere che ha contratto il mesotelioma, ed è quello che accade se la manutenzione della grondaia non rientra in un piano di rimozione della copertura.
Altre problematiche dovute alla continuazione dell’uso di MCA emergono in occasione di eventi eccezionali, come gli incendi di capannoni industriali dove le coperture vengono letteralmente sbriciolate dalle fiamme o, per esempio, in occasione di terremoti, come l’ultimo abruzzese, quandomateriali considerati per la loro compattezza “inattivi”, possono “attivarsi” durante imprevisti crolli e conseguenti smassamenti dimacerie creando inevitabili ritardi nell’esecuzione di lavori e ulteriori preoccupazioni per una popolazione già duramente provata.
La Regione Lombardia si è posta l’obiettivo strategico di rimuovere tutti materiali contenenti amianto dall’intero territorio regionale entro il 2016 con specifico provvedimento normativo.
In RegioneToscana l’osservatorio dei lavori di rimozione dell’amianto, affidato a ISPOche analizza ed elabora dati di sintesi delle relazioni inviate alla Regione dalle ditte che effettuano opere di bonifica (ex art. 9 Legge 257), consente di comprendere l’andamento della fuoriuscita dall’amiantomediante il computo annuale dei quantitativi dei materiali rimossi.
In tabella 1 e figura 1 sono stati riportati i dati ricavati dall’analisi delle relazioni presentate annualmente dalle ditte di bonifica: come si può notare, le rimozioni di amianto in Toscana sono stimabili mediamente intorno alle 15.000 tonnallate/anno. Il recente censimento previsto dal DM 101/2003 delMinistero dell’ambiente e realizzato da ARPAT, al quale ha partecipato anche ISPO, ha soltanto in parte consentito di ottenere una fotografia dettagliata della situazione esistente e un nuovo piano di mappatura per la localizzazione completa della presenza di amianto comporterebbe un investimento di alcune centinaia di migliaia di euro, tutte a carico del sistema pubblico. La stima dei quantitativi presenti inToscana, derivata da una stima nazionale, indica in circa 2 milioni di tonnellate il quantitativo in opera al momento del bando del 1992. Con questo ritmo è prevedibile che la fuoriuscita completa dall’amianto avvenga nei primi decenni del XXII secolo. Da non sottovalutare il fatto che una così lunga permanenza dimateriali in opera, e quindi esposti alle intemperie, causi un degrado tale da renderli capaci di causare effettive condizioni di rischio per l’ambiente. Non deve inoltre essere trascurato il fatto che il Sistema sanitario nazionale, attraverso la rete dei Servizi di prevenzione nei luoghi di lavoro, destina parte del personale alla sorveglianza dei cantieri di bonifica con impegno temporale decisamente importante. Questa attività di vigilanza sui lavori di rimozione dovrebbe quindi continuare almeno fino alla fine di questo secolo.
La normativa attuale classifica come pericolosi tutti i rifiuti di amianto o dimateriali che lo contengono con una percentuale superiore allo 0,1% in peso indistintamente dalla consistenza della matrice (friabile o compatta). La collocazione in discarica, anche se con la nuova classificazione dei siti di smaltimento prevista dal DL 36/03 dovrebbe avvenire solo in quelle per rifiuti pericolosi, in realtà avviene anche in alcune discariche per rifiuti non pericolosi autorizzate a smaltire il cemento amianto e i materiali in matrice resinoide. In ogni caso, la legge prevede controlli periodici mediante monitoraggio dell’aria nei pressi dei siti di smaltimento.
Attualmente più dellametà deimateriali rimossi, per esempio in Toscana, viene conferita a piattaforme di stoccaggio che spediscono i rifiuti, tutti classificati come pericolosi, in discariche situate in gran parte nella ex Germania dell’Est, a migliaia di chilometri di distanza, mediante vettori che trasportano su gomma. Da notizie fornite dalle ditte che operano nel settore della rimozione dell’amianto risulta che vi è la concreta possibilità che presto la Germania non sarà più in grado di accogliere i rifiuti di questo genere provenienti dall’Italia.
Da esperienze personali e non solo emerge che la rimozione di modeste quantità di cemento amianto o di piccoli manufatti presenti nelle abitazioni venga effettuata non soltanto senza alcuna protezione dal rischio, ma che soprattutto non venga conferita al giusto destinatario. Sono frequenti i ritrovamenti di questi rifiuti a fianco dei cassonetti dei rifiuti solidi urbani, ma spesso anche in discariche abusive ai margini delle città. Purtroppo sono ancora troppo pochi i comuni che si sono attrezzati per facilitare lo smaltimento di piccole quantità provenienti da privati cittadini.
Prospettive future
Da questa breve analisi della situazione attuale appare evidente che:
- a 18 anni dalla messa al bando dell’introduzione di nuovo amianto sul mercato è necessario ripensare al processo di fuoriuscita per “morte naturale” e prendere in seria considerazione la possibilità di imprimere un’accelerazione al processo di dismissione dell’uso, anche mediante un provvedimento normativo nazionale;
- la legge di messa al bando, anche se si è dimostrata efficace nel divieto di nuove utilizzazioni, non ha completamente interrotto il rischio derivante dalle esposizioni residue e incontrollate che sono emerse con chiarezza dal 1992 a oggi, dimostrando che l’efficace prevenzione primaria possa raggiungersi soltanto con l’eliminazione totale di tutto l’amianto ancora in opera;
- è necessario uno stretto dialogo e una forte collaborazione tra sanità e ambiente, in particolare tra iMinisteri e i rispettivi Assessorati regionali per studiare le forme più efficaci di raggiungimento di obiettivi intermedi e strategici di lungo termine;
- la chiave di volta per l’accelerazione del processo di fuoriuscita, rappresentata dalla disponibilità di siti in cuimettere a dimora queste ingenti quantità di materiali, si è dimostrata in questi anni l’anello più debole dell’intera catena.
Per quanto riguarda il primo punto, giova ricordare che la Regione Toscana, così come molte altre Regioni, scelse a suo tempo la formula di non favorire la rimozione dei materiali compatti lanciando nel 1997 lo slogan «Tienilo d’occhio », per segnalare che un’attenta sorveglianza avrebbe evitato di incorrere in situazioni di rischio. Ma, nonostante il nome che inneggia all’eternità, lo stato in cui si trovano oggi questimateriali, almeno quelli esposti agli agenti atmosferici, non procede certamente verso un miglioramento. Un ripensamento generale, rinnovando e adeguando gli obiettivi alle esigenze attuali e facendo tesoro delle esperienzematurate in questi anni, è non soltanto necessario, ma possiede anche il carattere di urgenza per rispondere ai tanti interrogativi posti da tutta la popolazione frequentemente inondata dai media con notizie troppo spesso confezionate per incentivare il commercio mediatico, piuttosto che per fornire un’informazione con fondamenti scientifici. Il sistema sanitario pubblico nel suo insieme possiede attualmente tutti gli elementi per poter comunicare alla popolazione come si può incorrere nel rischio amianto, ma soprattutto che difendersi è possibile e praticabile senza farsi condizionare dall’emotività.
Per quanto riguarda il terzo punto, considerate le competenze complementari su questa problematica delle due istituzioni pubbliche (Sanità - Ambiente) a livello di governo sia nazionale sia regionale, appare indispensabile stabilire un dialogo permanente per la programmazione di qualsiasi iniziativa rivolta a governare in sintonia la soluzione del problema. Il contenuto del quarto punto, cioè l’ultimo anello del processo di dismissione, rappresenta stranamente il punto di partenza, e perciò è quello che necessita di essere affrontato in via prioritaria ricercando soluzioni locali all’interno di ogni singola regione.
L’impegno economico delle bonifiche
I costi sostenuti dalla collettività, sia in ambito pubblico sia privato, per liberarsi dei materiali contenenti amianto rappresentano un impegno economico importante aggravato dall’attuale sistema di smaltimento dei rifiuti. La rimozione di materiali compatti ha un costo indicativo di circa 550 euro/tonnellata, la collocazione in discariche estere ha un costo di circa 250 euro/tonnellata a cui vanno aggiunti altri 100 euro/tonnellata di trasporto. Da ciò si deduce che solo in Toscana nell’anno 2006 sono stati spesi 18 milioni di euro (900 euro/tonnellata). Se poi si tratta di rimuovere e smaltire materiali friabili i costi complessivi salgono a circa 3500- 4000 euro/tonnellata per le difficoltà dei lavori di rimozione, per il loro confezionamento, per il basso peso specifico del rifiuto e per il suo smaltimento.
Smaltire “in casa”
La creazione di uno o più impianti di smaltimento all’interno delle singole regioni consentirebbe un sensibile risparmio sulla voce del trasporto e smaltimento, rimanendo ovviamente costante il costo della rimozione. Il costo del trasporto si ridurrebbe a circa 1/7 dell’attuale (15 euro/tonnellata) e per lo smaltimento le stime indicano una riduzione a circa la metà del costo dello smaltimento all’estero. Complessivamente, vale a dire per l’intero ciclo, il risparmio è stimabile intorno al 25%. Da non trascurare il particolare che ingenti cifre di denaro non varcherebbero i confini nazionali.Un altro aspetto positivo è rappresentato dal risparmio di combustibile, e quindi di gas serra, per l’elevata riduzione dei chilometri da percorrere per raggiungere le discariche. In ultimo, si otterrebbe un risvolto positivo sull’occupazione dato che la gestione degli impianti di smaltimento necessita di risorse umane.
Qualora la politica dello “smaltire in casa” o “a km zero” trovasse il meritato consenso, la ricerca di nuovi sistemi di inertizzazione e di riduzione dei volumi dei rifiuti, alternativi agli attuali, potrebbe ricevere nuovi stimoli e aprire prospettive diverse per la protezione dell’ambiente nei dintorni delle discariche. Questo particolare problema, cioè la possibile contaminazione dell’ambiente circostante da parte di discariche per materiali pericolosi, in generale suscita sempre preoccupazione e inquietudine nelle popolazioni limitrofe al punto tale da far nascere una opposizione totale alla costruzione di nuovi impianti. È invece convinzione consolidata tra gli addetti ai lavori che la messa in discarica dei MCA in trincee interrate e successivamente coperte con terra rappresenti un metodo in grado di dare sufficienti garanzie di sicurezza, sia per coloro che operano in dette discariche sia per le popolazioni circostanti, con un costo energetico trascurabile rispetto a quello necessario per l’inertizzazione termica. Ilmonitoraggio delle acque di percolamento della discarica di Barricalla, dove sono statimessi a dimora ingenti quantità dimateriali friabili, ha evidenziato una concentrazione inferiore ai limiti normativi a monte dei sistemi di fitrazione e trattamento di suddette acque, dimostrando che l’eventuale inquinamento del suolo può essere agevolmente impedito. Tuttavia, dato che siti di smaltimento sono in funzione da ormai tre lustri, la promozione di una campagna di monitoraggio straordinaria, sia dell’aria sia delle acque, potrebbe evidenziare l’eventuale presenza di dispersioni, fornendo nel caso utili indicazioni per apportare modifiche alle metodologie di smaltimento.
I trattamenti termici dovrebbero in teoria riuscire a trasformare le fibre, aprendo la possibilità al riutilizzo dei materiali di risulta come materie prime seconde. Ma quali garanzie si possono ottenere da un processo industriale che la totalità di quanto sottoposto a trattamento venga effettivamente trasformato a tal punto da far sparire completamente la struttura fibrosa? I controlli analitici per verificare la sparizione delle fibre potrebbero essere effettuati soltanto a campione, considerato il volume a dir poco immenso dei materiali da smaltire, a meno che il trattamento termico venga effettuato soltanto a scopi preventivi prima di collocare il rifiuto in discarica. Da non dimenticare inoltre che il trattamento riguarderebbe prevalentemente cemento, che costituisce mediamente l’87% in peso del cemento amianto. Resta comunque il fatto che la bolletta energetica per questo tipo di trattamento risulta estremamente dispendiosa e questo nel nostro Paese si traduce in inquinamento atmosferico da gas serra, visto che l’energia elettrica viene ottenuta principalmente da combustibili fossili.
Forse una via praticabile potrebbe essere quella della vetrificazione (tecnica che offre sufficienti margini di sicurezza) dei soli rifiuti in matrice friabile e porre in discarica sotterranea quelli in matrice compatta.
Conclusioni
L’accelerazione del processo di cessazione dell’uso indiretto di materiali contenenti amianto è oggigiorno condizione necessaria permettere fine a condizioni di rischio che, seppur meno frequenti che in passato, sono ancora oggi presenti e possono interessare un buon numero di lavoratori, in particolare gli edili.
I risparmi derivanti dal reperimento di siti di smaltimento all’interno di singole regioni, dalla diminuzione dei costi dovuti all’incremento del volume di lavoro ad altre forme di agevolazione, potrebbero costituire un incentivo per convincere i proprietari a sostituire iMCA con materiali alternativi. La messa in atto di un sistema di prenotazione per lo smaltimento agevolato potrebbe aiutare a capire la dimensione del volume da smaltire. In pratica si otterrebbero censimento emappatura senza ulteriori investimenti pubblici. Si rende necessario inoltre che il Gruppo tecnico amianto, operante nel Ministero della salute, del quale fanno parte rappresentanti deiMinisteri salute ed ambiente, delle Regioni e degli enti nazionali, venga al più presto dotato degli strumenti necessari per operare da cabina di regia nazionale per la promozione e l’attuazione del necessario programma straordinario di fuoriuscita dall’amianto.
Conflitti di interesse dichiarati: nessuno