Interventi
26/04/2010

Teorie filosofiche della causalità per l’epidemiologia

Causalità probabilistica

Sul versante filosofico, è stato soprattutto a partire dai primi anni Settanta che si è assistito a un revival degli studi sulla nozione di causa, associata a quella di probabilità. Attraverso le opere di autori quali Irving John Good,1 Patrick Suppes2 e Wesley Salmon,3-5 l’idea di relazione causale come congiunzione costante è stata sostituita dall’idea che la causa sia quel fattore che contribuisce in una certa misura al verificarsi dell’effetto. Si è in presenza di un nesso causale se la probabilità che si verifichi l’effetto è diversa in presenza e in assenza della causa: P (B ÷ A) ­ P (B ÷ ~A). La causalità è
così ricondotta a un rapporto di rilevanza statistica, o solo positiva (la causa è ciò che aumenta a probabilità dell’effetto; per esempio, Suppes), o tanto positiva quanto negativa (la causa è ciò che varia la probabilità dell’effetto; per esempio, Salmon).
Anche in ambito epidemiologico l’incremento delle ricerche sui rapporti tra fattori di rischio e patologie ha fatto sì che si affermasse il concetto di causalità come «congiunzione probabile». Sono infatti pochissime le malattie che riconoscono un’unica causa necessaria e sufficiente (tra queste alcune malattie genetiche, in particolare di tipo cromosomico); la maggior parte è dovuta a molteplici fattori causali, né necessari né sufficienti, ma compresenti in combinazioni diverse (si pensi alle complesse interazioni genoma-ambiente).
All’interno del dibattito filosofico ci si è ben presto resi conto che l’identificazione del rapporto di causa-effetto con una correlazione statistica lascia aperti vari problemi, concernenti in particolare:

  • il fatto che le relazioni causali sono asimmetriche (ovvero se A causa B, solitamente non è vero che B causa A), mentre quelle di rilevanza statistica sono simmetriche;6
  • l’individuazione della classe di riferimento più appropriata cui assegnare l’evento in esame per calcolare la probabilità
    che si verifichi;
  • la presenza di correlazioni spurie, ovvero di correlazioni statistiche non causali, in cui P (B ÷ A) > P (B ÷ ~A), ma sia A sia B sono causati da un terzo fattore, C.4

La prospettiva neomeccanicista

La prospettiva probabilistica, in ogni caso, non è tramontata, divenendo piuttosto parte integrante degli altri approcci via via affermatisi. Tra questi, l’approccio meccanicistico, elaborato in forma probabilistica da Salmon a partire dall’inizio degli anni Ottanta. La sua teoria assume come costituenti fondamentali del modo non eventi, bensì processi, definiti come entità spazio-temporalmente continue. I processi genuinamente causali sono identificabili mediante il «criterio di trasmissione dei marchi»: un processo è causale se possiamo affermare che, qualora gli fosse stato imposto un marchio, cioè una modifica della sua struttura, in un dato punto, il marchio sarebbe stato trasmesso da quel punto in poi, senza interventi addizionali. La produzione di influenza causale viene poi esplicata nei termini di interazioni tra processi causali;
una volta prodotta, l’influenza causale viene propagata lungo i processi causali, in virtù del loro carattere continuo.3,5 Ne emerge una visione forte della causalità, intesa come fisica e oggettiva, e strettamente legata alla spiegazione scientifica: spiegare significa individuare la porzione della rete di meccanismi, per lo più con andamento probabilistico, sottesa al fenomeno in questione e responsabile del suo verificarsi. In questa prospettiva, la malattia può essere intesa come un segno (marchio) che interviene sui processi continui normalmente in atto nell’organismo, modificandoli e permanendo per un certo lasso di tempo.7 La spiegazione di una patologia non potrà essere ridotta all’asserzione di una relazione statistica, ma dovrà esibire la presenza di un meccanismo causale, ovvero di un intreccio di processi continui e oggettivi che vanno dai fattori scatenanti fino alla comparsa dei sintomi.
Nei primi anni Novanta un altro filosofo della scienza, Phil Dowe, ha mirato a elaborare una teoria della causalità fisica,

oggettiva e con una forte ispirazione empirista quale quella di Salmon voleva essere, ma fondata sulle nozioni di «quantità conservata», intesa come qualunque quantità conservata secondo le teorie scientifiche correnti (per esempio, carica elettrica, momento angolare, momento lineare), e di «linea di mondo», definita come un insieme di punti in un diagramma spazio-temporale che rappresenta la storia di un oggetto. Nella sua «teoria delle quantità conservate» un processo causale viene così definito come la linea di mondo di un oggetto che esibisce una quantità conservata, e un’interazione causale viene definita come un’intersezione di processi causali nella quale si verifica lo scambio di una quantità conservata.8
Pur avendo avuto il merito di aprire la strada a un modo di intendere la causalità come «produttività», le teorie di Salmon e Dowe sono state accusate di essere troppo legate a una scienza specifica, la fisica. Nell’intento di elaborare posizioni applicabili ad altre discipline – in particolare, alle scienze biomediche – nell’ultimo decennio numerosi autori hanno proposto definizioni diverse di meccanismo. Tra i cosiddetti «neomeccanicisti», Peter Machamer, Lindley Darden e Carl Craver ritengono che i meccanismi siano insiemi di «entità e attività organizzati in modo tale da produrre cambiamenti regolari a partire da certe condizioni iniziali fino a certe condizioni finali»;9 Stuart Glennan ha definito «un meccanismo di un comportamento» come «un sistema complesso che produce quel comportamento attraverso l’interazione di un certo numero di parti»;10per William Bechtel e Adele Abrahamsen «un meccanismo è una struttura che compie una funzione in virtù delle sue parti, delle operazioni che lo costituiscono e della loro organizzazione».11

Pur presentando delle differenze, queste teorie concordano nel sottolineare la complessità e intrinseca dinamicità dei meccanismi, l’importanza della loro organizzazione interna e del loro essere strutturati su più livelli.
A sostegno della validità di questa prospettiva i neomeccanicisti portano esempi tratti proprio dalla ricerca biomedica: vengono esplicati meccanicisticamente la sintesi delle proteine, la trasmissione neuronale, il metabolismo cellulare, nonché i meccanismi patogenetici dei diversi quadri morbosi (meccanismi del diabete, dell’obesità, dell’emicrania, delle malattie cardiovascolari ecc.). In tutti questi casi l’approccio meccanicistico – inteso per lo più in termini probabilistici – mira a fornire gli strumenti adeguati per un’analisi che tenga conto della pluralità di processi causali, interazioni e livelli coinvolti, mentre resta problematica la definizione della relazione di rilevanza causale e l’identificazione di nessi produttivi.

L’approccio controfattuale

Un ulteriore modo di intendere la causalità nasce dall’intuizione che le cause siano quei fattori in assenza dei quali gli effetti non avrebbero avuto luogo. È questa la radice dell’approccio controfattuale, secondo il quale A causa B se: A e B sono due eventi distinti, entrambi in verificano, e se A non si fosse verificato allora B non si sarebbe verificato.12,13
L’analisi controfattuale della causalità che ha riscosso più successo è quella elaborata agli inizi degli anni Settanta da uno dei maggiori filosofi della scienza contemporanei, David Lewis. Secondo Lewis, «pensiamo a una causa come a qualcosa che fa una certa differenza, e tale differenza deve valere rispetto a ciò che si sarebbe verificato senza di essa. In sua assenza, almeno alcuni degli effetti, e solitamente tutti, sarebbero mancati anch’essi».14
La teoria di Lewis si presenta come una teoria della causalità singolare, di carattere deterministico, in cui la causalità viene analizzata attraverso relazioni controfattuali. Queste sono esplicate a loro volta nei termini di una semantica dei mondi possibili, dove un mondo possibile è definito come un modo in cui il mondo potrebbe essere, o potrebbe essere stato.
In seguito a una serie di controesempi concernenti la causalità ridondante (ovvero casi in cui sono presenti più cause alternative, e non è quindi corretto dire che «se A non si fosse verificato, B non si sarebbe verificato», perché sarebbe stato causato da C, o D, o...), Lewis15ha poi proposto una modifica della sua teoria, introducendo il concetto di «influenza causale»: la dipendenza causale non è semplicemente una relazione del tipo «se A non si fosse verificato, allora B non si sarebbe verificato», bensì una dipendenza del modo, momento e luogo in cui B accade dal modo, momento e luogo in cui A accade.
Quello controfattuale è l’approccio cardine sui cui si fonda gran parte del sapere epidemiologico, e a cui guarda il disegno di studio randomizzato controllato (il gold standard degli studi epidemiologici). Lo stesso Lewis viene ricordato da Sander Greenland, Kenneth Rothman e Timothy Lash tra gli antecedenti illustri nello studio dei controfattuali, usate nelle definizioni delle «counterfactual measures».16,17
Anche l’approccio controfattuale è stato negli ultimi anni oggetto di numerose critiche filosofiche: è stato accusato, tra l’altro, di moltiplicare inutilmente le entità richieste per definire i legami causali, di complicare eccessivamente l’analisi – introducendo, tra l’altro, un controverso ordinamento di somiglianza comparativa tra mondi possibili – e di spostare l’indagine su un piano metafisico. Resta, in ogni caso, un importante strumento euristico: sebbene non risulti sufficiente a definire in che cosa consiste un nesso causale, un’analisi in termini controfattuali permette di definire una causa in rapporto a un effetto facendo riferimento a scenari ipotetici e loro variazioni, portando a distinguere relazioni causali e non causali.

Le concezioni manipolative

Se le informazioni fornite dagli studi epidemiologici devono servire per prendere decisioni che riguardano la salute dei singoli e/o gruppi di popolazione, una concezione di grande interesse risulterà quella manipolativa. In breve, A è una causa di B se manipolando A si può fare sì che B si verifichi.
Le radici filosofiche di questa prospettiva vengono rintracciate nei lavori di Robin Collingwood18 e Douglas Gasking,19 riprese negli anni Novanta nella agency theory, elaborata da due filosofi australiani contemporanei, Huw Price e Peter Menzies, secondo la quale «un evento A è causa di un evento B, distinto da A, nel caso in cui il verificarsi di A risulti un mezzo efficace mediante il quale un agente libero può provocare il verificarsi di B»20 o, in termini probabilistici, può aumentare la probabilità che si verifichi B. Questa posizione lega indissolubilmente il concetto di causa alle comuni esperienze di agenti nel mondo, e si mantiene agnostica in merito all’esistenza o meno di nessi causali in natura.
L’idea che i nessi causali siano quelli manipolabili trova un buon riscontro in ambito epidemiologico, nel quale gli operatori sanitari ricorrono alla causalità in larga misura come base per l’intervento, mirando anzitutto ad alterare il corso che un certo fenomeno avrebbe spontaneamente. È proprio in quest’ottica che Donald Gillies21 ha presentato la action-related theory of causation: la sua nozione di avoidance action vuole rendere conto degli interventi volti a prevenire, e non solo a produrre, il verificarsi di un certo evento o fenomeno, e permette così di sottolineare come in un’indagine causale in ambito medico entrino in gioco non solo ricerche sulle patologie in sé, ma anche loro importanti implicazioni sulle strategie e politiche di prevenzione indirizzate a popolazioni.22

Verso un orientamento pluralista

Nessuno degli approcci delineati si è imposto come dominante e il dibattito più recente è venuto assumendo un orientamento
pluralista, in cui diverse nozioni-chiave vengono combinate e integrate: i meccanismi, i controfattuali e le manipolazioni possono essere intesi in senso probabilistico; gli interventi si esercitano su meccanismi noti o, a loro volta, servono a svelare la presenza di meccanismi laddove questi non siano ancora conosciuti; i controfattuali possono essere concepiti come strumento euristico per l’individuazione di nessi meccanicistici, e così via.
Un esempio in questa direzione può essere fornito dal riconosciuto rapporto causale tra LDL e malattie coronariche:esistono prove che possiamo ricondurre all’approccio probabilistico (in diversi e molteplici studi epidemiologici, il più famoso dei quali il Framingham study, è stata dimostrata l’associazione statistica tra livelli di LDL e rischio di malattia), prove riconducibili all’approccio meccanicistico (dimostrato dagli studi sui recettori e metabolismo delle LDL di Michael S. Brown e Joseph L. Goldstein) e all’approccio controfattuale e manipolativo (attraverso le evidenze fornite da diversi trial sulle statine e altri farmaci).23
Tra le visioni filosofiche per così dire non monolitiche che possono risultare di maggiore interesse per l’epidemiologia, sono da ricordare quelle di Donald Gillies e di Jim Woodward.
La posizione del primo prospetta un’integrazione tra la manipolazione – che resta al centro della sua visione – e la presenza di nessi causali oggettivi. Woodward24 ha invece elaborato una teoria che ha il suo cardine nella nozione di invarianza nel caso di intervento (invariance under intervention): una relazione tra due variabili X e Y è causale nel caso in cui, se qualcuno intervenisse su X, accadrebbe quanto segue:

  1. verrebbe prodotta una modifica del valore di Y, e
  2. la relazione tra X e Y verrebbe mantenuta invariata.

L’idea di intervento manipolativo viene così coniugata con l’uso di controfattuali, intesi come strumenti per descrivere ipotetici interventi manipolativi. Per essere causale, una relazione non deve essere invariante nel caso di tutti gli interventi possibili; è sufficiente che risulti invariante nel caso di alcuni interventi. Anche la prospettiva meccanicistica viene assorbita in questa visione: i meccanismi causali sono i sistemi governati da generalizzazioni invarianti nel caso di intervento.

I nessi causa-effetto in epidemiologia

Se sul versante prettamente filosofico «possono essere definite numerose relazioni interessanti (meccanicistiche, manipolative, controfattuali…) [e] quando ci viene chiesto di individuare una causa, possiamo fare riferimento a una di queste relazioni in un contesto, ad altre in un altro»,25 anche sul fronte dell’analisi della causalità nelle scienze biomediche «una rassegna dei vari approcci alla causalità che sono stati adottati dai filosofi suggerisce che non ci può essere un unico concetto di causalità. […] È necessario tracciare e intersecare vari di questi approcci per costituire un’analisi della causalità valida per la biologia e la medicina». 26-28 L’epidemiologia sembra non essere estranea a questa tendenza generale, puntando ad attingere a modi differenti di concepire i nessi causa-effetto. A questo proposito, se gli approcci sopra delineati costituiscono senza dubbio le concezioni filosofiche di maggiore successo, non possiamo non ricordare che una delle proposte che ha riscosso più interesse negli ultimi anni è la cosiddetta teoria dei grafi causali. 29,30 I DAG (directed acyclic graphs) , dotati di notevole potere visivo, sono stati sviluppati come modelli per l’inferenza causale e hanno contribuito a promuovere il difficile dialogo tra discipline diverse, quali l’intelligenza artificiale, la statistica, la filosofia e, più recentemente, il diritto, l’economia e, appunto, l’epidemiologia. Non ci si soffermerà qui sui pregi e sui limiti di questa prospettiva, che sembra promettente soprattutto come strumento per l’elaborazione dei disegni di studio. 31 È però importante sottolineare, proprio nell’ottica pluralista menzionata, come anche la teoria dei grafi presenti importanti intersezioni con i quattro fondamentali approcci filosofici sopra presentati. Oltre all’ovvio carattere probabilistico, i DAG si presentano infatti come modelli in grado di rendere conto della causalità meccanicistica, controfattuale e manipolativa. Alcuni lavori recenti hanno evidenziato come nelle sue assunzioni di base la teoria delle reti causali si avvicini alle concezioni manipolative della causalità, interpretabili anche in termini controfattuali; le reti causali, inoltre, possono rappresentare un sistema visto come un insieme di componenti meccanicistiche meccanicistiche, modulari, riconfigurabile tramite interventi locali.32,33 Anche senza pretendere che sia in grado di far «uscire miracolosamente conigli causali da un cappello statistico»,34 sembra al momento opportuno sottoporre la teoria dei grafi a una più approfondita discussione critica, volta a chiarire se i DAG possano costituire qualcosa di più di un efficace strumento per rappresentare le ipotesi causali precedentemente elaborate e le prove a cui le si sottopone, ovvero se costituiscano un’autentica concezione innovativa della causalità e dell’inferenza causale. Crediamo che tale discussione debba svolgersi nel più ampio terreno di confronto tra il dibattito teorico sulla causalità e le esigenze specifiche dell’epidemiologia. L’interesse dell’epidemiologia per la causalità a livello di popolazioni, per la manipolazione e i controfattuali, contrapponibile all’interesse per i nessi causali presenti in singoli individui e per i meccanismi probabilistici, espresso invece prevalentemente dalla fisiopatologia o dalla biologia molecolare, possono invitare a un ripensamento anche della strutturazione della filosofia della medicina, per passare da una «filosofia della medicina » a «filosofie» delle diverse discipline mediche, che ne sottolineino le peculiarità concettuali e metodologiche.

Ringraziamenti: questo contributo nasce da una giornata di studi dal titolo «Alla ricerca delle cause perdute: tra filosofia della scienza e agire dei sistemi sanitari», tenutasi a Bologna presso il Dipartimento di Medicina e sanità pubblica il 30 gennaio 2009. Ringrazio la Dott.ssa Laura Dallolio, la Prof.ssa Maria Pia Fantini, il Dott. Ron Gray e il Dott. Carlo Perucci per i preziosi stimoli, commenti e indicazioni fornitimi.

Bibliografia

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  12. Quest’ultima è una proposizione controfattuale. Per una trattazione dei principali temi e problemi legati ai condizionali controfattuali, si veda: Pizzi C. I condizionali controfattuali. In: Floridi L (ed). Linee di ricerca. SWIF 2006, pp. 785-823.
  13. Per una trattazione filosofica dell’uso dei controfattuali in epidemiologia, si veda: Parodi A. Un approccio controfattuale all’epidemiologia. Epidemiol Prev 1997; 21; 14-18.
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  16. Si veda Rothman K, Greenland S, Lash T (eds). Modern epidemiology (III ed.). Philadelphia, Lippincott Williams & Wilkins 2008; cap. 4, in partic. p. 54.
  17. Si veda anche Susser E, Schwartz S, Morabia A, Bromet E. Psychiatric epidemiology. Oxford, Oxford University Press, 2006, cap. 4-5.
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