Mortalità dopo infarto miocardico: quanto la rete locale di organizzazione dell’assistenza conta nell’interpretazione di indicatori dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali
Il Piano nazionale esiti (PNE) ha valutato la performance delle strutture ospedaliere italiane rispetto a vari indicatori, tra cui la mortalità a 30 giorni dal ricovero per infarto miocardico acuto. Il risk adjustment viene effettuato utilizzando dati demografici e comorbidità ottenute dagli stessi dati contenuti nelle schede di dimissione ospedaliera (SDO) del ricovero indice e dei due anni precedenti. La classificazione ICD-9- CM 410.7* del sottotipo NSTEMI (infarto miocardico senza elevazione del tratto ST) di infarto, di minore severità, non è stata utilizzata per la nota variabilità d’uso di questa codifica. Abbiamo tuttavia riscontrato che il rischio relativo di morte aggiustato rispetto alla media nazionale, calcolato dal Piano per ogni struttura, è negativamente associato alla percentuale di infarti NSTEMI trattati dalle strutture toscane e fiorentine, coerentemente con l’ipotesi che una selezione del paziente viene effettuata dalla rete dell’emergenza allo scopo di inviare il paziente con infarto STEMI (infarto miocardico con elevazione del tratto ST) alle strutture con laboratorio di emodinamica e attività di riperfusione (24 ore per 7 giorni). I dati clinici individuali dello studio AMI-Florence, condotto su 3.200 pazienti con infarto nella Provincia di Firenze nel periodo aprile 2008-marzo 2010,mostrano che la codifica 410.7* è sottoutilizzata. L’analisi, basata sulla diagnosi di dimissione SDO (410.7*vs. altri codici 410*), non spiega le differenze di mortalità tra le strutture fiorentine, a differenza di quanto avviene utilizzando una classificazione della tipologia di infarto (STEMI/NSTEMI) effettuata sulla base della documentazione clinica dello studio AMI-Florence.