L’evoluzione dell’epidemiologia nutrizionale in Europa
Ripercorrendo l’evoluzione della ricerca su nutrizione e malattie croniche, in particolare su nutrizione e cancro, nei primi dieci anni del secolo, emergono alcuni importanti eventi o progetti che preludono a una grande espansione della ricerca in nutrizione, con un superamento della visione riduzionistameccanicistica che ha caratterizzato il mondo della nutrizione del secolo scorso.
Nel 2007 è stata pubblicata la seconda edizione della revisione sistematica della letteratura scientifica su nutrizione e cancro promossa dal World Cancer Research Fund (www.dietand cancerreport.org), con centinaia di metaanalisi e una sintesi di raccomandazioni evidence-based (mantenersi snelli e in forma, evitare bevande zuccherate e carni conservate, limitare cibi ad alta densità calorica, carni rosse, alcol, sale, e basare l’alimentazione quotidiana prevalentemente su cibi di provenienza vegetale non industrialmente raffinati, con un’ampia varietà di cereali integrali, legumi, verdure e frutta, allattare i figli, e ottenere tutti i nutrienti di cui necessitiamo dal cibo piuttosto che da integratori alimentari). Il ciclopico lavoro di revisione del WCRF ha mostrato come la ricerca nutrizionale sia stata ancora prevalentemente riduzionista, studiando alimento per alimento, nutriente per nutriente, con scarsa capacità di analizzare le sinergie e lo stile alimentare nel suo complesso. In pratica abbiamo prevalentemente seguito il modello delle malattie carenziali il cui studio ha santificato il successo positivista della scienza della nutrizione all’inizio del secolo scorso. Già si intravede, tuttavia, un promettente approccio sistemico che considera piuttosto stili alimentari (per esempio occidentale vs mediterraneo) o comunque indici (per esempio carico glicemico della dieta, sindrome metabolica) che rispettano la complessa interazione tra fisiologia umana e proprietà biologiche dei cibi. Le raccomandazioni WCRF, sono fruibili in sanità pubblica. Il WCRF anzi ha prodotto anche una serie di raccomandazioni evidencebased per le organizzazioni internazionali, i governi, le amministrazioni locali, le scuole, le imprese, e la società civile (WCRF policy report), perché la prevenzione è responsabilità di tutti e occorre agire simultaneamente su più fronti per giungere a prevenire quel terzo dei tumori maligni che potrebbero essere prevenuti applicando quello che si conosce su nutrizione e cancro.
Una seconda caratteristica della letteratura nutrizionale di questo primo decennio del secolo sono il gran numero di risultati del progetto EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and nutrition), una coorte di 500.000 persone di dieci Paesi europei (http://epic.iarc.fr). La logica di EPIC si basava su una serie di principi che sembravano molto promettenti: occorre uno studio prospettico per raccogliere informazioni e campioni biologici prima della comparsa della malattia, e di grandi dimensioni per ottenere risultati statistici solidi anche con strumenti di indagine nutrizionale, quali i questionari, inevitabilmente affetti da importanti errori di misura; occorre lavorare con popolazioni con abitudini alimentari molto diverse se si vogliono evidenziare differenze di rischio; occorrono biomarcatori di consumo alimentare che consentano di misurare l’esposizione con maggiore validità; occorre disporre di campioni di DNA per valutare l’interazione della dieta con i polimorfismi genetici e con i profili epigenetici.
I risultati di EPIC hanno confermato il ruolo del consumo di carni rosse, in particolare di carni conservate, nell’insorgenza del cancro gastrico, che invece è associato a un basso livello plasmatico di vitamine antiossidanti; hanno confermato il rischio da carni rosse e conservate e la protezione da fibre vegetali per il cancro del colon, e hanno dimostrato che il rischio è più alto in chi ha un basso consumo di calcio e un basso livello plasmatico di vitamina D; hanno confermato la protezione da verdura e frutta per il cancro del polmone e delle prime vie aereodigestive; hanno confermato il rischio da consumo di bevande alcoliche e, in grado minore, di grassi saturi, per il cancro della mammella, e il rischio da latticini per il cancro della prostata. Questi risultati ancora riflettono un approccio prevalentemente riduzionista, ma sempre più compaiono risultati di studi basati su indicatori che rispettano la complessità della dieta. Più studi hanno riscontrato che un pattern mediterraneo di dieta è associato a un significativo minor rischio di carcinoma mammario e che la sindrome metabolica (SM) è associata a un maggior rischio di carcinomi della mammella, dello stomaco, del colon, del fegato, del rene. La SM, detta anche sindrome X, sindrome da resistenza insulinica, o il ”quartetto mortale” è definita dalla presenza di tre o più delle seguenti componenti: ipertensione, iperglicemia, ipertrigliceridemia, bassi livelli plasmatici di colesterolo HDL, e adiposità addominale. Altre caratteristiche includono la resistenza insulinica, l’iperuricemia, e l’elevata concentrazione plasmatica di molecole dell’infiammazione. La SM è diventata il fattore di rischio a più alta prevalenza per lo sviluppo delle malattie croniche “occidentali”. Originariamente associata al diabete e alle malattie di cuore, è sempre più chiaro che costituisce anche un fattore di rischio per la demenza di Alzheimer, le artriti, la steatosi e la cirrosi epatica non alcolica, la gotta, la psoriasi. Studi recenti la hanno riscontrata anche associata a una maggiore incidenza di metastasi nei pazienti operati di carcinomi del colon o della mammella. La SM dipende dallo stile di vita sedentario e dalla dieta ricca di grassi, specie saturi e idrogenati, di proteine, di carboidrati raffinati, di bevande zuccherate, di bevande alcoliche e di sale che caratterizzano la dieta “occidentale”, mentre studi clinici controllati hanno dimostrato che la dieta mediterranea è protettiva e anzi può far regredire la SM. Questi studi, pur con indicatori grossolani, cercano di tener conto della complessità della relazione fra la fisiologia umana e l’infinita varietà dei componenti della dieta, e ottengono risultati che sarebbero sfuggiti all’analisi dei singoli componenti.
Un ulteriore obiettivo di EPIC è di studiare il ruolo di polimorfismi genetici nell’insorgenza delle malattie croniche e la loro interazione con il cibo. I primi risultati sui polimorfismi dei geni che controllano la sintesi, la biodisponibilità e il metabolismo degli ormoni sessuali e dell’asse GH/IGF, in relazione all’incidenza dei tumori endocrinodipendenti, sono stati deludenti. Oggi si stanno facendo ingenti investimenti, in consorzio con altre grandi coorti, per analizzare l’intero genoma e sta crescendo l’interesse per studiare i determinanti epigenetici delle malattie. Ci sono sempre più prove, infatti, che sia l’apporto calorico totale sia i singoli nutrienti e specifiche sostanze chimiche della dieta influenzino il funzionamento dei nostri geni, attivandoli o silenziandoli. Migliaia di sostanze che assumiamo con la dieta interagiscono con decine di vie genetiche la cui attivazione o disattivazione può favorire o proteggerci dallo sviluppo di malattie croniche. È ragionevole ipotizzare, infatti, che le caratteristiche genetiche ed epigenetiche dell’uomo si siano evolute e tuttora si evolvano in funzione dei cambiamenti ambientali e della disponibilità di cibo. Il continuo fallimento degli studi di chemioprevenzione con l’integrazione (o la sottrazione) di singole sostanze alimentari corroborano il punto di vista che per preservare la salute occorre agire sullo stile di vita complessivo piuttosto che affidarsi a singole sostanze miracolose. Il successo occasionale di studi osservazionali su singole sostanze alimentari potrebbe riflettere più il loro essere indicatori di uno stile di vita o di un quadro metabolico che non una loro specifica attività fisiologica.
Un’importante ulteriore evoluzione dell’epidemiologia nutrizionale e comportamentale dell’ultimo decennio è stato l’avvio di sperimentazioni cliniche controllate sugli effetti di un cambiamento globale dello stile alimentare, con o senza promozione dell’attività fisica. Piccole sperimentazioni volte a valutare gli effetti sul quadro ormonale e metabolico, o su altri indicatori come la densità mammografia o la SM, ma anche grandi studi volti a valutare gli effetti della dieta sull’incidenza o sulle recidive del cancro. Questi studi riconoscono la complessità delle relazioni fra stile di vita e malattie e accettano pragmaticamente che l’interpretazione meccanicistica dei risultati non sarà necessariamente semplice. Che cosa ha cambiato cosa quando si cambiano tante cose? Gli studi DIANA di intervento alimentare per la prevenzione del carcinoma della mammella, per esempio (www.istituto tumori.mi.it/istituto/cittadino/CascinaRosa.asp), con un cambiamento alimentare complessivo basato sulla tradizione mediterranea e sulla filosofia macrobiotica hanno ottenuto un miglioramento significativo del quadro ormonale e metabolico associato a un maggior rischio di cancro. Le partecipanti, tuttavia, hanno perso peso, e gli effetti ormonali e metabolici erano in gran parte confinati alle donne che avevano perso più peso, per cui è difficile capire quanto dell’effetto raggiunto dipenda semplicemente dalla restrizione calorica indotta da una dieta prevalentemente vegetale basata su alimenti non industrialmente raffinati e quindi molto saziante, o piuttosto dall’insieme degli effetti epigenetici delle sostanze presenti nei cibi non impoveriti dalla raffinazione, o dalla mancanza degli stimoli proinfiammatori che forniscono i cibi di provenienza animale. Paradossalmente l’ipotesi più parsimoniosa è che tutti questi fattori abbiano interagito. L’ipotesi alternativa che si tratti solo di moderata restrizione calorica, comunque ottenuta, mantiene tuttavia la sua forza. Decine di esperimenti animali nel corso dell’ultimo secolo (il primo pubblicato nel 1909, l’ultimo, su primati, nel 2009) hanno coerentemente dimostrato che riducendo l’apporto calorico si prolunga la vita e si riduce l’incidenza di malattie croniche. C’è ragione di ritenere che ciò valga anche per l’uomo. Sono in corso di avvio studi che utilizzano la metformina, un farmaco antidiabetico i cui effetti di attivazione genica mimano quelli della restrizione calorica, associata o meno a raccomandazioni alimentari, per la prevenzione del cancro e delle sue recidive. Questi nuovi studi potranno confermare l’importanza dello stile di vita e alimentare nella prevenzione delle malattie croniche e anche chiarirne il meccanismo, ma non è necessario attenderne i risultati per promuovere azioni di sanità pubblica. L’enormità del fallimento delle politiche preventive, o della mancanza di politiche preventive, sull’obesità e la SM è sotto gli occhi di tutti. La responsabilità è dei governi, dell’industria alimentare e della comunicazione, e anche degli accademici della nutrizione.
Trends of Nutritional Epidemiology in Europe
Modifiable health behaviours are the leading drivers of morbidity, mortality and health costs. Few studies, however, have addressed the issue whether or not modifying behaviour may result in improved health. Chemoprevention studies with single nutrients and dietary intervention studies that have restricted the consumption of single nutrients have been largely inconclusive. The history of nutritional epidemiology of chronic diseases in the last decade, however, has been marked by a few key events which suggest that nutritional science is on the verge of a major change from the mechanistic reductionist approach which has led to important steps forward in the last century, to a more comprehensive and holistic approach which will take into account the complexity of food synergy.
An outstanding event of the decade has been the monumental Systematic Literature Review on Diet Nutrition and the Prevention of Cancer promoted by the World Cancer Research Fund (WCRF) (www.dietand cancerreport.org), which is being continuously updated. Hundreds of metaanalyses and mechanistic considerations have been summarized by a restricted panel into ten recommendations, which include avoiding weight gain, sedentary lifestyle, and the consumption of sugary drinks and processed meat, limiting caloriedense food, red meat, alcoholic beverages and salt, breast feeding, and taking all necessary nutrients from food instead of supplements. TheWCRF also produced public health relevant evidencebased recommendations for international organizations, governments, local administrations, industries, schools and the society itself (theWCRF Policy Report), because prevention concerns everybody.
A second major achievement of the decade has been the publication of hundreds of results from prospective cohort studies, mainly from the European Prospective Investigation into Cancer and nutrition (the EPIC Study), the huge prospective study of half a million volunteers from 10 countries, who provided lifestyle information and samples of serum, plasma, red blood cells and buffy coat (http://epic.iarc.fr). EPIC was designed in the late eighties with the aim of allowing statistically powerful analyses profiting from the wide variation of dietary habits in Europe, from the Mediterranean Sea to the Polar circle, and taking advantage of dietary and hormonal biomarkers to help overcome the inherent difficulty of measurement errors in dietary questionnaires.
Major results include confirmation of the role of red and processed meat and the protection from plasma antioxidant vitamins in stomach cancer; protection from vegetables and fruits for lung and head and neck cancers; the risks of red and processed meat and alcohol, and the protection of fibre, fish, calcium, and of high plasma levels of vitamin D for colon cancer; the risk of alcohol and, to a minor extent, saturated fat for breast cancer; and of dairy products for prostate cancer. Most of these results, as those summarized by the WCRF review, still reflect the simplistic mechanistic approach by single foods or nutrients. An increasing number of papers, however, are being published, which use dietary patterns or dietary or metabolic scores. Several studies, for instance, have shown a significant protection of the Mediterranean diet (MD) for breast cancer, stomach cancer, cardiovascular diseases and total mortality.We have recently shown that metabolic syndrome (MS) is associated with breast cancer, and others have shown its association with liver, colon, pancreas, bladder and kidney cancers. Conventionally defined by the presence of at least three of the following: hypertension, hyperglycemia, hypertriglyceridemia, low plasma HDLcholesterol levels, and large waist circumference, MS is the most prevalent risk factor for “western” chronic disease. Other prominent characteristics of MS, which was also called insulin resistance syndrome, syndrome X, and the deadly quartet, include obesity, hyperinsulinemia, hyperuricemia, hypercholesterolemia, elevated markers of chronic inflammation, and, in women, hyperandrogenic status. Originally associated with diabetes and cardiovascular disease, in the last decade it has become clear that MS also contributes to Alzheimer’s disease, nonalcoholic fatty liver disease and cirrhosis, gallstones, arthritis, gout and psoriasis. Studies also showed MS was associated with the occurrence of metastasis in breast and colon cancer patients. MS results from dietary patterns characterized by caloriedense food, saturated fats, trans fatty acids, alcohol, salt, excess protein and a sedentary lifestyle, while MD is protective, and actually can make MS regress. Nutrient or food specific analyses would not be able to capture such relationship. Surprisingly enough simple scoring systems have been as informative as sophisticated statistical techniques of food patterning. These studies are actually addressing the interaction between human physiology and the complexity of food chemistry. A further aim of EPIC was to study the interaction between food habits and genetic polymorphism in the occurrence of cancer and other chronic disease. Hypothesisdriven studies (e.g. on the gene pathways involved in the synthesis, bioavailability and metabolism of sex hormones and of GHIGF axis with respect to endocrinerelated cancer) have been largely unrewardinginconclusive. Major investments are presently ongoing on genomewide technologies, and interest is growing in exploring epigenetic markers. There is evidence, in fact, that total calorie intake and specific nutrients and photochemicals affect human physiology through gene expression and silencing. Thousands of bioactive chemicals are likely to interact with dozens of genetic pathways potentially affecting the risk of chronic disease. It seems reasonable to hypothesize, in fact, that human genetic and epigenetic patterns have evolved in parallel with environmental changes and food availability. The failure of chemoprevention studies based on single nutrients published in the decade have corroborated the view that preserving human health requires a comprehensive approach rather than magic preventive bullets. The occasional success of observational studies of single agents may reflect their being markers of dietary or metabolic patterns rather that their specific physiologic activity.A further important evolution of lifestyle epidemiology in recent years has been the planning and the start of (mostly small scale or pilot) randomized trials of comprehensive lifestyle modification, including diet, calorie restriction and physical activity, with surrogated endpoints such as hormonal levels, metabolic patterns, mammographic density, or major outcomes such as cancer recurrence or cancer incidence. Such studies implicitly recognise the complexity of the relationship of lifestyle and dietary components with human physiology, and accept that the mechanistic interpretation of the results will not necessarily be straightforward.The DIANA intervention studies with macrobiotic and Mediterranean diet in postmenopausal women, for instance, obtained significant improvement of hormonal and metabolic parameters associated with breast cancer and breast cancer recurrences (www.istitutotumo ri.mi.it/istituto/cittadino/CascinaRosa.asp). Results obtained, however, showed that significant weight loss and the hormonal effect was largely confined to women who lost more weight, leaving unanswered the question if the effect was just due to the calorie restriction implicit in a mostly vegetarian diet based on highly satiating unrefined foods, or if the increased consumption of specific phytochemicals, e.g. phytoestrogens, also played a role.
Paradoxically the most parsimonious hypothesis is that all these factors cooperated to obtain the metabolic changes. The alternative hypothesis that moderate caloric restriction was the single determinant, however, maintains its strength. Dozens of experiments over the last century – the first being published in 1909, the last, on primates, in 2009 – proved beyond reasonable doubt that moderate calorie restriction prolongs life and reduces the incidence of cancer and other chronic diseases. There is no reason to think that this could not work or man. Studies are starting on the use of metformin, a calorie restriction mimetic, alone or together with lifestyle recommendations, to prevent cancer or cancer recurrences. Such studies may eventually provide further evidence of the importance of improving healthrelated behaviours, but are not strictly necessary to take public health action. With overweight prevalence topping two thirds of adults and one third of children in several western populations, the enormity of public health failure, and the responsibility of governments, of the food and advertising insulin, and of the same academic nutritionists who should inform the governments, is selfevident.