L'immaginario epidemiologico in Campania
Lo dimostrano chiaramente le interviste sull’immaginario epidemiologico raccolte nell’ambito del progetto Sebiorec: anche in Campania, anche al confine tra le province di Napoli e Caserta – dove il tema dei rifiuti e la devastazione del territorio assumono forme del tutto inusitate rispetto a ogni altra parte d’Europa – c’è una diffusa, forte, sacrosanta domanda di partecipazione alla gestione dell’ambiente e della salute. La richiesta impellente di democrazia ecologica deliberativa. Il bisogno urgente che venga soddisfatta quella costellazione di diritti emergenti nella «società della conoscenza» e nella «società del rischio» che qualcuno ha chiamato «diritti di cittadinanza scientifica». Questa domanda della popolazione campana, al netto delle specificità culturali locali, è del tutto simile a quella delle popolazioni di ogni altra regione d’Europa. Il contesto in cui questa domanda di partecipazione si esprime, però, è affatto differente. Non solo e non tanto per quel vero o presunto ordito sociale premoderno di natura familistica che in tutto il Mezzogiorno e in Campania si sostituirebbe a una moderna società civile.Ma anche e soprattutto per alcune cause strutturali che proviamo a elencare. La Campania è infatti una regione unica in Europa – per molti versi diversa anche dalle altre regioni del Mezzogiorno d’Italia – per il combinato disposto di almeno cinque fattori, peraltro non indipendenti tra loro.
- La presenza di una criminalità organizzata diffusa che, in molte zone, metropolitane e non, soprattutto tra le province di Napoli e Caserta, si fa antistato e fa del controllo illegale del territorio, nelle sue diverse dimensioni (militare,ma anche economico, sociale e persino culturale) una delle leve principali del suo potere e una delle fonti principali della sua ricchezza.
- Un’enorme disgregazione socioeconomica, resa ancora più acuta, nell’ultimo ventennio, da un processo di deindustrializzazione (fino all’inizio degli anni Novanta Napoli era la quinta città industriale d’Italia, oggi è un deserto in cui sopravvivono ben poche oasi produttive) che ha avuto pochi pari in Europa e che, a differenza di altre aree del Vecchio Continente che hanno visti chiudere le vecchie industrie manifatturiere, non ha visto realizzarsi alcun serio progetto di politica di riqualificazione e di ricostruzione del tessuto economico.
- Un’enorme densità demografica, che rende almeno una parte della Campania – in particolare l’area a cavallo tra le province di Napoli e Caserta – un’unica città “in-finita”, una megalopoli “in-terminata” in cui non c’è soluzione di continuità tra realtà urbana e realtà rurale; in cui si affastellano senza alcun ordine – senza più ordine, perché in passato, anche in un recente passato, quell’ordine in qualche modo esisteva – metropoli, paesi e campagne; case, capannoni, strade e terre coltivate; cemento, campi, discariche abusive e poi ancora cemento, in una condizione di caos e, spesso, di degrado che è, ancora una volta, pressoché unica in Europa.
- La presenza, contemporanea, di due grandi flussi migratori, l’uno in entrata (in genere di extracomunitari), l’altro in uscita (con un numero molto alto di migranti laureati), che si intrecciano in maniera a loro volta caotica e che contribuiscono ulteriormente a lacerare il già lacero tessuto sociale.
- Ultima,ma non ultima, la risposta autoritativa dello Stato che, nelle sue varie articolazioni, ora in maniera esplicita (attraverso leggi e decreti) ora in maniera implicita (attraverso il concreto operare o le omissioni delle burocrazie) inibisce di fatto e a ogni livello la domanda di partecipazione, di trasparenza e persino di semplice informazione. L’autoritarismo dello Stato e delle sue burocrazie è stato di recente solo scalfito dell’evoluzione della vicenda politica nazionale e locale.