Interventi
04/08/2014

Contaminazione da arsenico in Italia: un commento sullo studio SEpiAs

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Introduzione

Il valore del progetto SEpiAs (Studi su marcatori di esposizione ed effetto precoce in aree con inquinamento da arsenico)1 sta nell’aver affrontato il tema della contaminazione da arsenico in Italia, e nell’averlo fatto in modo sistematico e comprensivo di varie realtà e scenari presenti nella Penisola. Un altro punto di forza sta nell’aver condotto analisi che si addentrano nei molteplici aspetti dell’azione dell’arsenico, in particolare nei suoi meccanismi biologici. Un limite sta invece nell’aver basato la valutazione del rischio su una rassegna incompleta delle conoscenze disponibili.2 Manca, inoltre, un’analisi della distribuzione di arsenico nelle acque e la definizione di indici di esposizione a livello di popolazione che rappresentino l’ingestione complessiva di arsenico basandosi sull’integrazione di dati su acqua, urina, e da questionario. Infine, la scelta di basare il processo di comunicazione dei risultati sul coinvolgimento dei medici di famiglia, valida per quanto riguarda la comunicazione di dati individuali, andrebbe affiancata da una discussione della comunicazione di dati a livello di esposizione della popolazione con agenzie responsabili della gestione dell’acqua (Comuni e agenzie di servizi).
Dato che la pubblicazione dei risultati dello studio SEpiAs già ne conferma il valore, nel commento prenderò in esame solo alcuni limiti.

Quale letteratura?

In primo luogo, la scelta di concentrare la rassegna della letteratura sugli effetti dell’arsenico  a concentrazioni basse e moderate è legittima, ma arriva a conclusioni che non appaiono basate sull’evidenza. Quando la rassegna contenuta in SEpiAs afferma che «L’insieme delle evidenze su esposizioni a concentrazioni da basse a moderate di arsenico nelle acque potabili (0-150 µg/l) non è dimostrativo di un’associazione con il cancro della pelle, della vescica e del sistema respiratorio»,1 arriva a una conclusione opposta a quelle a cui si può arrivare quando si consideri tutta l’evidenza a disposizione. 
Per il cancro della pelle, gli autori ritengono che uno studio,3,4 solo perché nominalmente di coorte, (ma i cui risultati possono essere attribuiti interamente ai limiti del disegno in quanto confronta due tipi di area le cui differenze importanti vanno ben oltre l’esposizione all’arsenico) sia più informativo di uno studio caso-controllo che invece fornisce la provata validità della selezione di casi e controlli e informazioni individuali validate sull’esposizione lungo tutta la durata della vita dei partecipanti (in uno dei pochi casi al mondo dove ciò è stato possibile).
Per il cancro alla vescica, una recente metanalisi5 mostra che, a basse concentrazioni, i risultati per alcune sottocategorie della popolazione (per le quali solo studi comprendenti informazioni individuali sul fumo possono chiarire il rischio),  non sono in accordo con le stime basate su estrapolazione, ma lo sono per quanto riguarda tutta la popolazione esposta a concentrazioni maggiori di 50 µg/l.
In generale, la difficoltà di condurre studi validi non significa che le osservazioni dirette a basse concentrazioni possano costituire l’unica base per concludere se esiste un rischio, ma anzi che esse devono essere considerate assieme ai risultati di modelli biostatistici validi per le malattie in oggetto. Tali modelli, su cui si basa il valore guida di 10 µg/l promosso dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), non sono minimamente invalidati dalla rassegna pubblicata in Italia. Per concentrazioni di arsenico minori di 100 µg/l la stima del rischio basata su questi modelli rimane il riferimento più valido su cui basare l’azione di sanità pubblica, almeno fino a quando una nuova valutazione veramente complessiva sarà disponibile. Ma non si può ignorare la circostanza che, ogniqualvolta si tenti di rivedere il rischio di cancro attribuibile all’arsenico, vi è consenso sul fatto che occorra usare valori guida inferiori.

Quale esposizione?

In secondo luogo, è da notare il ruolo dell’esposizione: la scelta di misure per documentare la prevalenza dell’esposizione della popolazione deve essere  adatta allo scopo e varia a seconda che si voglia:

  • stabilire l’esistenza del rischio con studi epidemiologici eziologici, oppure:
  • stabilire l’entità del rischio con studi di prevalenza dell’esposizione, eventualmente seguiti o combinati con studi di intervento.

Nel primo caso, il  periodo di esposizione considerato dipende dalla malattia di interesse (per i tumori non si possono ignorare i primi venti anni di vita), e può valer la pena di spendere più risorse allo scopo di raffinare la stima dell’esposizione anche per periodi passati rispetto ad aumentare il numero di partecipanti inclusi nello studio.6 Inoltre, per raggiungere l’obiettivo di una valutazione complessiva dell’esposizione ad arsenico anche da alimenti si potrebbe applicare l’approccio dell’epidemiologia nutrizionale. Si tratta di considerare l’arsenico metodologicamente come un micronutriente, e quindi unire la valutazione del contenuto dei vari elementi contaminanti presenti negli alimenti (analisi chimiche su campioni raccolti nel corso di indagini su prodotti alimentari di cui si fa un uso corrente nell’alimentazione della popolazione) con indagini di frequenza dell’ingestione di tali alimenti. L’epidemiologia italiana fornisce molti dei mezzi necessari.7,8 Solo l’integrazione di tali conoscenze nell’ambito di nuovi studi epidemiologici potrà far ottenere una stima dell’intake di arsenico inorganico da alimenti a livello di popolazione, e della sua importanza per la salute. Un tentativo parziale in questa direzione è stato condotto nello studio in Romania, Slovacchia e Ungheria, nel quale l’approccio nutrizionale fu applicato, ma finora analizzato limitatamente all’ingestione di liquidi.9
Nel secondo caso prospettato, in cui lo scopo dello studio sull’esposizione è di misurare la prevalenza di un’esposizione a un fattore in cui (basandosi sulla valutazione del rischio condotte con i criteri comprensivi su cui si basa la linea guida di 10 µg/l) si dà per acquisito che vi siano effetti sulla salute, e che si intenda e si voglia ridurre, quindi uno studio su esposizione presente (e futura), uno sforzo di ricostruire l’esposizione presente in varie regioni è più importante.
Per tale scopo, partire da una stima dell’esposizione dall’acqua (compresa acqua usata per cottura degli alimenti) può essere fondamentale per ottenere una prevenzione basata su conoscenze eziologiche già in nostro possesso. Non è necessario attendere i risultati di nuovi studi epidemiologici eziologici per procedere a studi del secondo tipo (per il secondo scopo) e avviare così attività di prevenzione. Anzi, questo consentirà un approccio graduale all’identificazione di interventi fattibili ed efficaci.


Abbiamo gia' sufficienti ragioni per ridurre l'arsenico e il conseguente rischio

Se si applicassero già da ora alla gestione dell’acqua le conclusioni delle rassegne su cui si basa l’OMS per le sua linea guida di 10 µg/l, si otterrebbe una riduzione della concentrazione di arsenico nell’acqua potabile sufficiente a ridurre notevolmente il rischio di tumori. Allo stesso tempo si otterrebbe la riduzione del rischio di tante altre malattie attribuibili all’arsenico per le quali non esiste un consenso sulla valutazione quantitativa del rischio altrettanto ampio di quello raggiunto per i tumori, ma che sono cionondimeno causate dall’esposizione ad arsenico, in primo luogo le malattie cardiovascolari, ma anche respiratorie, endocrine e dello sviluppo. In seguito, ulteriori valutazioni del rischio da parte dell’OMS potranno anche tener conto delle nuove evidenze di studi eziologici condotti in Italia, e questo rafforzerà la consapevolezza del grande beneficio che si starebbe già ottenendo se un’opera di riduzione dell’esposizione fosse già in corso. Tuttavia, basandosi sulle informazioni disponibili, esistono già sufficienti ragioni per intervenire e fornire acqua potabile con concentrazione di arsenico inferiore ai 10 µg/l.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia

  1. Bustaffa E, Minichilli F, Bianchi F, (eds). Studi su marcatori di esposizione ed effetto precoce in aree con inquinamento da arsenico: metodi e risultati del progetto SEPIAS. Epidemiol Prev 2014; 38(3-4) suppl 1:1-94.
  2. Ivi, pp. 14-24.
  3. Baastrup R, Sørensen M, Balstrøm T et al. Arsenic in drinking-water and risk for cancer in Denmark. Environ Health Perspect 2008;116(2):231-7.
  4. Leonardi G, Vahter M, Clemen F et al. Inorganic arsenic and basal cell carcinoma in areas of Hungary, Romania, and Slovakia: a case-control study. Environ Health Perspect 2012;120(5):721-6.
  5. Tsuji JS, Alexander DD, Perez V, Mink PJ. Arsenic exposure and bladder cancer: quantitative assessment of studies in human populations to detect risks at low doses. Toxicology 2014;317:17-30.
  6. Armstrong BG. Optimizing power in allocating resources to exposure assessment in an epidemiologic study. Am J Epidemiol 1996;144(2):192-7.
  7. Franceschi S, Barbone F, Negri E et al. Reproducibility of an Italian food frequency questionnaire for cancer studies. Results for specific nutrients. Ann Epidemiol 1995;5(1):69-75.
  8. Decarli A, Franceschi S, Ferraroni M et al. Validation of a food-frequency questionnaire to assess dietary intakes in cancer studies in Italy. Results for specific nutrients. Ann Epidemiol 1996;6(2):110-8.
  9. Hough RL, Fletcher T, Leonardi GS et al. Lifetime exposure to arsenic in residential drinking water in Central Europe. Int Arch Occup Environ Health 2010;83(5):471-81.
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