Editoriali
26/11/2012

Volumi di attività ed esito delle cure

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«Le risorse economiche sono e saranno sempre finite e dovrebbero essere usate per offrire in maniera equa alla popolazione interventi sanitari la cui efficacia sia stata dimostrata all’interno di studi scientificamente validi» affermava quarant’anni fa Archie Cochrane1 e molto da allora è stato fatto in termini di produzione di conoscenze scientifiche.

Da oltre vent’anni la Cochrane Collaboration produce revisioni sistematiche (RS) in diversi ambiti clinici sull’efficacia degli interventi sanitari, un quinto delle 2.500 revisioni sistematiche pubblicate annualmente, la maggioranza delle quali, circa il 70%, riguardano interventi terapeutici.

Annualmente Clinical Evidence sintetizza lo stato delle conoscenze disponibili da RS, trial e studi osservazionali sull’efficacia degli interventi sanitari per diverse condizioni cliniche. Nel 2005 il 37%degli interventi studiati risultava efficace o probabilmente efficace, per il 47%non vi era alcuna prova di efficacia.2 Questa proporzione non è diminuita nel tempo, anzi nel 2011 la proporzione degli interventi privi di dimostrazione di efficacia era del 51%.

Condizioni per le quali esistono prove sufficienti di associazione tra volume di attività ed esito delle cure

Di fronte a tale grado di incertezza delle conoscenze scientifiche è necessario interrogarsi su come le prove disponibili possano supportare scelte di politica sanitaria. Al di là degli interventi di efficacia sconosciuta, gli stessi interventi di provata efficacia sperimentale, potrebbero dimostrarsi inefficaci nelle condizioni della pratica clinica corrente o in specifiche situazioni organizzative. Lo studio controllato randomizzato, il gold standard per la valutazione di efficacia, se da una parte garantisce la massima omogeneità tra i gruppi a confronto rispetto a tutti i potenziali confondenti, dall’altra esclude la possibilità di indagare il ruolo che potrebbero avere i più diversi modificatori di effetto.

Per definizione, e rispetto all’obiettivo principale che si pongono, gli studi valutativi, siano essi RCT o studi osservazionali, definiscono criteri di selezione che dichiarano implicitamente quali possano essere potenziali modificatori di effetto: esclusione di alcune fasce di età, comorbidità, specifici setting organizzativi. Numerosi sono i fattori che possono ridurre l’efficacia di interventi di dimostrata efficacia e l’individuazione di questi fattori è cruciale quando si intende trasferire tali interventi nella pratica. Tra questi, il livello socioeconomico, il periodo temporale, le caratteristiche organizzative, strutturali e di processo dei sistemi e dei servizi sanitari; i volumi di attività per esempio sono caratteristiche misurabili di processo che possono avere un impatto rilevante nel modificare l’efficacia degli interventi.

Cosa si sa del rapporto volume-esito

Il volume di attività come determinante dell’esito delle cure è stato studiato in numerose condizioni. Già nel 2005 pubblicavamo3 una rassegna di RS che hanno studiato l’associazione tra volumi di attività ed esiti delle cure; prossimamente Epidemiologia & Prevenzione pubblicherà un aggiornamento al 2012. Possiamo anticipare che almeno sugli interventi elencati nel riquadro qui a fianco esistono prove di associazione tra volumi ed esiti. Si tratta necessariamente di evidenze da studi osservazionali. Le criticità nell’interpretazione e generalizzabilità dei risultati sono numerose. La qualità degli studi inclusi nelle revisioni, la forza dell’associazione e i fattori confondenti considerati nell’analisi variano. La maggioranza delle stime deriva da studi trasversali, con misura contestuale di esito ed esposizione, soggetti quindi a bias ecologico; pochi o nessuno misurano gli effetti sugli esiti dei cambiamenti dei volumi di attività. Gli studi portano a definire una relazione volume-esiti, talora la sua forma, senza però arrivare a definirne soglie. La stessa misura dell’esposizione è affetta da distorsioni, si tratta di volume di struttura, volume di reparto, volume del chirurgo/operatore. Lo stesso valore puntuale della stima di effetto ha significati diversi in modelli organizzativi diversi. Esiste un problema di misclassificazione dell’esposizione non sempre controllabile, molte delle misure di volume infatti possono essere proxy di altri determinanti.

Come richiamato in premessa, i sistemi sanitari operano per definizione in un contesto di risorse limitate, ancor più quando le società e i governi scelgono di ridurre le risorse destinate al sistema sanitario. In simili condizioni la razionalizzazione dell’organizzazione dei servizi basata sui volumi di attività può rendere disponibili risorse per migliorare l’efficacia degli interventi. L’eliminazione di servizi e provider a basso volume di attività può contribuire a ridurre le ineguaglianze di accesso a prestazioni inefficaci.

Il parlamento ha approvato quest’anno la legge 135/2012, nota come spending review che prevede che vengano fissati gli «standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera». Sulla base di quali conoscenze scientifiche il SSN può definire tali standard, tra cui i volumi di attività al di sopra o al di sotto dei quali le strutture ospedaliere pubbliche e private possono o meno essere accreditate a offrire specifici interventi sanitari. Il grado di incertezza di tali conoscenze è ampio. Esistono grossi problemi di definizione dello stesso livello di misura dell’esposizione, si tratta di tener conto:

  • della caratterizzazione dell’esposizione in termine di volume di singolo servizio, di una rete, di un singolo operatore; se per la mortalità a 30 giorni dopo bypass aortocoronarico è plausibile che sia quest’ultima esposizione quella rilevante, per altri indicatori come la mortalità a 30 giorni da Infarto Acuto del Miocardio il principale modificatore d’effetto potrebbe essere il volume di attività dell’intera organizzazione che gestisce il percorso di diagnosi e cura, quindi l’ ospedale stesso);
  • della maturità della tecnologia in studio; il tempo trascorso dall’entrata in uso di una tecnologia potrebbe ridurre nel tempo l’effetto del volume di attività, nuove tecnologie possono avere bisogno di maggiore concentrazione di volume;
  • della specificità delle tecnologie (laparoscopie, chirurgia robotica); sono procedure che maggiormente possono richiedere specifiche competenze e necessità di pratica continua;
  • delle curve di apprendimento; ciascun professionista o organizzazione può avere variabili livelli di efficacia in fasi diverse della curva di apprendimento, che a sua volta può variare tra diverse procedure o processi assistenziali.

Il decisore potrebbe definire i temi su cui impegnarsi sulla base delle conoscenze di letteratura; l’epidemiologia potrà fornire solo la forma della associazione tra volume di attività ed esito, una “curva”, ma non un numero magico oltre il quale autorizzare l’attività di una struttura.

Un esempio già attuato di scelta del SSN italiano in questa direzione è quello del volume di attività delle maternità. L’accordo Stato Regioni del 12/2010 ha stabilito il valore ottimale del volume di attività delle maternità in 1.000 parti/anno e ha previsto una soglia minima di 500. Ad oggi non esistono evidenze di letteratura a supporto di questa decisione. L’analisi preliminare di una revisione sistematica su questo tema suggerisce che le evidenze disponibili riguardino solo l’associazione tra volume delle maternità ed esito dei neonati ad alto rischio, ma non sono in grado di distinguere l’effetto delle dimensioni della maternità dall’effetto della terapia intensiva neonatale. Non esistono infine prove di associazione tra alto volume ed esito delle gravidanze ad alto rischio, e il basso volume ospedaliero non sembra essere, in letteratura, associato alla alta frequenza di cesarei. Su questo esempio comunque pesa drammaticamente la distanza nel SSN italiano tra decisioni di politica sanitaria e loro attuazione. Nel 2011 erano ancora attive almeno 200 maternità con meno di 500 parti/anno, senza contare le numerose piccole maternità, trasformate in sedi distaccate di altre maternità.

È auspicabile che le decisioni su quali servizi e prestazioni intervenire vengano prese sulla base delle conoscenze scientifiche derivate da studi disegnati ad hoc e non sulla base dell’osservazione empirica, basata solo sui sistemi informativi correnti. A questo proposito l’edizione 2012 del Piano nazionale esiti,4 che dal 2009 valuta gli esiti dell’assistenza degli ospedali italiani e che oggi è divenuto uno strumento istituzionale di valutazione del SSN, include, oltre agli indicatori di esito, una serie di indicatori di volume per le condizioni la cui associazione tra volume di attività ed esito delle cure sia stata dimostrata in letteratura.

Nel caso del volume delle maternità, come in altri casi, i decisori di sanità pubblica devono decidere non solo sulla base dell’efficacia ma anche per vincoli economici e sociali, in ogni caso devono decidere sulla base di conoscenze basate su fortissima incertezza ed eterogeneità. Alla scelta di «volumi minimi di attività» al di sotto dei quali non deve essere possibile erogare specifici servizi nel SSN devono necessariamente contribuire conoscenze sul rapporto tra efficacia delle cure e loro costi, distribuzione geografica, accessibilità.

L’epidemiologia tuttavia, come in altri campi eziologici e valutativi, deve continuare a condurre studi di valutazione dell’associazione tra volume ed esito delle cure, specificamente nel contesto nazionale, ponendo grande attenzione alla definizione e qualità della misura dell’esposizione, al fine di falsificare o confermare l’associazione evidenziata dalla letteratura e analizzare associazioni non evidenziate in altri contesti, che potrebbero invece presentarsi in situazioni organizzative e temporali differenti. Deve continuare, anche sui volumi, a formulare ipotesi, anche altamente improbabili, a disegnare studi validi per testare quelle ipotesi che esplorino maggiormente la “scatola nera” del volume che è una misura grossolana, proxy di altre caratteristiche (età professionisti, esperienza, aspetti organizzativi del sistema, caratteristiche delle tecnologie eccetera). Tutto questo con la consapevolezza che ulteriori studi forniranno poche e limitate ulteriori conoscenze per informare i processi decisionali e approfondiranno la consapevolezza di ciò che non sappiamo. Ma sulla base di queste limitate conoscenze e crescenti incertezze il SSN deve comunque decidere per promuovere efficacia ed equità.

Bibliografia

  1. Cochrane AL. Effectiveness and Efficiency. Random Reflections on Health Services. London: Nuffield Provincial Hospitals Trust, 1972
  2. Editorial. Dealing with Uncertainty. Clinical Evidence Issue 13. London: BMJ 2005
  3. Epidemiol Prev 2005; 29 (3-4) suppl: 1-64
  4. http://151.1.149.72/pne11_new
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