Valutazioni di impatto sanitario, sorveglianza epidemiologica e studi di intervento nelle aree a rischio
Alla fine di agosto 2013 è stato approvato un provvedimento congiunto dei Ministeri di salute e ambiente che stabilisce i criteri metodologici utili per la redazione del rapporto di valutazione del danno sanitario (VDS). In presenza di uno «stabilimento [ritenuto - n.d.r.] di interesse strategico nazionale» tale documento dovrà essere predisposto annualmente dagli Enti interessati (ASL, ARPA). Il rapporto di valutazione deve informare dello stato di salute connesso a rischi attribuibili all’attività dello stabilimento in esame, fornire elementi di valutazione per il riesame dell’autorizzazione integrata ambientale per indirizzarla a soluzioni tecniche più efficaci nel ridurre i potenziali esiti sanitari indesiderati, valutare l’efficacia in ambito sanitario delle prescrizioni. Il decreto di definizione dei criteri di valutazione del danno sanitario era previsto dal Decreto n. 207/2012, varato per garantire la produzione dell’ILVA di Taranto e l’applicazione dell’Autorizzazione integrata ambientale.
Le materie affrontate dal decreto sono di interesse rilevante per la sanità pubblica, il contenuto epidemiologico dei criteri proposti è elevato e le implicazioni per la prevenzione sono grandi. È pertanto necessario un approfondimento sui contenuti e sulle possibili conseguenze di tale decreto, iniziando dalla comunità degli epidemiologi. Il documento, del resto, si presenta al lettore in parte come un testo di suggerimenti procedurali generali, in parte come una scheda tecnica complessa con definizioni operative stringenti, talora di difficile comprensione per chi non è un esperto di risk assessment. La discussione sui vari aspetti, dunque, potrà essere utile per la sua più consapevole e completa comprensione e applicazione.
La procedura indicata è riferita ai siti industriali di interesse strategico, al momento solo Taranto, che nella maggior parte dei casi – da Taranto a Marghera, da Priolo a Piombino – sono anche siti di interesse nazionale per la bonifica. A causa di conclamate e verificate condizioni di contaminazione delle matrici ambientali, acqua e suolo, molti di questi siti sono stati studiati in profondità sia sul versante ambientale sia su quello della salute (caratterizzazione dei siti di bonifica).1,2 È ovvio che il sito di Taranto rappresenta la priorità e al contempo il banco di prova per altre situazioni simili.
Nel documento si sostiene che «valutazioni epidemiologiche e valutazioni del rischio sono tecniche basate su approcci teorici diversi». Ne consegue che la procedura di VDS assumerà una struttura matriciale composta da due direttrici indipendenti, finalizzate rispettivamente alla stima del danno attuale e futuro, articolate su più livelli commisurati alle diverse necessità delle valutazioni specifiche. Viene poi descritto il meccanismo valutativo, articolato su tre livelli in sequenza, che affida agli studi epidemiologici il compito delle valutazioni di stato passato e attuale, e al risk assessment il ruolo di motore della procedura definita di valutazione del danno potenziale, che potrebbe portare alla ridefinizione delle prescrizioni sull’impianto, anche mediante riapertura dell’AIA. Su questo meccanismo si aprono molti interrogativi, per esempio sulla separazione dell’epidemiologia e della valutazione di rischio su due direttrici indipendenti, ovvero sui meccanismi del motore del sistema rappresentato dal risk assessment.
La sola analisi di questa prima parte ci pare alimenti almeno tre domande:
- Perché separare epidemiologia da valutazione del rischio? L’epidemiologia è disciplina per la misura del rischio mediante osservazione pianificata della realtà, così come il risk assessment è mirato a valutarlo avvalendosi di dati della tossicologia e dell’epidemiologia. La novità della VIS, nella sua accezione originale, è appunto l’integrazione di queste componenti, inserite in un percorso condiviso con i portatori di interessi.3,4
- La separazione tra la valutazione di cosa è successo fino adesso e la previsione di cosa può succedere in futuro, se può essere accettabile sul piano editoriale, non può esserlo su quello sostanziale, a meno di chiarire che deve essere la stessa équipe, necessariamente multidisciplinare, a essere coinvolta nelle due attività, con forte interazione di competenze. Perché concepire due procedure indipendenti senza prevedere le interazioni reciproche? Senza una buona epidemiologia non ci può essere un valido RA, e viceversa senza uno specifico risk assessment (cioè attinente alla realtà in studio) sarà poi molto difficile la gestione del rischio. Infatti, l’epidemiologia ha un ruolo forte e fondamentale in tutte le quattro fasi del risk assessment: nella valutazione del pericolo, nella definizione della relazione esposizione-risposta che può essere utilmente usata al pari della relazione dose-risposta di provenienza sperimentale, nella distribuzione dell’esposizione nella popolazione, nella caratterizzazione del rischio, cioè nella stima di quale proporzione della popolazione esposta subirà l’effetto (rischio attribuibile tra gli esposti o frazione eziologica). In particolare, sulla valutazione dell’esposizione ci pare importante considerare che a fronte dell’approccio valutativo per singolo inquinante si sta facendo strada un approccio basato sulla misurazione della dose interna assorbita di più inquinanti, riassumibile nel concetto di esposoma,5 con numerosi progetti europei in corso di realizzazione o di attivazione (Exposome, Helix, HEALs).
- Ci si chiede perché non utilizzare lo strumento che scientificamente sarebbe adeguato di valutazione integrata di impatto ambientale sulla salute (VIIAS), messo a punto sulla base dei risultati dei due progetti europei INTARESE e HEIMTSA.6 Se fino a pochi anni fa il rischio predittivo era affidato alla tossicologia, i nuovi approcci sviluppati recentemente nel solco della VIS, com’è appunto la VIIAS, sono in grado di valutare cosa e quanto si può guadagnare in termini di risparmio di malattie e morti premature se si definiscono scenari alternativi di prevenzione primaria.
Riteniamo che proprio tale approccio sia appropriato in aree ove i pericoli sono conosciuti, la popolazione esposta è stata definita, i rischi sono stati stimati. In altri termini, in siti dichiarati per legge da bonificare e nei quali sia stato compiuto un ciclo completo di studi, la strada non dovrebbe essere quella della valutazione post-hoc del danno, bensì o la valutazione ex-ante dell’impatto prevenibile adottando scenari di intervento diversi, oppure direttamente l’effettuazione di studi di intervento. In questa impostazione il RA avrebbe rilevanza per la definizione degli scenari e per la pianificazione degli interventi.
La seconda linea di procedura proposta nel decreto, definita per la «valutazione del danno potenziale» assumerebbe maggiore interesse se evolvesse in una valutazione preventiva di impatto, prevedendo le fasi di coinvolgimento dei portatori di interessi, dalla progettazione ai risultati, in primo luogo dei più esposti e suscettibili. La cadenza temporale almeno annuale prevista per la VDS potrebbe essere assorbita, almeno in parte, da un sistema di sorveglianza ambiente-salute adeguato, che è l’attività di sanità pubblica adeguata a controllare nel tempo e nello spazio l’impatto positivo, neutro o negativo delle decisioni adottate, e che era già prevista nei documenti preparatori al decreto in oggetto.
Entrando nello specifico dell’RA, riteniamo che due aspetti siano di particolare rilevanza nel testo del decreto: la valutazione individuale delle singole sostanze vincolata al superamento di valori di legge e l’uso delle funzioni di rischio derivanti dagli studi tossicologici (Hazard Quotient per le sostanze non cancerogene e Slope Factor per le sostanze cancerogene).
Vediamo in dettaglio. La possibilità di esaminare l’impatto sanitario di una singola sostanza (di concentrazione C1) viene vincolata al superamento o meno dei valori di riferimento di legge (figura 1 del decreto). In altre parole, se la sostanza tossica in questione non supera, sulla base dei dati ambientali disponibili, i valori stabiliti per legge (o i valori stabiliti da WHO? Non si comprende nel testo) la valutazione non viene eseguita. Tale “censura” comporta ovviamente una sottostima del rischio sanitario, specie se riprodotta su più sostanze inquinanti. Infatti, da una parte i valori di riferimento per le sostanze tossiche sono in continua rivalutazione (si veda solo per esempio l’intera letteratura scientifica sugli effetti delle polveri che individua effetti sanitari per livelli ben sotto al di sotto dei valori di legge), dall’altra l’esposizione di quote grandi di popolazione a livelli anche molto bassi può comportare effetti sanitari importanti, e, in aggiunta, gruppi più suscettibili possono essere vulnerabili a livelli anche molto inferiori alle soglie. Inoltre non possono essere trascurati gli effetti sinergici tra varie sostanze. Dunque, la “censura” significa ignorare tali possibili impatti.
L’uso delle funzioni di rischio derivanti da studi tossicologici (Hazard Quotient e Slope Factor) segue le indicazioni tradizionali del risk assessement dell’EPA degli Stati Uniti. Tale approccio è stato recentemente criticato e superato da un documento del National Research Council.7 In sostanza, è stato auspicato, dove disponibile, l’uso di funzioni concentrazione-risposta per la stima dell’impatto sanitario che derivano dagli studi epidemiologici piuttosto che dagli studi tossicologici e sperimentali. Questo approccio è stato anche usato, per esempio, nel Global Burden of Disease del WHO8 per il calcolo della mortalità complessiva attribuibile all’inquinamento atmosferico (6% per ogni variazione di 10 μg/m3 nel PM2.5). Viene utilizzato dall’EPA nella valutazione dell’impatto sanitario di fonti diffuse e puntuali dell’inquinamento atmosferico (BenMap)9 ed è in progress l’applicazione in Italia per una valutazione su scala nazionale (progetto CCM: Valutazione integrata impatto ambientale e sanitario dell’inquinamento atmosferico, VIIAS).10 L’approccio epidemiology-based vs. toxicology-based risolve anche la contraddizione nella separazione degli effetti cancerogeni rispetto gli esiti non neoplastici. Nell’analisi dose-risposta tale separazione è artificiale, perché gli esiti non neoplastici possono verificarsi senza una soglia ed essere lineari anche per le basse concentrazioni. Allo stesso modo, l’impatto delle sostanze cancerogene varia e richiede un quadro analitico flessibile ma coerente con il quadro indicato per gli effetti non cancerogeni. La separazione non è quindi scientificamente giustificata e porta a risultati molto difformi nella valutazione di impatto.
Tutto questo indirizza a evitare sperimentazioni di procedure di RA in situazioni di danno conclamato, dove la preoccupazione pubblica è alta e le conoscenze sono sufficienti per interventi necessariamente urgenti.
Riassumendo, il meccanismo a due vie indipendenti proposto nell’allegato da una parte propone un pregevole sebbene laborioso uso dell’epidemiologia per valutazioni post-hoc, senza chiarire cosa accadrebbe in caso di esito negativo per la salute della popolazione, previsto con la frase «i danni alla salute della popolazione sono ragionevolmente attribuibili allo stabilimento». La filiera invece basata sull’RA può arrivare ad attribuire allo stabilimento «rischi che impongono la riapertura dell’AIA finalizzata all’ulteriore contenimento dei contaminanti che li originano». In questo caso, caratterizzato da un complesso susseguirsi di passaggi che porterebbero dalla fase 1 alla fase 3, ci domandiamo se sono stati fatti studi pilota o esercizi di fattibilità per capire se, come e in che tempi si può arrivare alla fine del percorso.
In conclusione, occorre lavorare per un miglioramento dei contenuti dell’allegato. In caso di un’applicazione nella presente versione, ci sentiamo di asserire che in molte situazioni le condizioni e conoscenze sono tali da poter entrare direttamente nella fase finale del percorso proposto, risparmiando tempi e risorse impiegabili subito per azioni preventive e studi collegati di intervento. È questo il caso specifico di Taranto, dove le conoscenze acquisite e le iniziative attivate da ARPA e ASL rendono realistica la messa in opera di un programma di sorveglianza di medio e lungo termine,11,12 e interventi urgenti per l’abbassamento dell’esposizione dei gruppi di popolazione a maggiore rischio. In questo caso, una rapida valutazione dell’impatto attuale e potenziale dell’inquinamento da polveri in termini di mortalità e morbosità è una facile guida per il monitoraggio del funzionamento dell’AIA e degli scenari di intervento futuri.
Conflitti di interesse dichiarati: nessuno
Bibliografia
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