Editoriali
26/11/2017

Vaccini. Corretta comunicazione e libertà d’opinione

Solo qualche lustro fa, nessuno, e tanto meno i medici, avrebbe messo in seria discussione le “certezze” definite tali dalla medicina ufficiale; eppure molte di queste non hanno retto i tempi e sono risultate non appropriate, se non dannose. Oggi il cosiddetto principio di autorità non è più in voga e, anzi, si inizia addirittura a mettere in discussione persino le evidenze risultanti da solide sperimentazioni scientifiche.
La sfiducia nelle cosiddette caste, tra le quali anche quella clinica e ancor più quella farmaceutica, i sospetti per gli interessi economici legati alla diffusione di pratiche sanitarie e in genere i fantasmi dell’irrazionalità che paventano tutto ciò che viene dato per sicuro: tutto questo sta creando non pochi problemi alla sanità pubblica e alla pratica clinica.
Da un lato il rifiuto di terapie “certe”, come quelle antitumorali, dall’altro il diffondersi di pratiche non convenzionali, molte delle quali di sicura inefficacia, sono il segnale di una criticità crescente in campo sanitario.
A questa situazione – ahimè – invece che avviare un’azione di contrasto attraverso politiche di comunicazione e sviluppare un maggior colloquio tra medici e pazienti, la corporazione medica, e in parte anche la politica sanitaria, cerca di intervenire con processi sanzionatori, molto spesso invero poi abrogati per evitare eccessive perdite di consenso. È cronaca degli ultimi mesi la modifica del decreto sull’appropriatezza delle prestazioni specialistiche, per quanto riguarda le sanzioni ai medici, e le modifiche del decreto sulla obbligatorietà delle vaccinazioni anche in questo caso in relazione quasi esclusivamente agli aspetti sanzionatori.
Anche in altri contesti, come per esempio in Australia,1 dopo che si era deciso di ridurre le garanzie di accesso alle cure alle famiglie che rifiutavano le vaccinazioni, si è fatto dietro-front riconoscendo che il provvedimento non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione sanitaria.
È in questo quadro politico culturale che si collocano oggi diverse vicende come quella che ha riguardato il dottor Dario Miedico, sanzionato dall’Ordine dei medici di Milano per le sue dichiarazioni relative alle pratiche vaccinali; ma non intendiamo qui entrare nel particolare della situazione non conoscendone approfonditamente tutti gli elementi, anche se il provvedimento a noi è sembrato per lo meno eccessivo e inopportuno, anche perché così si rischia rinforzare ancor più i sentimenti degli oppositori verso il “potere medico”.
Vorremmo, invece, discutere sul delicato rapporto tra libertà di opinione e diffusione di notizie false e nocive per la salute e per l’ordine pubblico della collettività. È innanzitutto opportuno partire dall’articolo 21 della Costituzione italiana: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione […]». Però, come tutti i diritti costituzionali, anche questo può e deve essere limitato quando violi altri valori garantiti dalla Costituzione, in particolare la tutela dell’ordine pubblico come previsto dall’art. 656 del codice penale: «Chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico è punito […]».
Al proposito, occorre precisare che per questo articolo del codice deve trattarsi della diffusione di una “notizia” e non di una semplice voce o diceria, e che tale notizia deve essere falsa e deve in qual modo essere stato provato che sia tale. Applicando questo articolo alla sanità sarebbe sicuramente una notizia falsa una dichiarazione come: «Le vaccinazioni sono la causa della sindrome autistica», ma non una dichiarazione del tipo: «È provato che le vaccinazioni hanno talvolta anche effetti nocivi», oppure «non sempre tutte le vaccinazioni risultano efficaci nella prevenzione delle malattie per le quali sono state effettuate».
Si può allora affermare che si ha diritto a esprimere la propria opinione se ci si rifà a notizie vere e sperimentate o se ci si limita a esprimere una propria perplessità nel merito. Certamente non è indifferente il linguaggio di chi esprime la propria opinione e a chi è rivolta la comunicazione. Un dibattito scientifico durante un congresso, per esempio, consente margini molto più larghi di espressione di dubbio che non un comunicato di un’autorità sanitaria rivolto alla popolazione.
Se questo è quanto si può considerare per ogni cittadino, ci si deve chiedere quale debba essere il limite per un medico nell’affermare che una qualsiasi prestazione potrebbe non essere opportuna se non addirittura dannosa. Sicuramente da parte dei medici si dovrebbero rispettare almeno le seguenti condizioni: • riferire solo “notizie” documentate e scientificamente provate; • rendere chiara ed evidente la misura del rischio, in termini di gravità e di frequenza; • preoccuparsi che il messaggio sia comprensibile nei giusti termini dall’interlocutore cui è rivolto. Il medico deve preoccuparsi che il proprio uditorio, che si tratti di un singolo paziente o della collettività, sia in grado di ottenere il massimo beneficio da quanto egli dice, ma se queste condizioni sono garantite, ogni sanzione allora appare inopportuna se non addirittura illegittima e controproducente.
Nella lettera aperta inviata da ben 153 medici, tra cui molti pediatri e alcuni infettivologhi e igienisti, al Presidente dell’Istituto superiore di sanità2 non sembrano per esempio riscontrarsi falsità o gravi imprudenze; è pur vero che l’art. 55 del Codice Deontologico Medico stabilisce che «Il medico promuove e attua un’informazione sanitaria accessibile, trasparente, rigorosa e prudente, fondata sulle conoscenze scientifiche acquisite e non divulga notizie che alimentino aspettative o timori infondati o, in ogni caso, idonee a determinare un pregiudizio dell’interesse generale». Ma occorrerebbe dimostrare con certezza che le conoscenze non siano fondate scientificamente e che i timori alimentati siano infondati e creino un pregiudizio dell’interesse generale.
E quale potrebbe essere, inoltre, l’autorità che definisce l’antiscientificità? È in grado un organismo burocratico corporativo di emettere correttamente dei giudizi in tal senso, soprattutto quando le dichiarazioni personali del medico sono, anche se forse e inconsapevolmente non corrette, ritenute da lui emesse a favore dei suoi pazienti? E qual è il limite dell’applicabilità dell’art. 55 del Codice Deontologico alla luce dell’art. 21 della Costituzione? Di certo il medico non può fare dichiarazioni con l’intento di nuocere, ma non è così certo il divieto a esprimere una sua opinione, purché con certezza non sia palesemente falsa, se traspare invece il suo intento soggettivo a esprimere un’opinione tendente a suo parere a favorire la salute della collettività.
Non è, però, il caso di confondere alcune dichiarazioni di medici preoccupati del bene collettivo con i timori popolari fondati su pregiudizi o ignoranza, se non addirittura alimentati allo scopo di innescare generiche contestazioni politiche. Sicuramente dalla lettura della lettera dei 153 medici sorge il dubbio di una loro sottostima dei benefici contro una sovrastima dei rischi, ma ciò può anche essere dovuto al fatto che nella pratica clinica o medico-legale si incontrano i soli casi che hanno avuto esiti patologici e non, invece, quelli rimasti sani e a cui è stata evitata la malattia. Forse la loro richiesta di approfondimento scientifico-epidemiologico delle attuali conseguenze vaccinali avrebbe potuto trovare una risposta migliore che convincesse dell’effettiva prevalenza dei benefici sui rischi.
La non compliance alle pratiche preventive dipende da vari fattori: si sovrastima il rischio immediato sottostimando, invece, il rischio futuro ritenuto molto remoto, si preferisce il rischio del non fare al rischio del fare, come se questo fosse legato a una colpa, mentre il primo a una fatalità. Un problema reale è il diffondersi di opinioni contrastanti non legate a reali preoccupazioni, bensì a fantasmi mediatici. Decadi di ricerca nelle scienze cognitive dimostrano, però, che opinioni e credenze sono mantenute da interi network cognitivi, e che per cambiare tali opinioni è necessario fare una di queste cose: o fornire conoscenze che scardinino l’intero network e non la singola opinione oppure fornire prova diretta della validità dell’informazione.3 In altre parole, ogni essere umano giudica un’informazione come vera o falsa sulla base di un sistema di credenze (implicite ed esplicite) che gravitano intorno a quell’informazione. Quando un’informazione è incoerente con il resto del network, nasce allora la tendenza a scartarla come falsa; questo è un evento descritto con il nome di dissonance reduction (riduzione della dissonanza).
La diretta testimonianza di un evento può avere un forte effetto sulla forza di un network, scardinando false credenze. Per esempio, alcuni studiosi di mia personale frequentazione4 hanno sperimentato un metodo efficace per convincere persone all’oscuro della moderna conoscenza medica sull’esistenza dei batteri con il semplice utilizzo di acqua e profumo: invitate a immergere e annusare le proprie mani prima nell’acqua e poi in acqua e profumo, queste persone hanno cominciato ad accettare che esistono cose che non possono essere viste, ma che vivono sul corpo e che, quindi, è opportuno combatterle con metodi di prevenzione come le vaccinazioni. Questo ovviamente è solo un esempio sperimentato in alcuni villaggi africani e che non potrebbe essere utilizzato altrove, ma indica la necessità di trovare le giuste forme di comunicazione realmente efficaci.
Se è sicuramente necessario contrastare le opinioni errate e nocive, non è però con una sanzione amministrativa che si crea l’opportunità per riconsiderare un intero sistema di credenze; anzi, la sanzione può minacciare la credibilità scientifica dell’evidenza stessa, suggerendo che la parte avversa non ha argomenti per discutere sul piano scientifico e che può solo ribattere cercando di proteggere lo status quo.
Forse oggi chi si preoccupa di salute pubblica dovrebbe attrezzarsi meglio nei metodi e negli strumenti di comunicazione, adottando i più adeguati invece di pensare di ricorrere a inutili e controproducenti interventi sanzionatori che hanno forte probabilità di non ottenere l’efficacia desiderata nei riguardi dell’interesse della collettività. La medicina di oggi si trova davanti a una sfida sempre crescente che è quella dell’informazione che non può limitarsi alle poche copie delle riviste scientifiche né alla sola comunicazione tra medico e paziente. Sempre più, infatti, si diffondono false critiche e false speranze, vuoi in buona vuoi in cattiva fede, e queste non possono essere contrastate se non in alcune specifiche situazioni, comminando improbabili sanzioni, ma con una paziente, competente, intelligente ed efficace attività di ricerca, di valutazione e di comunicazione.

Conflitti d’interesse dichiarati: nessuno

Bibliografie e note

  1. 1. Di Pasqua E. Non vaccini tuo figlio? L’Australia taglia tutti i sussidi sanitairi. Corriere della sera. 15.04.2013. Disponibile all’indirizzo: http://www.corriere.it/salute/pediatria/15_aprile_13/non-vaccini-tuo-figlio-l-australia-taglia-tutti-sussidi-sanitari-26766810-e1c8-11e4-b4cd-295084952869.shtml
  2. Gava R, Serravalle E. Vaccinazioni Pediatriche: Lettera aperta al Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità. Disponibile all’indirizzo: http://www.informasalus.it/it/articoli/vaccinazioni_lettera_presidente_sanita.php
  3. Strauss C, Quinn N. . A Cognitive Theory of Cultural Meaning. Cambridge, Cambridge University Press, 1997.
  4. Cislaghi, B, Gillespie D, Mackie G. Values Deliberation and Collective Action: Community Empowerment in Rural Senegal. New York, Palgrave MacMillan,2016.

 

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