Siamo disposti a modificare la nostra dieta per il clima?
Un terzo di tutte le emissioni di gas serra causate dall’uomo sono legate all’alimentazione
Sebbene dati recenti di tutti i Paesi indicano la crescente preoccupazione per la crisi climatica in corso e la consapevolezza che gli esseri umani ne sono la causa, rimane difficile identificare strategie che motivino le persone a modificare i propri comportamenti per un’azione efficace per il clima.1 A livello globale, tra il 21% e il 37% delle emissioni totali di gas serra (GHG) sono riconducibili al sistema alimentare2 e modificare la propria dieta rappresenterebbe uno degli strumenti più efficaci attraverso cui ridurre il nostro impatto sul clima. L’IPCC valuta che, senza interventi di adattamento e mitigazione, le emissioni dal settore alimentare aumenteranno di circa il 30-40% entro il 2050.2 Mai come nel periodo storico in cui viviamo, caratterizzato da una crisi sanitaria pubblica (con problemi di sovrappeso, obesità e malnutrizione) e da una crisi ambientale globale, promuovere la diffusione di una dieta sostenibile ha assunto un ruolo fondamentale per la salute personale e per il benessere del pianeta; diete ad alto contenuto di alimenti di origine vegetale e povere di alimenti di origine animale e di alimenti trasformati vengono ritenute tra le principali opportunità per ridurre le emissioni di gas serra provenienti dai sistemi alimentari con un impatto positivo sulla salute.2
I nostri consumi alimentari influenzano i cambiamenti climatici che, a loro volta, stanno già incidendo sulla sicurezza alimentare. L’aumento delle temperature e i cambiamenti delle precipitazioni hanno effetti sulla fertilità del suolo, sui rendimenti dei raccolti, sulla produzione alimentare e sulla composizione e disponibilità dei nutrienti. Secondo l’ultimo report dell’IPCC, il riscaldamento, aggravato dalla siccità, sta determinando effetti negativi sulla produzione in diverse regioni del mondo, comprese alcune aree del mediterraneo. La produzione di frutta e verdura, (componenti fondamentali della dieta salutare) è vulnerabile ai cambiamenti climatici: lo stress da caldo riduce l’allegagione, accelerando lo sviluppo dei frutti e delle verdure annuali, con conseguenti perdite di rendimento, riduzione della qualità del prodotto, aumento delle perdite e sprechi alimentari.2
Il vertice sui sistemi alimentari delle Nazioni Unite ha proposto un cambio di paradigma: spostare i grandi investimenti dei sistemi agroalimentari dalla produzione di più cibo che punta sulle colture di base a un approccio più olistico che pone al primo posto le diete sane (in grado di contrastare tutte le forme di malnutrizione), con l’obiettivo finale di trasformazione dei sistemi alimentari, favorendo la crescita economica, l’equità sociale e la sostenibilità ambientale.3
I co-benefici per la salute della dieta sostenibile
La definizione di dieta sana si sta modificando nel tempo grazie al contributo della ricerca che valuta diete, consumi di specifici alimenti e quantità di assunzione, identificando quelli in grado di migliorare gli esiti di salute, di prevenire le forme di malnutrizione nei Paesi in via di sviluppo e l’aumento delle malattie croniche legate a un’alimentazione non corretta nei Paesi industrializzati. Oltre la metà della popolazione mondiale consuma diete poco diversificate che non includono sufficienti quantitativi di frutta, verdura e nutrienti fondamentali; nei Paesi a basso e medio reddito, le diete si stanno rapidamente evolvendo verso un maggiore consumo di prodotti alimentari ultra-trasformati, a causa di cambiamenti dei mezzi di sussistenza e degli stili di vita, ma soprattutto della maggiore disponibilità e commercializzazione di alimenti meno costosi.3
Diversi studi hanno evidenziato i cosiddetti co-benefici (per la salute e per l’ambiente) di diete con consumi ridotti di prodotti alimentari di origine animale (principalmente carni rosse e lavorate e latticini) e ricche di alimenti di origine vegetale. Le diete associate a minore consumo di carne (vegetariane e vegane, flexitariane, pescatariane) hanno mostrato effetti positivi sulla salute e una riduzione delle emissioni di GHG (rispetto a diete di riferimento), con maggiori benefici su diversi esiti di salute: mortalità, patologie cardiovascolari, diabete, patologie croniche correlate alla nutrizione, tumori. La tabella 1 riporta una sintesi delle prove disponibili sull’associazione tra i principali gruppi alimentari e gli esiti di salute associati al loro consumo.
Una recente revisione sistematica di studi empirici e modelli teorici ha cercato di quantificare i benefici sulla salute e sull’ambiente di diete sostenibili.4 Su 18 studi selezionati, la metanalisi ha evidenziato che nell’87% delle misurazioni utilizzate (n. 151) erano presenti risultati positivi sulla salute delle “diete sostenibili” (con un miglioramento della salute del 4,09%; IC95% −0,10;-8,29) rispetto ai modelli di consumo di riferimento. Le emissioni di gas serra associati a “diete sostenibili” erano in media inferiori del 25,8% (IC95% -27,0;-14,6) rispetto ai consumi di riferimento con maggiore riduzione delle emissioni delle diete vegane (−70,3%; IC95% −90,2;−50,4).4
Tra le diete sane e sostenibili è inclusa la dieta mediterranea (DM), definita per la prima volta da Ancel Keys come dieta povera di grassi saturi e ricca di oli vegetali; si tratta di una dieta nutrizionalmente equilibrata e adeguata al fabbisogno personale, caratterizzata dal consumo quotidiano di cereali non raffinati, pane, pasta e riso, frutta fresca e a guscio, verdura, latticini a basso contenuto di grassi, olio extravergine d’oliva (come principale fonte di lipidi), consumo moderato di prodotti di origine animale e consumo moderato di alcol, nel rispetto dei ritmi stagionali e della produzione locale. Nonostante la DM sia da tempo riconosciuta come modello nutrizionale, l’aderenza è ancora bassa. Nel 2023 una survey condotta sulla popolazione italiana per valutare l’aderenza alla DM (misurata attraverso il Mediterranean Diet Serving Score, MDSS) ha evidenziato un’alta aderenza in meno del 5% degli intervistati, mentre l’11% aveva un’aderenza bassa e la maggior parte del campione (oltre 80%) un’aderenza definita moderata.5 Anche i risultati di una revisione sistematica di studi condotti nell’area mediterranea hanno riportato un’aderenza bassa o moderata negli ultimi 10 anni e la necessità di migliorare l’adesione alla DM attraverso politiche e interventi di promozione della salute e nutrizionale.6
Ridurre la nostra impronta di carbonio attraverso modifiche nella dieta è una scelta possibile
Il modo in cui il cibo viene coltivato, lavorato, trasportato, distribuito, preparato, consumato e smaltito ha un impatto sulla crisi climatica: ciascuno di questi passaggi produce gas serra. Spostare i sistemi alimentari verso diete ricche di vegetali, con più proteine vegetali (come legumi, frutta a guscio e cereali) e una quantità ridotta di alimenti di origine animale può determinare una riduzione significativa delle emissioni di gas serra provenienti dal sistema alimentare.7 L’agricoltura è una grande fonte di gas serra, metano e protossido di azoto. Per confrontare le emissioni vengono utilizzate le emissioni totali di gas serra per chilogrammo di prodotti alimentari. Produrre 1 kg di carne bovina, per esempio, determina l’emissione di circa 60 chilogrammi di gas serra (equivalenti di CO2), 1 kg di agnello o formaggio più di 20 chilogrammi di CO2, pollame e carne di maiale hanno impronte inferiori, ma sempre superiori alla maggior parte degli alimenti a base vegetale. La produzione alimentare di origine animale, in particolare la carne rossa, è responsabile di gran parte delle emissioni di gas serra nel sistema alimentare: oltre 80% di queste emissioni vengono generate direttamente dall’allevamento, mentre il resto deriva dalle attività del sistema alimentare dopo la produzione agricola (lavorazione, trasporto, vendita al dettaglio, rifiuti eccetera).8,9
Diete a base di carne tendono quindi a esercitare un impatto ambientale maggiore rispetto a quelli di origine vegetale, contribuendo all’inquinamento atmosferico e idrico e all’esaurimento delle risorse naturali come acqua e suolo.9
Nel 2022 è stata condotta una survey nazionale per valutare il livello di consapevolezza dei consumatori sulla sostenibilità alimentare, sulla disponibilità a ridurre il proprio consumo di carne, anche al fine di valutare se linee guida dietetiche e consigli nutrizionali che raccomandano proteine alternative alla carne possano essere considerate accettabili per i consumatori italiani. La survey, condotta su 815 adulti (>18 anni), ha evidenziato la scarsa consapevolezza sulle conseguenze ambientali delle proprie scelte alimentari. Circa il 45% degli intervistati sottovaluta l’impatto ambientali della produzione animale e gli effetti sanitari associati. Riguardo alla disponibilità a ridurre il proprio consumo di carne rossa, il 51% degli intervistati ha dichiarato di consumare carne ma di aver ridotto il proprio consumo per ragioni legate alla sostenibilità ambientale, il 27% di non essere disposto a modificare i propri consumi, il 10% di essere disponibile a ridurre di consumare carne o a smettere (1%), mentre solo il 7% del campione dichiarava di non mangiare carne per questioni ambientali e il 4% si definiva vegetariano/vegano. Una quota rilevante degli intervistati considera la carne un elemento importante per una dieta completa (52%) e il 28% degli intervistati non riteneva le proteine vegetali una valida alternativa alla carne. Persone con un alto livello di istruzione, con maggior reddito annuo e gli studenti mostravano una maggiore propensione a modificare la propria dieta.10
Nel 2019 la Commissione EAT-Lancet ha proposto la dieta globale per la salute planetaria, salutare per le persone e per il pianeta, sottolineando l’urgenza di una trasformazione globale del sistema alimentare.11
Secondo uno studio, se la dieta EAT-Lancet fosse adottata solo dalle 54 nazioni più ricche e maggiori consumatrici di carne, che rappresentano il 68% del prodotto interno lordo globale e il 17% della popolazione mondiale, si potrebbero ridurre del 61% le emissioni annuali della produzione agricola delle nazioni ad alto reddito, sequestrando una quota di GtCO2 equivalenti, che equivale a circa 14 anni delle attuali emissioni agricole globali. La dieta planetaria EAT-Lancet è stata criticata per i costi legati al passaggio a diete sostenibili nei Paesi a basso reddito: ma lo studio evidenzia che basterebbe il cambiamento della dieta solo nei Paesi ad alto reddito per risultati rilevanti.12
Una survey rivolta a ricercatori e studenti universitari per conoscere le attitudini sulla dieta salutare e sostenibile, per identificare le barriere al cambiamento, per condividere le azioni da intraprendere
Nell’ambito del progetto “Clima, Cobenefici di salute ed equità” del Ministero della Salute (Piano Nazionale Complementare PNC investimento E.1 - Complementarietà con M6C1 del PNRR) è stata sviluppata una survey on-line rivolta ai ricercatori delle istituzioni che partecipano al progetto (ASL, ARPA, università, ISS, ISPRA, CNR) e agli studenti universitari delle facoltà biomediche delle università, con l’obiettivo di valutare i consumi alimentari, le conoscenze sui principi delle dieta sana e sostenibile, le attitudini e disponibilità a modificare la propria dieta, e per identificare le principali barriere che possano costituire un ostacolo alla riduzione dei consumi di carne rossa e alla transizione verso una dieta sostenibile. Inoltre, l’indagine ha l’obiettivo di identificare gli interventi ritenuti più rilevanti, i sottogruppi di popolazione su cui dovrebbero essere effettuati, gli ambiti di una campagna di comunicazione ritenuti in grado di influire di più sulle scelte individuali (per esempio, sostenibilità ambientale, co-benefici di salute, biodiversità e benessere animale, ridurre le disuguaglianze sociali eccetera).
La sanità pubblica può contribuire a promuovere una dieta sana e consumi alimentari sostenibili, considerando tuttavia che la motivazione individuale da sola non è sufficiente e che i comportamenti dei consumatori sono influenzati, oltre che da fattori personali, anche da fattori esterni, principalmente dai costi e dall’offerta. Servono azioni a vari livelli per trasformare radicalmente i nostri sistemi alimentari con impegni da parte dei governi ad adottare politiche incentrate sulla sostenibilità, investendo in ricerca e tecnologie innovative. Servono vincoli per le aziende ad adottare modelli diversificati e sostenibili migliorando la gestione del suolo, riducendo il consumo di acqua e salvaguardando la biodiversità.
Il sistema alimentare sarà capace di adattarsi ai cambiamenti in atto? Si tratta di un tema estremamente complesso per affrontare il quale serve un approccio integrato che implica una combinazione di azioni di adattamento e mitigazione nel settore agroalimentare,13 che tenga conto al contempo delle esigenze nutrizionali della popolazione, dei possibili benefici di salute e dei rischi legati a cambiamenti nell’apporto di nutrienti fondamentali (soprattutto nei sottogruppi più vulnerabili), dell’accettabilità sociale delle soluzioni proposte, identificando i co-benefici per l’ambiente e per la salute che possono essere raggiunti a breve termine e più a lungo termine soprattutto per i Paesi più poveri e per i gruppi sociali più emarginati.14
Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.
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