Editoriali
26/11/2015

Screening mammografico: un punto fermo dallo IARC Handbook

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Negli ultimi 15 anni il dibattito pro e (soprattutto) contro lo screening mammografico è stato pesante, in più sensi: per il numero di articoli pubblicati, per il livello delle riviste mediche coinvolte, per le dimensioni dell’effetto mediatico, per la complessità dei temi in discussione.

Nel Regno Unito si è sentita addirittura l’esigenza di ricorrere a un panel “indipendente” al fine di ottenere una stima della sovradiagnosi, una scelta che (al di là risultati) ha posto un interrogativo rilevante: per eliminare ogni conflitto di interesse, possiamo privarci delle competenze? Possiamo pensare a un’analisi sull’efficacia della neurochirurgia escludendo dal panel i neurochirurghi? Le revisioni sistematiche sulle tecniche di imaging medicale pubblicate tra il 2001 e il 2010, che tra gli autori non includevano radiologi o medici nucleari, avevano qualità scientifica significativamente inferiore secondo uno score AMSTAR integrato dalla valutazione dei livelli tecnologici.1 Non è solo il buon senso, quindi, a suggerire panel compositi in cui gli interessi trovino contrappesi e le competenze contribuiscano a comporre un giudizio informato ed equilibrato. Peraltro, se gli interessi contano, dovrebbero essere considerati anche quelli della fortuna editoriale di temi che producono citazioni, impact factor, articoli su quotidiani e settimanali, interviste TV o eco sui social media.

È in questo quadro che viene pubblicato il volume 15 dello IARC Handbook of Cancer Prevention, dedicato allo screening del tumore mammario, le cui conclusioni sono anticipate da un brief report sul New England Journal ofMedicine.2 È una buona notizia, sia per le affermazioni sullo screening mammografico contenute nel volume, sia per la disponibilità, assolutamente non scontata, da parte di questo importante journal della medicina contemporanea.

La composizione dello IARC Working Group (WG) che ha prodotto il volume ha visto la presenza di esperti provenienti da cancer center o cancer society, registri tumori, dipartimenti di epidemiologia e salute pubblica, prevalentemente da Paesi europei, ma anche da Stati Uniti e Canada, Sud America, India, Cina, Giappone e Australia. È inevitabile notare che i radiologi erano sottorappresentati. Nella scelta dei membri e delle presidenze dei sottogruppi si è tenuto conto dei conflitti di interesse reali e apparenti; si è anche evitato che i singoli studi fossero riassunti da autori degli stessi.

Innanzitutto, il WG riconferma, sulla base dei trial randomizzati controllati, l’efficacia dello screening mammografico nel ridurre la mortalità per carcinoma mammario nelle donne tra i 50 e i 69 anni d’età. Sono stati, inoltre, considerati i risultati di 20 studi di coorte e 20 studi caso-controllo. Ciò ha portato alla stima di una riduzione della mortalità specifica del 23%per le donne 50-69enni invitate, del 40% per le donne 50-69enni che hanno aderito all’invito. Una sostanziale riduzione della mortalità è stata rilevata anche da studi di coorte per la fascia d’età 70-74 anni, mentre è meno pronunciata per le 40-49enni (l’evidenza è stata giudicata limitata in entrambi i casi). I dati disponibili non hanno consentito la definizione di un intervallo di screening ottimale.

Il rischio di richiamo per falso positivo è stato valutato intorno al 20% per le 50-69enni che in vent’anni eseguono dieci mammografie di screening; il 5% di questi richiami sarà seguito da una procedura invasiva (la cui probabilità si riduce quindi all’1%). Per questo aspetto il vantaggio dello screening organizzato rispetto a quello spontaneo è marcato. È importante ricordare che lo IARCWG ha assunto come valida la stima della sovradiagnosi dell’EUROSCREEN WG,3 pari al 6,5%(range 1-10%), calcolata sulla base della differenza nella probabilità cumulativa di diagnosi di tumore tra donne sottoposte a screening e non, tenuto conto del lead time e del sottostante incremento dell’incidenza. Se tali fattori sono opportunamente considerati, si ottiene una stima analoga della sovradiagnosi (4-11%) anche dai trial randomizzati.

Il rischio di morte per tumore radioindotto dalla mammografia di screening è stato stimato 1-10 per 100.000 donne, quindi almeno 100 volte inferiore alla probabilità di prevenire il decesso per tumore mammario.

Relativamente allo screening con altre tecniche, in assenza di studi randomizzati il WG è cauto e molto conservativo. Segnala che l’ecografia dopo mammografia negativa nelle donne con seno denso incrementa il detection rate (DR), ma al contempo fa aumentare in modo marcato i falsi positivi.

Prende atto del duplice effetto dell’aggiunta della tomosintesi alla mammografia (incremento del DR, preferenzialmente di tumori invasivi, e riduzione del tasso di richiamo), ma a prezzo di un incremento della dose di radiazioni, in assenza di evidenze in favore della riduzione dei cancri di intervallo e di un’ulteriore riduzione della mortalità. È segnalato un effetto della visita senologica in termini di riduzione dello stadio di malattia se comparata con nessuno screening, ma è modesto l’incremento del DR rispetto a quello ottenuto con la mammografia. L’evidenza è, invece, inadeguata per l’autopalpazione.

Nelle donne a rischio aumentato su base eredo-familiare è segnalata l’evidenza a favore della superiore sensibilità della risonanza magnetica (RM) rispetto a mammografia ed ecografia (a prezzo di una riduzione di specificità), e anche la maggiore radiosensibilità del tessuto ghiandolare mammario (senza tuttavia esplicitare un consiglio alla limitazione dell’uso della mammografia). Il brief report non dà indicazioni sulle donne ad alto rischio per pregressa radioterapia toracica, tipicamente per linfoma.

La sintesi tabellare (disponibile in italiano sul sito di Epidemiologia& Prevenzione all’indirizzo: http://www.epiprev.it/ attualità/mammografia-di-screening-efficacia-effetti-avversi-e-comunicazione) è efficace per quanto concerne mammografia, ecografia, visita senologica e autopalpazione. Per la tomosintesi, appare forse discutibile la differenza tra l’evidenza giudicata sufficiente per l’incremento del DR e quella giudicata limitata per la riduzione del tasso di richiami. È inattesa l’eliminazione dalla tabella della superiore sensibilità della RM nell’alto rischio genetico-familiare, molto più rilevante della sensibilità incrementale che, sia pure con evidenza limitata, è dichiarata per l’ecografia nei seni densi dopo mammografia negativa.

È segnalata in tabella la mancanza di evidenza di un impatto sulla sopravvivenza dello screening con RM nelle donne ad alto rischio; osservazione corretta che rimanda, però, a uno dei temi rilevanti dell’applicazione della evidence-based medicine all’imaging in un contesto di rapida evoluzione tecnologica.4 Si tratta del famoso paradosso di Buxton: «È sempre troppo presto per realizzare uno studio rigoroso, per esempio randomizzato, fino a quando, improvvisamente, è troppo tardi». Oggi nessun comitato etico autorizzerebbe uno studio randomizzato sulle donne con mutazione BRCA che confrontasse un braccio con la RM (da sola o in aggiunta a mammografia ed ecografia) con un braccio senza RM.Quindi attendere questo tipo di evidenza da trial randomizzati è come “aspettare Godot”.

Anche la corretta segnalazione dell’incremento di dose di radiazioni dato dalla tomosintesi merita un duplice commento. In primo luogo, la preoccupazione per la dose dovrebbe tradursi in una raccomandazione per l’utilizzo generalizzato della mammografia digitale invece della mammografia analogica; in secondo luogo, l’introduzione delle immagini mammografiche 2D ricostruite dal dataset 3D ha praticamente risolto il problema della dose. Qui è di nuovo l’evoluzione tecnologica a correre veloce. Resta un punto importante: l’implementazione della tomosintesi nei programmi di screening richiede almeno la dimostrazione in più studi di una riduzione significativa e rilevante dei cancri d’intervallo.

Dobbiamo, tuttavia, tenere presente che il brief report sul NEJM presenta la sintesi di un intero volume che occorrerà studiare analiticamente. Al di là dei limiti accennati (un riflesso della sottorappresentazione dei radiologi nel panel?), è rilevante che una fonte autorevole abbia riconfermato la propria opinione in favore dello screening mammografico, in particolare accettando una stima della sovradiagnosi al di sotto del 10%. La discussione non finirà qui e probabilmente necessita di un allargamento della visuale che includa l’incertezza della classificazione patologica (overdetection e overdiagnosis non sono la stessa cosa)5 e le strategie per una riduzione del sovratrattamento.

In ogni caso, abbiamo un punto fermo.

Conflitti di interesse dichiarati: L’autore ha fatto parte dell’advisory board di Bracco Imaging,Milano. L’autore ha ricevuto fondi per la ricerca da Bracco Imaging, Milano; Bayer AG, Berlino; IMS-Giotto, Bologna.

Leggi anche l’attualità di Nereo Segnan ed Eugenio Paci «Mammografia di screening: efficacia, effetti avversi e comunicazione» (pp. 151-153).

Bibliografia

  1. Sardanelli F, Bashir H, Berzaczy D et al. The role of imaging specialists as authors of systematic reviews on diagnostic and interventional imaging and its impact on scientific quality: report from the EuroAIM Evidencebased Radiology Working Group. Radiology 2014;272(2):533-40.
  2. Lauby-Secretan B, Scoccianti C, Loomis D et al; International Agency for Research on Cancer HandbookWorking Group. Breast Cancer Screening – Viewpoint of the IARCWorking Group. New England JMed 2015; 372(24):2353-8.
  3. Paci E; EUROSCREEN Working Group. Summary of the evidence of breast cancer service screening outcomes in Europe and first estimate of the benefit and harm balance sheet. J Med Screen 2012;19 Suppl 1:5-13.
  4. Sardanelli F, HuninkMG, Gilbert FJ, Di Leo G, Krestin GP. Evidence-based radiology: why and how? Eur Radiol 2010;20(1):1-15.
  5. Colin C, Devouassoux-ShisheboranM, Sardanelli F. Is breast cancer overdiagnosis also nested in pathologic misclassification? Radiology 2014;273(3):652-5.
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