Editoriali
26/11/2015

Sbarchi: pochi i malati, troppi i morti in mare

Molte cose sono cambiate da quando Linda Pasta e colleghi hanno scritto la loro accurata descrizione delle cause di ricovero ospedaliero dei migranti sbarcati a Lampedusa (Epidemiol Prev 2105;39(1):55-58). L’operazione Mare Nostrum è cessata dal 1 novembre 2014, sostituita dall’intervento dell’Agenzia europea Frontex che sostiene l’operazione Triton, differente dalla prima per finalità, raggio d’azione e luogo di esecuzione dei controlli sanitari e delle procedure di identificazione dei migranti (direttamente sulla nave con Mare Nostrum, ora a terra dopo lo sbarco); tutte caratteristiche che modificano verosimilmente in peggio le condizioni di arrivo dei migranti e, quindi, il loro stato di salute. Nei prossimi mesi ci attendiamo i primi bilanci, anche sanitari, del nuovo intervento.
Ma un altro cambiamento importante è avvenuto nella percezione di pericolo che gli sbarchi suscitano nell’opinione pubblica, o in una parte di essa: quando gli autori hanno scritto questo intervento, la paura della diffusione di Ebola era estremamente e irragionevolmente elevata, in Italia e nell’occidente in generale, e non mancava chi attribuisse irresponsabilmente anche agli sbarchi la possibilità di un contagio. Ora la paura di Ebola è rientrata, sia perché negli Stati africani in cui l’epidemia si è sviluppata essa appare finalmente in remissione, sia perché è risultato chiaro che l’organizzazione dei servizi sanitari nei Paesi sviluppati è in grado di affrontare e avere la meglio su una malattia che, nelle proporzioni viste, resta appannaggio dei Paesi poveri, privi di organizzazione statale e risorse.
Ma la paura dell’arrivo di moderni untori via mare è calata anche perché sostituita, dopo la strage di Charlie Hebdo, da quella dello sbarco dei terroristi di Isis, infiltrati tra i migranti. Quanto questo timore sia fondato non è al momento dato sapere.
Resta il fatto che dai Paesi in guerra la gente continua a scappare attraverso ilMediterraneo, dove nel 2014 secondo la United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) sono morte complessivamente 3.419 persone («the deadliest route of all»), e questo nonostante il buon pattugliamento di Mare Nostrum intorno alle coste italiane.
Le nazionalità dei migranti sono cambiate e seguono il percorso delle rivoluzioni e delle guerre nei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. Ma non si sono modificate le caratteristiche anagrafiche e di salute di chi affronta il mare per raggiungere condizioni di vita migliori. Chi ha la fortuna di riuscire a sbarcare è giovane e gode in generale di buona salute, come ben documenta l’intervento di Pasta et al. (pp. 55-58 di questo fascicolo). Le condizioni che portano i migranti (pochi) al ricovero ospedaliero sono quelle già tante volte documentate nella popolazione immigrata residente: i traumi negli uomini, i problemi ostetrici nelle donne, a cui talvolta si aggiunge, per gli uni e le altre, la grave disidratazione dovuta al viaggio, compiuto in condizioni terribili.
Le malattie infettive, pur presenti in alcuni, non sono così frequenti da spaventare seriamente Paesi con una decente organizzazione della sanità pubblica come l’Italia. La tubercolosi (TB), che certamente mostra prevalenze molto più elevate nei migranti rispetto alla popolazione locale, non ha incrementato il tasso di incidenza in Italia, che anzi è in netta riduzione tra gli italiani e stazionario o in calo tra gli immigrati. Commento analogo può essere fatto per l’infezione da HIV, sostanzialmente stazionaria.
E allora? La paura di essere contagiati da malattie un tempo assai diffuse sul nostro territorio, come la TB, o esotiche, come il virus Ebola, deve essere sfruttata per impostare iniziative serie di diagnosi e di contrasto, peraltro già attive. Non può essere invocata per rinchiuderci in una fortezza da cui respingere i “barbari”, sempre più minacciosi all’orizzonte nella loro giovane vitalità.

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