Editoriali
26/02/2020

Riconoscimento e attribuzione del riscaldamento globale recente: cosa dice oggi la scienza del clima?

Oggi le preoccupazioni per gli impatti dei cambiamenti climatici – legati al recente riscaldamento globale di origine antropica – sono molto presenti non solo in chi ne è colpito direttamente, ma anche in chi deve gestire nuove situazioni critiche in vari settori. La scienza contemporanea, da parte sua, si occupa di studiare sempre più a fondo questi impatti climatici, di evidenziarne le cause e di analizzare strategie di mitigazione e adattamento. Un esempio di rassegna dell’attuale stato dell’arte di questi studi, per una tematica di stretta competenza di questa rivista, si trova nel The Lancet Countdown del 2019.1
Mentre nell’arena delle riviste scientifiche si discute soprattutto degli impatti del cambiamento climatico recente, dando per assodate la diversità dai cambiamenti avvenuti precedentemente nella storia della Terra e l’origine antropica, sui media compaiono voci che invece negano questa diversità e il ruolo dell’uomo nel riscaldamento recente. Non entro qui in una discussione sui motivi di tali atteggiamenti presenti sulla stampa oppure in consessi economico-politici o genericamente  scientifici, che porterebbe troppo lontano. Da un punto di vista strettamente scientifico della scienza del clima, vale la pena invece, anche su una rivista che si occupa specificatamente di impatti sanitari del cambiamento climatico, fare un passo indietro e valutare, alla luce di risultati scientifici molto recenti, quale sia la situazione della nostra conoscenza attuale sul riconoscimento (detection) delle peculiarità del riscaldamento recente e sulla sua attribuzione (attribution) a determinate cause, umane o naturali.
Dalle carote di ghiaccio estratte in Antartide e Groenlandia sappiamo che la temperatura rilevata a livello della superficie terrestre è  empre cambiata. Da testimonianze storiche, poi, sappiamo che negli ultimi  2000 anni si sono avuti, per esempio, il periodo caldo dell’Impero  romano dei primi secoli dopo Cristo, il periodo caldo medioevale (tra  l’800 e il 1200) e la cosiddetta piccola era glaciale (dal 1300 al 1850). A questi va aggiunto ovviamente il riscaldamento recente,  almeno quello molto rapido dell’ultimo secolo, in cui la temperatura  media globale alla superficie è aumentata di circa 1 °C. Molti di questi periodi passati sono stati identificati tramite testimonianze relative soprattutto all’Europa. Ma come si inseriscono  tali episodi in un quadro globale? Oggi abbiamo la possibilità di saperlo grazie a dati proxy che giungono da tutto il mondo. In particolare, la  banca dati del progetto PAGES 2k è stata recentemente analizzata a questo scopo.2 I risultati mostrano che il riscaldamento globale recente influenza il 98% della superficie terrestre, mentre gli altri periodi di riscaldamento o raffreddamento hanno interessato zone più limitate e non sono avvenuti contemporaneamente su tutto il Pianeta. Inoltre, questi cambiamenti più antichi sono compatibili con una variabilità naturale del clima, mentre il riscaldamento recente non lo è: quest’ultimo risulta essere un cambiamento ubiquitario e  sincrono che non ha precedenti negli ultimi 2000 anni e, per  pervasività e rapidità, fuoriesce in modo statisticamente significativo dalla variabilità climatica osservata nel passato. Le peculiarità del riscaldamento recente si sono dunque rivelate ancora meglio e ora c’è un chiaro indizio che ciò sia dovuto a un fattore esterno che agisce in modo ubiquitario.

La dinamica del sistema sta cambiando?

Abbiamo temperature diverse e che variano più rapidamente rispetto  al passato. Ma si tratta solo di un’amplificazione numerica o c’è dietro  un cambiamento della dinamica del sistema? È molto  importante sapere tutto ciò, perché nel secondo caso questo  potrebbe essere il sintomo dell’innesco di processi che, in questo  sistema complesso, rischiano di portare a biforcazioni e punti di non  ritorno. Ebbene, almeno nel caso preoccupante della “amplificazione” termica dell’Artico, e partendo puramente dai dati osservati, è stato  mostrato chiaramente che qui cambia il “modello generativo” delle  temperature, cioè c’è un cambiamento di dinamica.3
Ma per capire a cosa attribuire effettivamente questi cambiamenti recenti, cioè comprenderne le cause, i dati climatologici vanno letti  all’interno di uno schema teorico che permetta di studiare i rapporti  causa-effetto tra le varie grandezze che caratterizzano il sistema.  Ciò viene fatto usualmente con i Global Climate Models (GCMs),  modelli in cui si utilizzano le equazioni fondamentali che regolano la  dinamica dei vari sottosistemi climatici per simulare l’intero sistema  clima al calcolatore, con il suo funzionamento e la sua risposta agli  influssi esterni, naturali e antropogenici. Questi modelli mostrano  chiaramente che senza il recente e rapido aumento osservato delle  forzanti umane la temperatura media globale degli ultimi 60 anni  sarebbe rimasta pressoché costante, anziché impennarsi come ha fatto nella realtà.4

Chi è responsabile del riscaldamento globale recente?

I risultati di attribuzione dei GCMs rappresentano dunque un indizio molto forte che la “colpa” del riscaldamento globale recente risiede nelle azioni umane, eminentemente nelle emissioni di gas serra. Ma  questi modelli si basano sulla nostra conoscenza del sistema clima e  dei processi che vi avvengono, spesso all’interfaccia tra i vari sottosistemi (atmosfera, oceano eccetera). Questa conoscenza è sempre più accurata, ma esistono ancora delle incertezze (ovviamente ineliminabili completamente, come sempre avviene  nell’impresa scientifica). I detrattori di questi modelli si concentrano  su questo fatto: se sottovalutiamo determinati feedback che  potrebbero rivelarsi importanti, se si scoprono nuovi effetti non  ancora considerati o se ne verificano alcuni attualmente valutati  come poco probabili, cosa ne deriva per i risultati di attribuzione? Potrebbero essere sbagliati...
Ebbene, recentemente si è approcciato il problema dell’attribuzione anche da un punto di vista completamente diverso, con l’idea di  scoprire nuovi aspetti della realtà, ma anche di valutare la  robustezza  o meno dei risultati dei GCMs. Da un lato, esistono oggi  sistemi di intelligenza artificiale che “imparano” le leggi di funzionamento di un sistema partendo puramente dai dati; d’altro lato, ci sono modelli causa-effetto che si basano soltanto sull’analisi di dati di serie temporali. In nessuno di questi approcci si inserisce la  nostra conoscenza del sistema allo studio. Si tratta di due tipi di  modelli data-driven: il primo è un modello a rete neurale che è in  grado di identificare relazioni non lineari tra forzanti esterne (naturali  e antropogeniche) al sistema clima e l’andamento della temperatura media globale; il secondo è un modello di Granger causality5 in cui  l’analisi di modelli predittivi per la temperatura basati sui dati passati  della temperatura stessa e delle forzanti porta a scoprire nessi  causali tra queste variabili. In entrambi i casi, questi modelli ci  mostrano come senza l’aumento degli influssi antropici la temperatura degli ultimi 60 anni sarebbe rimasta sostanzialmente costante: si  veda, per esempio, Pasini et al.,6 Triacca et al.7 e i riferimenti ivi  citati. Sono risultati in tutto simili a quelli ottenuti con i GCMs.

È un punto fermo

In questo contesto, modelli assolutamente diversi e indipendenti mostrano una concordia veramente inaspettata. È un sintomo  dell’estrema robustezza del risultato che vede negli influssi antropici i  principali responsabili del riscaldamento globale recente.8
In breve, i risultati recenti di detection e attribution ci convincono ancora di più del fatto che negli ultimi decenni il clima stia cambiando  in una maniera significativamente diversa dal passato e che questo  cambiamento sia dovuto sostanzialmente all’uomo. Un punto fermo da  cui partire per gli studi di impatto.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno

Bibligrafia

  1. Watts N. et al. The 2019 report of The Lancet Countdown on health and climate change: ensuring that the health of a child born  today is not defined by a changing climate, The Lancet 2019;  394:1836-78.
  2. Neukom R. et al. No evidence for globally coherent warm and cold periods over the preindustrial Common Era, Nature2019; 571:550-54.
  3. Triacca U. e Pasini A. Arctic amplification: evidence from a cluster analysis of temperature time series for eight latitude bands. Theoretical and Applied Climatology 2019; 137:505-11.
  4. Stocker TF, Qin D, Plattner G-K, et al. (eds.), Climate Change 2013: The Physical Science Basis. Cambridge University Press, 2013, Cambridge, United Kingdom and New York, NY, USA.
  5. Granger CWJ. Investigating causal relations by econometric models and crossspectral methods. Econometrica 1969;37:424-38.
  6. Pasini A, Racca P, Amendola S et al. Attribution of recent temperature behaviour reassessed by a neural-network method. Sci Rep 2017;7(1):17681.
  7. Triacca U, Attanasio A, Pasini A. Anthropogenic global warming hypothesis: testing its robustness by Granger causality analysis, Environmetrics 2013;24:260-68.
  8. Mazzocchi F, Pasini A. Climate model pluralism beyond dynamical ensembles, WIREs Climate Change 2017;8:e477.
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