Editoriali
26/11/2011

«Possibilmente cancerogene» le onde elettromagnetiche prodotte dai telefoni senza filo

Il Gruppo di lavoro dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) che si è riunito dal 24 al 31 maggio 2011 a Lione ha valutato che le onde elettromagnetiche (o campi elettromagnetici variabili, EMF) con frequenza radio (radiofrequenze, RF), che includono le onde prodotte dai telefoni cellulari e domestici senza filo, sono «possibilmente cancerogene»: implicati sono i gliomi cerebrali e i neurinomi del nervo acustico. Raccomando al lettore l’articolo pubblicato in linea il 22 giugno da Lancet Oncology1 e il comunicatostampa n. 208 della IARC,2 emesso alla fine della riunione del Gruppo di lavoro, che riporta anche i criteri della classificazione IARC. Nello spazio di questo editoriale posso discutere solo alcuni punti particolarmente rilevanti dell’evidenza concernente i gliomi.

I campi elettromagnetici caratterizzanti le radiofrequenze coprono lo spettro di frequenze tra i 30 MHz e 300 Ghz. Nella valutazione del Gruppo di lavoro hanno avuto un peso determinante gli studi epidemiologici, stante i non decisivi risultati degli studi sull’animale o «in vitro». Gli studi epidemiologici in ambiente occupazionale o su esposizioni ambientali della popolazione, da antenne radio e televisive e da stazionibase per telefonia mobile, sono finora inadeguati per ogni conclusione. Più informativi sono gli studi sui telefoni senza filo, essenzialmente i telefoni cellulari (i dati sui telefoni domestici senza filo sono scarsissimi). Si tratta principalmente di due gruppi di indagini epidemiologiche: il largo studio casocontrollo internazionale Interphone condotto in tredici Paesi (Australia, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Israele, Italia, Giappone, Nuova Zelanda, Norvegia, Regno Unito e Svezia) e tre studi condotti in sequenza da un singolo centro in Svezia.

Lo studio INTERPHONE

I risultati complessivi dello studio Interphone sono stati pubblicati nell’aprile 2010;3 una parte non trascurabile di informazione si trova nelle due appendici, in particolare la Appendix 2, accessibili come supplementary files online dell’articolo. Casi e controlli erano stati reclutati tra il 2000 e il 2004 e una serie di risultati parziali erano stati precedentemente pubblicati, in deroga al principio di base degli studi multicentrici internazionali secondo il quale la pubblicazione dei risultati di insieme ha precedenza sulla pubblicazione di risultati parziali, tipicamente quelli di alcuni centri nazionali. Il principio può in effetti rivelarsi di difficile attuazione se alcuni centri sono, per esempio, molto in ritardo rispetto agli altri con la condotta dello studio o se – come é accaduto per Interphone – a preparazione del rapporto complessivo e definitivo é stata lunga e laboriosa in presenza di risultati di problematica interpretazione. Che questo sia il caso salta immediatamente agli occhi una volta constatato che il rischio relativo (odds ratio) per i gliomi cerebrali é 0.81 con intervallo di confidenza al 95% (IC) 0.70-0.94 per il confronto tra soggetti utilizzatori di telefoni cellulari e nonutilizzatori. Una riduzione del rischio si riscontra in dieci dei tredici Paesi dello studio ciò che rende improbabile (p =~0,05) sia dovuta al caso. Restano quindi due interpretazioni alternative : o si è in presenza di un effetto causale protettivo dei telefoni cellulari o i risultati sono viziati da una distorsione sistematica (bias) generata nella condotta dello studio. Se Interphone fosse stato uno studio randomizzato, in cui distorsioni sistematiche maggiori sono praticamente escluse grazie alla randomizzazione, l’interpretazione causale sarebbe di gran lunga la più plausibile. Poiché si tratta invece di uno studio puramente osservazionale la spiegazione logicamente prioritaria è che si tratti di una distorsione sistematica, dovuta a uno o più fattori da identificare (se possibile). Di fronte a risultati di questo tipo appare erroneo l’argomento che mi sono sentito ripetere da qualche collega in questa come in altre simili situazioni: «Una riduzione del rischio osservato ci permette come minimo di inferire che non c’é un aumento reale di rischio». Fino a che non si riescano a identificare le sorgenti di distorsione e a quantizzarne accuratamente l’effetto un rischio osservato ridotto può in effetti essere compatibile sia con una assenza reale di rischio che con un aumento, mascherato dalla distorsione, o con una diminuzione (cioè un vero effetto protettivo).4 I ricercatori responsabili dello studio Interphone hanno condotto una estesa serie di approfondimenti metodologici arrivando a identificare una sorgente principale di distorsione: sia tra i casi sia tra i controlli i nonpartecipanti allo studio riferivano una proporzione di uso del telefono cellulare inferiore a quella dei partecipanti. Inoltre poiché il tasso di partecipazione tra i controlli era più basso che tra i casi questo tipo di risposta alla richiesta di partecipazione produceva una più alta frequenza di utilizzatori tra i controlli che tra i casi, e quindi una riduzione del rischio relativo di questi ultimi. Una distorsione che riduce il rischio implica che qualunque aumento di rischio osservato è in realtà sottostimato: questo è particolarmente degno di attenzione se si verifica là dove è a priori più probabile , cioè per i livelli più elevati di esposizione. In Interphone non si osserva un incremento graduale di rischio con l’aumentare dell’esposizione ma un rischio relativo aumentato pari a 1.40 (IC 95% 1.03-1.89 ) emerge per il dieci per cento di soggetti con più alte esposizioni (dose cumulata di 1 640 o più ore di uso) confrontati ai nonutilizzatori. Questo rischio sale a 1.82 (IC 95% 1.15-2.89) quando allo scopo di rimuovere la distorsione menzionata in precedenza. derivante da noncomparabilità di utilizzatori e nonutilizzatori, si confrontano il dieci per cento di soggetti con più alte esposizioni non più con i nonutilizzatori ma con il dieci per cento di soggetti con più basso uso (meno di 5 ore).È poco plausibile considerare questi risultati come casuali piuttosto che come segnali di un possibile effetto causale dell’esposizione ai telefoni cellulari.

Lo studio svedese

Il secondo gruppo di studi è stato condotto in Svezia. Si tratta di tre studi casocontrollo successivi, con reclutamento di casi e controlli tra il 1997 e il 2003, di cui è stata presentata una sintesi in un articolo di recente pubblicazione.5 A prima vista i risultati appaiono diversi da quelli dello studio Interphone, in quanto mettono in evidenza un rischio relativo globale aumentato per i gliomi (1.3; IC 95% 1.1-1.7) nei soggetti con più di 74 ore di uso del telefono cellulare: in effetti questo aumento dipende da un aumento che è statisticamente significativo più di dieci anni dopo l’inizio dell’uso ( OR=2.7; IC 95% 2.0-3.8) ma non lo è prima. Rispetto a Interphone gli studi svedesi presentano un livello di partecipazione di casi e controlli superiore, un intervallo di età molto più largo (2080 anni contro 3059), un reclutamento dei soggetti in parte anteriore (dal 1997 al 1999) ciò che potrebbe implicare esposizioni più intense ai primi modelli di telefoni, e un livello di approfondimento e validazione metodologica inferiore: in particolare la possibilità di una sovrastima del rischio dovuta a recall bias non può essere esclusa. Se speculativamente ci si avventura a considerare il rischio (odds ratio 1.4) osservato nella categoria con meno di 74 ore di uso e un tempo dall’inizio dell’uso di meno di 10 anni come spurio e interamente dovuto al recall bias la stima di 2.7 si riduce a 2.7/1.4 = 1.9, persistentemente indicativa di un aumento.

Hardell6 ha recentemente presentato una rianalisi dei risultati dei suoi studi in modo comparabile ai risultati di Interphone. Nei soggetti in età tra 30 e 59 anni si osserva per esposizioni di più di 1 640 ore il valore già citato di 1.82 per Interphone (usando i soggetti con uso più basso come riferimento) e 1.75 (IC 95% 1.02-3.00) per gli studi svedesi. Va notato che sia in Interphone sia negli studi svedesi i risultati che emergono per i gliomi non si riscontrano per i meningiomi, tumori a più lento sviluppo. È questo un elemento contro la presenza di qualche fattore generalizzato di distorsione e a favore della affidabilità dei risultati ottenuti per i gliomi.

Il mio personale giudizio

Ritengo che i dati qui discussi non siano così sicuramente scevri da potenziali distorsioni sistematiche o casuali né così chiaramente coerenti da affermare che siamo di fronte a una «evidenza sufficiente» di cancerogenicità. I dati sono d’altro canto sufficientemente parlanti da non poter essere accantonati dentro al grande calderone della «evidenza inadeguata» a dire alcunché sulla cancerogenicità. Il mio personale giudizio è quindi di «evidenza limitata» di cancerogenicità. Una larga maggioranza dei membri del Gruppo di lavoro si è in modo del tutto indipendente pronunciata nello stesso senso, ciò che ha comportato la inclusione delle onde elettromagnetiche a frequenza radio nella categoria 2B «possibilmente cancerogene».

Bibliografia

  1. International Agency for Research on Cancer. Carcinogenicity of radiofrequency electromagnetic fields. Lancet 2011, published online June 22.DOI:10.1016/ S1470-2045(11)70147-4.
  2. International Agency for Research on Cancer. Press release n. 208, www.iarc.fr
  3. The Interphone Study Group. Brain tmour risk in relation to mobile teleèhone use: results of the Interphone international case-control study. Int J Epidemiol 2010; 39:675-694.
  4. Saracci R, Pearce N. Commentary: Observational studiesmay conceal a weakly elevated risk under the appearance of consistently reduced risks in J Epidemiol 2008 ; 37:1313-1315.
  5. Hardell L,Carlberg M,Hansson Mild K. Pooled analysis of case-control studies on malignant brain tumours and the use of mobile and cordless phones including living and deceased subjects. Int J Oncology 2011;38:1465-1474.
  6. Hardell L,Carlberg M, Hansson Mild K. Reanalysis of risk for glioma in relation to mobile use : comparison with the results of the Interphone international case-control study. Int J Epidemiol 2010;published on line December17. DOI:10.1093/ije/dyq246.
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