Editoriali
26/11/2018

Per un’epidemiologia della migrazione in Italia: l’opportunità di nuove alleanze

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Rispondiamo volentieri all’invito formulato da E&P, cercando di rappresentare il punto di vista della Società italiana di medicina delle migrazioni (SIMM), che da circa 28 anni si interroga e si confronta sulla relazione tra salute e migrazione. Non è casuale che la prima delle raccomandazioni formulate nel documento finale della Prima Consensus Conference della SIMM del 1990 reciti testualmente: «Ricerca di una maggiore uniformità metodologica nella raccolta ed elaborazione dei dati che consenta di svolgere indagini e valutazioni multicentriche».1 Vale la pena di sottolineare preliminarmente che tale relazione si presenta per sua natura dinamica e complessa, in quanto caratterizzata e modulata da una molteplicità di variabili di contesto (i determinanti della salute), da una loro forte interdipendenza e variabilità nella generazione delle dinamiche di salute e di assistenza (e di eventuali disuguaglianze), nonché da una difficoltà di classificazione dello stesso fenomeno migratorio all’interno di rigide categorie socioantropologiche.2,3
In altre parole, gli immigrati rappresentano un «insieme “sfocato”, difficilmente classificabile, dove l’attribuzione alle diverse categorie non si risolve in questioni del tipo tutto-o-niente, ma si gioca lungo un continuum di appartenenza, secondo una logica fuzzy in cui nulla può essere separato dal resto una volta per tutte».4
Conoscere i bisogni dei migranti, che variano nel tempo e nello spazio in relazione alla natura e alla durata del loro specifico progetto migratorio, nonché alle loro condizioni di integrazione, è, infatti, presupposto fondamentale per la definizione di politiche idonee, sulla base di una programmazione mirata, e per l’organizzazione di un’offerta che sia realmente inclusiva ed equa. D’altronde, è utile ricordare che alle origini della “epidemiologia sociale” vi sono proprio gli studi condotti sui migranti.5 La questione riguarda, in effetti, la corretta declinazione dell’art. 32 della nostra Costituzione e, consequenzialmente, l’inscindibile relazione tra salute e dignità, come – non a caso – recita il motto della SIMM: Dignitas in Salute, Salus in Dignitate. Ha recentemente affermato Michael Marmot: «One way to treat people with dignity is to understand and respond to health problems caused by their migrant status».6
Negli ultimi anni, una maggiore attenzione al fenomeno migratorio e alle sue implicazioni sulla salute (e sulla vita!) delle persone è stata catalizzata dalla drammatica contingenza del fenomeno degli sbarchi. Occorre, però, fare attenzione a non “schiacciare” l’intero fenomeno migratorio su una dimensione di emergenzialità (che ne è una componente parziale e contingente, per quanto rilevante).3 In Italia, infatti, vivono circa 5,5 milioni di persone di origine straniera (più un numero imprecisato, ma verosimilmente vicino a un 8% di questi, di persone prive di regolarità giuridica), a fronte di circa 0,5 milioni di persone sbarcate in Italia nel triennio 2014-2016.7 Non dimenticare la componente stabile, anzi, partire proprio da questa per imparare a gestire l’emergenza significa offrire dati ed elementi che servono a supportare i processi di integrazione. Resta il fatto che i circa 60.000 morti stimati dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) dal 2000 a oggi8 interrogano le coscienze di noi tutti, soprattutto perché una gran parte di queste erano evitabili.
Da un punto di vista strettamente tecnico, è possibile schematicamente sottolineare le seguenti opportunità e criticità.

Fonti di dati sanitari

Come noto, in questi anni si è fatto prevalentemente ricorso a flussi informativi sanitari correnti, più che a studi ad hoc. Tali flussi hanno riguardato, in particolare:

  • l’assistenza ospedaliera (SIO);
  • le condizioni neonatali (CeDAP);
  • l’aborto spontaneo e volontario (modelli D11/D12 dell’Istat);
  • gli infortuni sul lavoro (flussi Inail);
  • le malattie infettive a notificazione obbligatoria (SIMI) od oggetto di specifici registri (HIV/AIDS, epatiti eccetera);
  • la mortalità (modelli D4/D4bis dell’Istat).

A partire da tali fonti, è stato possibile iniziare a valutare e monitorare ambiti di salute e di assistenza rilevanti. A tale riguardo non mancano, però, criticità in ordine alla disponibilità, alla qualità e alla completezza delle informazioni. Per esempio, la possibilità di identificare gli stranieri all’interno delle banche dati rimane ancora oggi problematica a causa dell’assenza di uno specifico campo sul Paese di cittadinanza nel corrispettivo tracciato record del sistema di notifica delle malattie infettive (limitatamente alle patologie di classe III). Inoltre, nella maggior parte dei sistemi informativi non è possibile o non è agevole disaggregare i dati riguardanti gli stranieri non iscrivibili al servizio sanitario (i cosiddetti stranieri temporaneamente presenti, STP, ed europei non iscritti, ENI). Vi sono ampie tipologie di funzioni assistenziali (in generale, quelle che connotano la rete dei servizi sanitari territoriali), che rimangono prive di flussi informativi utilizzabili a fini epidemiologici.

Fonti di dati demografici

La principale difficoltà risiede nel fatto che l’Istat fornisce dati relativi agli stranieri residenti (e non tutti gli stranieri regolarmente presenti lo sono) e che fino al 2013 non era possibile disporre (al di fuori di stime ad hoc per scopi di ricerca) di dati disaggregati per età, sesso e Paese di cittadinanza. Dopo tale data, le procedure di stima vengono realizzate a partire dalle liste anagrafiche comunali (LAC), con dati individuali sui residenti italiani e stranieri.4 Il Ministero dell’interno, invece, fornisce i dati relativi ai permessi di soggiorno rilasciati o in corso di validità e sfuggono a questo archivio i cittadini dell’Unione europea (UE) (escludendo la comunità romena che, con circa 1,2 milioni di residenti nel 2016, è la principale comunità presente in Italia). Da ciò deriva l’impossibilità di avere un quadro unico e complessivo della presenza straniera in Italia.

Indicatori

Da sempre ci si confronta con le difficoltà collegate a una certa indeterminatezza dell’oggetto di studio, a partire dalla stessa definizione di «straniero», che giuridicamente corrisponde al cittadino proveniente da Paesi non appartenenti all’UE, mentre da un punto di vista epidemiologico fa normalmente riferimento al non italiano (escludendo, però, chi nel frattempo ha acquisito la cittadinanza). Proprio per la necessità di identificare e condividere precisi numeratori e denominatori al fine di costruire indicatori di salute e di accesso ai servizi, sono stati finanziati, nell’ultimo decennio, due progetti di ricerca del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM) – il primo coordinato dalla Regione Marche, il secondo dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) – che hanno prodotto una lista di 36 indicatori.9 Tale eredità è oggi raccolta dall’Istituto nazionale salute, migrazioni e povertà (INMP), che sta avviando una specifica operatività. Tra i principali documenti di riferimento nell’aggiornamento degli indicatori relativi alla salute degli immigrati è possibile citare il Rapporto Osservasalute che, annualmente dal 2005, ospita un capitolo specificamente dedicato.10

A tali considerazioni tecniche si accompagna, da un punto di vista di politica sanitaria, la consapevolezza del fatto che in Italia godiamo, ormai da quasi vent’anni, di una normativa sanitaria particolarmente inclusiva, che fornisce tutti i presupposti per definire e attuare efficaci interventi di promozione e tutela della salute.11 Ciò che, invece, ci fa difetto, soprattutto in considerazione della necessità di definire e attuare approcci intersettoriali, sono politiche e interventi adeguati di natura sociale.
In una necessaria e auspicabile governance nazionale, appare evidente l’urgenza di disporre di flussi di dati condivisi, indicazioni operative e strumenti normativi che possano favorire la programmazione nazionale e locale in un’ottica di collaborazione, alleanze tecniche ed equità del sistema: in questo senso, specificamente per immigrati e profughi, ci sono segnali interessanti negli ultimi anni, anche se ancora troppo timidi e incerti.12
In considerazione di quanto argomentato, la SIMM aderisce convintamente alla proposta di operare per costruire in Italia studi di epidemiologia della migrazione, auspicando la realizzazione di alleanze tra tutti i ricercatori italiani, attraverso l’identificazione di momenti e modalità di collaborazione e confronto che permettano di valorizzare il contributo di ciascuno all’interno di una prospettiva comune, per un’epidemiologia al servizio della società civile13 e, quindi, impegnata nel supporto di chi, al suo interno, è più vulnerabile.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia e note

  1. Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM). Documento finale della I Consensus Conference sui problemi sanitari dell’immigrazione. Badia (Palermo), 15 dicembre 1990. Disponibile all’indirizzo: https://www.simmweb.it/images/old_congressi_SIMM/1990_finale_consensus_simm.pdf
  2. Migration and health: a complex relation. Lancet 2006;368(9541):1039
  3. Marceca M. Migration and Health from a Public Health Perspective. In: Muenstermann I (ed). PeoplÈs Movements in the 21st Century - Risks, Challenges and Benefits. Rijeka, Intech, 2017; pp.103-27.
  4. Baglio G, Di Palma R, Eugeni E, Fortino A. Gli immigrati irregolari: cosa sappiamo della loro salute? Epidemiol Prev 2017;41(3-4) Suppl 1:57-63.
  5. Marmot MG, Syme SL. Acculturation and CHD in Japanese-Americans. Am J Epidemiol 1976; 104:225-47.
  6. Marmot M. Society and health of migrants. Eur J Epidemiol 2016;31(7):639-41.
  7. Centro Studi e Ricerche IDOS. Dossier Statistico Immigrazione 2017. Roma, Inprinting srl, 2017.
  8. Laczko F, Singleton A, Black J (eds). Fatal Journeys. Volume 3, Part I. Improving data on Missing Migrants. Geneva, International Organization for Migration, 2017. Disponibile all’indirizzo: https://publications.iom.int/system/files/pdf/fatal_journeys_volume_3_part_1.pdf (vd. sezione «Foreword» p. iii della pubblicazione citata).
  9. De Giacomi GV, Seniori Costantini A, Calamita ML et al. La salute della popolazione immigrata: metodologia di analisi. Progetto: Promozione della salute della popolazione immigrata in Italia. Accordo Ministero della salute/CCM – Regione Marche. 2009. Disponibile all’indirizzo: http://ods.ars.marche.it/Portals/0/Eventi%202009/pubb_SaluteImmigrati2009.pdf
  10. Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane, Università Cattolica del Sacro Cuore. Rapporto Osservasalute. Milano, Prex SpA. A partire dal rapporto del 2005, ogni anno viene inserito un capitolo dal titolo «Salute della popolazione straniera». I rapporti sono disponibili all’indirizzo: http://www.osservatoriosullasalute.it/rapporto-osservasalute
  11. Marceca M, Geraci S, Baglio G. Immigrants’ health protection: political, institutional and social perspectives at international and Italian level. IJPH 2012;9(3):e7498-1-11.
  12. Geraci S, Eugeni E, Baglio G. Migrazione e salute: evidenze e policy per un’azione di sistema. In: Immigrazione Dossier Statistico 2017. Centro Studi e Ricerche Idos 2017;239:244.
  13. Baglio G. Tubercolosi e immigrazione: le risposte che l’epidemiologia può dare (e che la società attende). Epidemiol Prev 2015;39(2):73-74.
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